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Macedonia, la battaglia dei media

In Macedonia la mancata riforma dei media è uno dei temi controversi che continua a spaccare maggioranza e opposizione. E mentre la battaglia non si placa, la qualità dell’informazione continua a peggiorare 

26/05/2016, Ilcho Cvetanoski -

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Con la cosiddetta “rivoluzione colorata” in corso in Macedonia, i media filo-governativi sono tornati alla nota strategia del diffondere paura, paranoia e teorie cospirative fra i cittadini. La stessa strategia è impiegata dal potere dallo scoppiare dell’attuale crisi politica, iniziata alla fine del 2014 con le proteste di massa degli studenti a Skopje e culminata nella scandalo delle intercettazioni del Febbraio 2015. Quattro mesi dopo, con la forte mediazione internazionale degli ambasciatori Ue e Usa, il cosiddetto accordo di Pržino venne poi firmato.

Le riforme nel settore dei media erano in cima alla lista della Riforme Urgenti incluse nell’accordo di Pržino, ma non sono mai state realizzate. Dopo settimane di negoziati, giochi politici ed inganni, mentre la maggior parte delle riforme sono state portate a termine o la loro implementazione era in corso, la riforma dei media e la legge sui media non hanno compiuto progressi significativi. Durante i negoziati le autorità hanno cambiato spesso e volentieri la propria posizione dal “siamo pronti ad attuare una qualsiasi delle leggi sui media vigenti negli stati Ue” a “la questione dovrebbe essere nuovamente discussa in parlamento”.

La mancanza di riforme nei media, così come la questione in sospeso delle liste elettorali, che secondo l’opposizione contengono troppe incoerenze, sono state citate dai partiti dell’opposizione come la ragione per boicottare le elezioni anticipate in programma per il 5 giugno, boicottaggio che ha messo le basi per il recente rinvio delle consultazioni a data da destinarsi.

Come controllare i media?

Secondo un’analisi condotta dall’Agenzia per i servizi audiovisivi (AVMU ) nel 2014, la tv è ancora il mezzo di comunicazione più influente sul pubblico in Macedonia. Secondo il sondaggio l’82,7% dei candidati usa la televisione come fonte primaria d’informazione. Consapevoli di questo, le élite politiche hanno utilizzato diverse tattiche per influenzare il pubblico, in primo luogo attraverso il controllo delle stazioni televisive stesse.

La maggior parte dei proprietari di emittenti televisive nazionali in Macedonia sono allo stesso tempo impegnati in politica, o detengono comunque forti legami con determinate formazioni politiche. Spesso la televisione è solo una delle tante attività che possiedono e frequentemente è utilizzata come merce di scambio per ottenere privilegi nei rapporti col potere esecutivo. Spesso le autorità tollerano infrazioni ed irregolarità dei magnati televisivi a condizione che i loro servizi mantengano un atteggiamento favorevole al governo, ma se assumono una posizione pro-opposizione, allora tutte le prove disponibili vengono usate come arma di ritorsione.

Il caso della TV A1 è un perfetto esempio: il suo controverso proprietario Velija Ramkovski , è stato anche “un influente uomo d’affari e un sostenitore incondizionato e partner di governo del Primo ministro Nikola Gruevski dal 2006 al 2008”. Però, dopo aver preso le distanze da Gruevski nel 2009, Ramkovski, insieme a molti dei suoi soci, è stato condannato a 13 anni di carcere per evasione fiscale, associazione a delinquere, riciclaggio di denaro e abuso di potere.

Insieme alla televisione, anche tre quotidiani di proprietà di Ramkovski (anche se era formalmente proibito che lo stesso imprenditore possedesse stazioni televisive e quotidiani) vennero chiusi a causa delle tasse non pagate. Quella che era l’emittente più seguita in Macedonia, con circa 230 dipendenti, venne ufficialmente chiusa il 31 luglio 2011 con l’argomentazione di un debito accumulato di circa 30 milioni di euro, 9,5 milioni dei quali tasse non pagate nei confronti dell’erario.

Un altro strumento per il controllo dei media è la pubblicità, spesso utilizzata per distorcere il piccolo mercato macedone. La pubblicità commissionata dallo stato, soprattutto nei media radiotelevisivi, è diventata un problema quando la la corrente coalizione (VMRO – DUI) è andata al potere. Negli ultimi anni lo stato figura tra i primi cinque inserzionisti del settore radiotelevisivo, versando soldi e comprando un atteggiamento “morbido” da parte dei media che foraggia.

Le ultime due analisi targate AVMU mostrano che nel 2012 il governo è stato il primo inserzionista del paese, prima di grandi aziende di telecomunicazione o della Coca Cola. Nel 2013 , il governo era il secondo della lista dei maggiori inserzionisti. Per la prima volta questo elemento è stato pubblicamente riconosciuto come un ostacolo alla libertà dei media in Macedonia dal rapporto della Commissione Europea del 2009

Sorosoidi e mercenari stranieri

La scena dei media in Macedonia è rigorosamente divisa in tre gruppi: il più grande e potente nei numeri e nell’influenza è quello filo-governativo, poi segue il numero significativamente minore dei media favorevoli alla linea dell’opposizione e infine quei media neutrali o professionali che rispettano il codice etico dei giornalisti.

