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Macedonia: il futuro è rosso

Grosse aziende vitivinicole ora privatizzate, piccole cantine che si stanno facendo le ossa. Uno dei principali settori dell’export macedone è quello legato al mondo del vino. Ma ad una qualità del prodotto in crescita non corrisponde ancora un adeguato livello di marketing

20/10/2005, Risto Karajkov -

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I macedoni non sono grandi consumatori di vino. 9 litri a testa annualmente, ben al di sotto alla media ad esempio degli sloveni che si aggira sui 60. Ciononostante ne producono molto. L’esportazione di vino porta nel paese circa 30 milioni di euro ogni anno, una cifra comparabile solo all’esportazione di tabacco, prodotti tessili e carni d’agnello. Circa l’80% della produzione è destinata all’estero, le destinazioni principali sono interne all’UE.

Ma il quadro della produzione vitivinicola in Macedonia non è roseo. Gli ultimi anni di transizione hanno reso molto difficile la vita di agricoltori e produttori. In passato infatti la produzione vitivinicola aveva un mercato ampio e garantito, quello della ex Yugoslavia, e regolari sovvenzioni governative. Ora si cerca solo di sopravvivere avendo perso il proprio mercato di riferimento, spezzettato da molti nuovi confini, dogane e tasse. Ed il governo macedone ha un budget troppo risicato per garantire sostegno sostanziale.

"Siamo una famiglia di sei persone e nessuno di noi ha un lavoro, viviamo solo della nostra campagna e della nostra vigna. In passato ci garantiva la sopravvivenza. Adesso però non più" afferma un contadino di Kavadarci, la più grande regione coltivata a vigna dell’intero paese.

I prezzi pagati per l’uva non sono aumentati in questi anni nonostante siano invece aumentati i costi di produzione.

"Il fertilizzante costava circa 280 dinari 10 anni fa, ora il prezzo è aumentato a circa 800. Così è accaduto anche per altri prodotti" ricorda un agricoltore.

Ai contadini inoltre non viene restituita l’IVA, anche se sarebbe loro dovuto, come accade per altri settori produttivi, soprattutto perchè molti di loro non sono correttamente registrati. Le grandi aziende vinicole, che acquistano la gran parte dell’uva da produttori individuali, sono guidate esclusivamente da logiche di profitto sul breve periodo. Lasciata completamente a se stessa davanti al mercato globalizzato, la produzione vitivinicola macedone (negli altri paesi è ampiamente sovvenzionata), scricchiola. Dei 33.000 ettari piantati a vigna 10 anni fa ora ve ne sono 28.000. Gli esperti affermano che questo non è un dato positivo. Più la Macedonia sarà vicina all’UE più un incremento del territorio coltivato sarà controllato e disincentivato.

In passato la produzione vinicola era limitata alle grandi aziende agricole pubbliche tra le quali ad esempio Tikves, Vinojug, Povardarje e Lozar. Avevano grandi capacità di produzione e stoccaggio e migliaia di lavoratori. Con l’avvio della transizione alcune sono andate in fallimento, altre sono state suddivise in unità più piccole ed in ogni caso tutte sono state privatizzate. La maggior parte della loro capacità produttiva comunque è ancora "dormiente".

Il potenziale del business legato alla produzione di vino rimane comunque enorme. Sveto Janevski per decenni è stato dirigente di una delle aziende più di successo della Macedonia, la birreria di Skopje. Dopo essersi dimesso dall’incarico ha acquistato le cantine Tikves, per anni acquirente di circa un terzo di tutta l’uva coltivata nel paese.

5.000 famiglie della regione dipendono da essa. La Tikves è però piagata dai debiti. Deve 10 milioni di euro al governo e quasi altrettanto a creditori privati. Il governo l’ha portata davanti alla magistratura ed ha portato al blocco dei suoi conti correnti, poco prima della raccolta di quest’anno. Ed i contadini sono scesi in strada a protestare.

