Macedonia e fondamentalismo. Una strage in cerca di risposte
Lo scorso 12 aprile, l’uccisione di cinque persone sulle rive del lago di Smiljkovo, alla periferia di Skopje, ha fatto vacillare la coesione etnica della Macedonia. In carcere per l’accaduto vi sono ora cinque persone, accusate di far parte di un’organizzazione terrorista islamica. Una spiegazione che ha sorpreso il paese, lasciando molte domande ancora senza risposta
Le recenti settimane in Macedonia hanno dimostrato ancora una volta che le minacce alla stabilità politica del paese sono tutt’altro che tramontate. Hanno poi ricordato le specifiche responsabilità dei governi in società multiculturali nel preservare la coesione interculturale.
La strage
Il 12 aprile scorso in Macedonia sono state uccise a sangue freddo cinque persone, mentre pescavano sulle rive del lago di Smiljkovo, alla periferia di Skopje. Tra di loro vi erano quattro studenti di un liceo. Il fatto di cronaca ha sconvolto il paese. Le motivazioni alla base dell’accaduto, ad oggi, restano sconosciute. Saranno le prossime indagini e il processo che ne seguirà, auspicabilmente, a spiegare il perché di una tale terribile strage.
Quello che si può affermare adesso è che in un primo momento sembra che la polizia, richiamando immediatamente il paese alla “calma etnica” subito dopo il massacro, abbia creato una situazione di panico non necessaria. Benché tutte le vittime infatti fossero della comunità macedone, non vi era alcuna prova sulla connessione tra la strage e la loro appartenenza etnica.
Nei giorni successivi le informazioni hanno iniziato a trapelare da varie fonti, e a delineare una nuova visione della strage. I corpi delle vittime sono stati trovati, secondo la versione ufficiale, allineati, le mani legate e i documenti personali dispersi. Alcune fonti hanno inoltre affermato che le cinque vittime sarebbero state torturate prima di essere uccise. Col tempo è divenuto sempre più chiaro che l’imboscata era stata organizzata ed eseguita da professionisti. Fonti ufficiali hanno sostenuto inoltre che sono state utilizzate armi automatiche da diversi tiratori.
Tutto porta a pensare ad un atto dimostrativo di qualche sorta. Terrorismo, hanno sostenuto gli esperti. Ma alcuni hanno sollevato dubbi in merito, visto che la strage non è stato rivendicata da nessuno. Alcuni politici inoltre hanno comparato gli effetti di questo omicidio di massa a quelli dell’attentato alla vita del presidente Kiro Gligorov, nel 1995. In effetti l’opinione pubblica, oggi come allora, ne è uscita sconvolta e spaventata. E agenti di polizia pesantemente armati sono diventati una visione frequente nelle strade di Skopje.
Gli arresti di maggio
Poi il primo maggio scorso la polizia ha arrestato in una vasta operazione circa 20 persone (molte delle quali rilasciate subito dopo, cinque detenute e due ancora a piede libero). Nel pomeriggio dello stesso giorno, in una dichiarazione ai media, il ministro degli Interni Gordana Jankulovska ha annunciato che i responsabili della strage al lago Smiljkovo erano stati catturati.
Ma qui è arrivata la sorpresa. Secondo il ministro, il gruppo omicida era composto da fondamentalisti islamici mossi dalla volontà di “diffondere senso di insicurezza tra la popolazione”. Il ministro ha poi aggiunto che alcuni di loro avevano già combattuto in Afghanistan contro la Nato, ricordando che la Macedonia è parte della coalizione Nato in quel teatro di operazioni, e dunque un potenziale bersaglio. Secondo quanto riferito, le prove raccolte durante l’operazione (oltre ad armi è stata rinvenuta letteratura islamica radicale) porterebbero in tale direzione. Il ministro ha inoltre dichiarato che gli arrestati saranno accusati di terrorismo.
L’argomentazione del ministro è arrivata decisamente inaspettata. La Macedonia, infatti, non ha molta esperienza di casi di fondamentalismo islamico. E’ vero che i media locali negli ultimi anni hanno parlato di uno scontro in atto tra moderati e radicali in seno alla comunità islamica della Macedonia (IVZ). Alcuni di queste notizie sono state poi sostanziate dai fatti. Ad un certo punto nel 2010 ad esempio il capo stesso dell’IVZ si era appellato alla comunità internazionale per chiedere protezione dal fondamentalismo.