Le stazioni tv sono i principali e più espliciti mezzi di comunicazione filo-governativi: guidate dall’emittente pubblica MTV, e seguita dai canali commerciali Sitel, Kanal 5 and Alfa, costituiscono un vera e propria roccaforte della propaganda a favore dell’attuale maggioranza politica. Anche i tre quotidiani più diffusi, Dnevnik, Vest e Vecer sono attivi sostenitori del governo. Dall’altro lato il numero dei media a favore dell’opposizione o neutrali è considerevolmente minore. Tra le stazioni televisive si possono menzionare Telma, 24 Vesti e tra i giornali Nova Makedonija e Sloboden Pecat. Anche i media stranieri che hanno la sezione di lingua macedone possono essere messi in questa categoria come Voice Of America, Radio Free Europe, DW, BIRN, Prizma, ecc.

L’unico ambito in cui i media pro-opposizione hanno uguale opportunità di raggiungere il pubblico è tra i media online. Ma, come le ricerche AVMU hanno dimostrato, solo i giovani li usano come fonte primaria d’informazione, mentre la fetta più grande dell’elettorato usa ancora principalmente la televisione.

Due casi ci aiutano a mostrare l’atteggiamento divergente dei media nel presentare le notizie, a partire dalla propria affiliazione politica: la cronaca della cosiddetta “rivoluzione colorata” e la misteriosa morte di uno dei testimoni della Procura Speciale, creata per indagare sullo scandalo intercettazioni.

Nel raccontare la “rivoluzione colorata” anti-governativa, i media filo-governativi ricorrono spesso ad attacchi ad hominem invece di utilizzare argomentazioni politiche. I manifestanti vengono descritti come traditori e mercenari stranieri, o in una parola “sorosoidi”, termine dispregiativo che deriva dal cognome di George Soros, miliardario americano e fondatore della Open Society Foundation. Molto spesso nei loro servizi si possono trovare espressioni di odio indirizzate agli attivisti delle ong e i giornalisti che non supportano l’attuale élite.

I manifestanti sono dipinti come vandali che stanno distruggendo la storia macedone e imbrattando i monumenti eretti nella capitale macedone col progetto “Skopje 2014”, ideato e finanziato dal governo. La dicotomia è ovvia – chi protesta distrugge, mentre il governo sta costruendo. Spesso il numero dei manifestanti antigovernativi viene minimizzato, mentre quello dei filo-governativi esagerato.

E l’argomento utilizzato più frequentemente è quello riguardante le questioni aperte con i paesi confinanti, problemi d’identità e integrità dello stato. La teoria del complotto: “l’opposizione e le ong che lavorano per Soros stanno progettando di cambiare il nome del paese e di federalizzarlo”, è onnipresente. Perfino il presidente Gjorge Ivanov, durante il discorso televisivo fatto, dopo aver concesso la contestatissima grazia ai politici implicati nello scandalo intercettazioni, ha utilizzato la stessa retorica.

Altrettanto rivelatore è l’atteggiamento dei mezzi di comunicazione dopo la morte di un testimone d’accusa della Corte speciale, trovato cadavere nel suo appartamento. Secondo la posizione ufficiale della polizia si tratta di suicidio. Tuttavia le speculazioni circolate sui media – soprattutto filo-opposizione – si sono accanite sul dubbio che il testimone sia stato in realtà vittima di un omicidio. Per i media pro-governativi, invece il teste si sarebbe ucciso perché non riusciva più a sopportare gli “abusi fisiologici” provenienti dai procuratori a caccia di prove contro l’esecutivo.

Nuovo autoritarismo

L’economista russo Sergei Guriev e il professore di Scienze Politiche presso l’Università della California Daniel Treisman, in un recente saggio hanno analizzato le “nuove tendenze autoritarie” nel mondo e il connesso ruolo dei mass-media. I due sostengono che le nuove forme di autoritarismo sono attualmente basate sulla manipolazione dell’informazione piuttosto che sull’uso della violenza di massa.

La Macedonia sembra entrare molto bene in questo modello: il paese oggi è caratterizzato da bassa circolazione di giornali, stampa orientata politicamente, scarsa professionalizzazione dei giornalisti e loro alta strumentalizzazione, forte intervento dello stato, sussidi alla stampa e periodica censura.

Alcuni casi di abusi aiutano a capire meglio le caratteristiche sopra menzionate, come quello di Hristina Atovska, giornalista freelance per TV Sitel, apparentemente licenziata dopo aver criticato l’ex Ministro degli Interni, Gordana Jankulovska, in un pezzo pubblicato sul suo sito, Pozitiv.mk.

Altro esempio è l’aggressione fisica subita dal citizen journalist Sashe Ivanovski, aggredito in due giorni prima da Aleksandar Spasovskii, un reporter di TV Sitel, e poi dal vice premier con delega all’Economia, Vladimir Peshevski. L’incidente può essere visto in questo video .

Infine vi è il caso di Muhamed Zekiri, redattore-capo presso l’emittente nazionale TV Shenja, canale in lingua albanese con sede a Skopje. Zekori ha denunciato sulla sua pagina Facebook le minacce ed intimidazioni ricevute da lui e la sua famiglia da parte del junior partner di governo, l’ Unione Democratica per l’Integrazione (DUI).

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