Il nuovo proprietario Jenevski calcolava che il governo gli avrebbe condonato il debito, anche grazie ai suoi collegamenti con il mondo della politica. Sino a poco tempo fa Jenevski era infatti consigliere economico del primo ministro. Non è accaduto ed ha dovuto abbandonare il suo ruolo di consigliere in seguito a polemiche nate a riguardo della sua acquisizione della Tikves. Di tutta risposta, in una lettera al governo, Janevski ha specificato che la sua azienda non potrà allora farsi carico delle conseguenze sociali di un possibile blocco dei pagamenti ai contadini.

"Da ora in poi alla Tikves si procederà secondo regole nuove. I contadini verranno pagati solo in seguito alla vendita del vino. La Tikves non può più permettersi di accumulare debiti per pagarli. Siamo un’azienda privata e non possiamo evitare le logiche di mercato per favorire specifici interessi politici".

Il periodo autunnale, con l’acquisto dell’uva, rappresenta un impegno finanziario notevole. Una mole enorme di denaro in contanti che nessuna azienda attualmente in Macedonia, senza garanzie e sostegno da parte governativa, riesce a sborsare. Lo stesso accade per quanto riguarda la produzione di tabacco.

Il gioco funziona così: I risultati delle elezioni nelle zone del paese legate alla produzione vitivinicola sono legati alla soddisfazione o meno degli interessi dei contadini. Lo sa il governo, lo sanno i manager delle aziende vinicole. Lo sa bene Janevski che probabilmente ha acquistato la Tikves confindando in una cancellazione del debito. Se questo non avverrà però l’uva verrà pagata pochissimo ai contadini, questo li metterà sul piede di battaglia ed i partiti al governo perderanno le prossime elezioni.

Senza dubbio parte del problema è legato ad una mancanza di partecipazione costruttiva da parte del governo. Gli esperti di finanza commentano come sembra vi siano risorse governative per tutto tranne che per l’agricoltura. Il governo sembra aver compreso quanto importante sia la politica agricola nell’ottica dell’integrazione europea solo dopo aver dovuto compilare i questionari che l’UE invia ad ogni paese aspirante all’ingresso, e dai quali è emerso come la Macedonia sia ancora molto indietro su molte questioni ritenute invece imprescindibili dall’Unione.

Il partito dell’opposizione VMRO-Narodna ha richiesto recentemente al governo di sostenere finanziariamente la produzione vitivinicola con 20.000 dinari per ettaro e sino a 5 etatri per produttore. Una proposta che sembra tanto ragionevole quanto dispendiosa.

"Questo è quanto avviene nell’UE. Protegge gli interessi dei produttori a prescindere dal fatto che la loro uva venga venduta o meno" ha affermato il portavoce del partito Aleksandar Gjorgjiev.

Ma il vero problema è anche nella qualità del prodotto e del marketing. Il 90% del vino prodotto viene esportato in taniche, per prezzi molto bassi e senza marchio. All’estero manager più competenti lo imbottigliano, raffinano, attribuiscono un marchio ed un’etichetta e lo vendono. La Macedonia in questo processo perde molto dal non essere in grado di garantire qualità migliore e di non piazzare direttamente sul mercato i propri marchi. Secondo alcuni analisti indipendenti la Macedonia perderebbe annualmente circa 50 milioni di euro.

Negli ultimi anni sono nate anche piccole cantine private quali ad esempio Fonko, Bovin, Skovin. Queste ultime stanno andando verso una produzione più di qualità e limitata dal punto di vista quantitativo che implica anche forti investimenti sul marketing e sul marchio. Recentemente molte di loro hanno partecipato ad una promozione a Londra, per cercare di aprire un varco nel mercato inglese.

"Speriamo di riuscire a mettere un piede in quel mercato, in quel caso, vi staremo a lungo, perché abbiamo un prodotto di buona qualità con prezzi relativamente bassi" afferma Ljupco Trajkovski di Fonko.

Qualche mese prima il Financial Times aveva pubblicato un reportage sulle cantine in Macedonia. L’autore, un esperto di vini, racconta che dopo aver fatto assaggiare il vino ad alcuni amici americani questi ultimi gli hanno risposto che il vino era ottimo, ma le etichette orribili

Il governo dovrebbe riuscire a comprendere le potenzialità del paese. E partire proprio da quelle per rafforzarle.

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