Quanto avvenuto in queste settimane, però, e’ qualcosa di diverso. La logica secondo cui, di punto in bianco, senza alcuna motivazione diretta, senza rivendicare nulla, i fondamentalisti islamici avrebbero attaccato la Macedonia per il suo coinvolgimento in Afghanistan, sorprende davvero.
La comunità internazionale ha reagito con molta riservatezza. L’ambasciata statunitense ha annunciato che avrebbe atteso il processo e lo avrebbe monitorato. Alcuni osservatori hanno fatto notare che, facendo ricadere la responsabilità sul fondamentalismo islamico, il governo avrebbe potuto giocare la carta della “compassione” prima del summit Nato di Chicago, con la speranza che l’Alleanza decidesse di rimuovere il veto greco all’adesione macedone, posto nel precedente summit del 2008. Alla fine, però, la Macedonia è rimasta ancora una volta senza "road-map" per l’ingresso nella Nato.
Le reazioni dei musulmani del Paese
Ciò che è avvenuto però, è stata l’esplosione di rabbia da parte dei musulmani del Paese. Incolpare i musulmani di questa strage senza fornire alcuna prova è ingiusto e offensivo, hanno affermato. “Da quando avere una copia del Corano a casa è un crimine?”, hanno chiesto i rappresentanti della Comunità islamica. Quest’ultima ha sostenuto la polizia nelle indagini, ma ha anche espresso la loro ribellione nei confronti di accuse senza prove.
Venerdì 4 maggio, dopo le preghiere pomeridiane, musulmani provenienti da diverse moschee di Skopje sono scesi in strada per protesta. Sventolando la bandiera verde islamica, assieme a quella turca e saudita, hanno urlato contro i cristiani e accusato il governo di incolpare musulmani innocenti. Il palazzo del governo è stato colpito a sassate e le finestre distrutte, così come alcuni uffici dell’Unione Democratica per l’Integrazione (DUI), partito albanese al governo e del presidente della municipalità, anch’egli del DUI.
Le proteste sono ricominciate una settimana dopo, l’11 maggio, al termine delle preghiere pomeridiane. Oltre a Skopje sono partite proteste anche a Tetovo, Gostivar, Kicevo, e Kumanovo. Si sono verificati nuovamente sporadici confronti con la polizia, attacchi verso i giornalisti e lanci di pietre contro la sede del governo e gli uffici dei partiti. Proteste minori hanno avuto luogo, anche a Tirana, davanti all’ambasciata macedone.
Le contro-proteste organizzate dai macedoni sono state, invece, di intensità minore. I social network, utilizzati per organizzare la protesta, sono stati contaminati dall’astio religioso. Le autorità hanno dichiarato, quindi, che l’incitamento alla violenza, diffuso sulla rete, sarebbe stato punito e hanno incriminato diversi contestatori per gli attacchi nei confronti di giornalisti e polizia.
Né la comunità islamica del paese, né due principali partiti politici albanesi di Macedonia hanno appoggiato le proteste. I media hanno riportato che i rappresentanti dell’IVZ avrebbero tentato di persuadere i leader delle moschee locali a schierarsi contro la protesta, sostenendo che questo non faceva altro che mettere i mussulmani in cattiva luce. Allo stesso tempo il Partito Democratico Albanese (DPA), di opposizione, ha preso le distanze dalla protesta. “Noi abbiamo avuto problemi etnici, ma mai religiosi”, ha annunciato il suo leader Menduh Taci ad un ritrovo tra giovani.
Nonostante le successive chiamate alla mobilitazione, le proteste sono terminate e i due venerdì successivi, dopo le preghiere pomeridiane, tutti sono tornati a casa senza protestare.
Dopo la rabbia, le spiegazioni
Quando le proteste sono cominciate non è stato subito chiaro cosa stesse accadendo. In un primo momento i contestatori sembravano far parte di uno scenario di destabilizzazione ben organizzato (e questo mostra quanto facilmente la sfiducia si amplifichi in una spirale senza controllo). In un secondo tempo è diventato evidente che i musulmani di Macedonia, molti dei quali albanesi, si sono sentiti davvero offesi dalle accuse generalizzate rivolte contro di loro. Gli assassini hanno nomi e cognomi, hanno asserito, e non possono essere identificati con un intero gruppo etnico o religioso.
Cinque detenuti rimangono in custodia, mentre per i due fuggitivi è stato emesso un mandato di arresto. La polizia ha affermato più volte che si tratta di fondamentalisti islamici. Non appena la rabbia cesserà, la Macedonia attende le prove che facciano luce sul perché cinque persone siano state uccise e che spieghi se il paese stia effettivamente affrontando una nuova minaccia, quella del fondamentalismo islamico.
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