Macedonia del Nord: poche risorse per gestire gli incendi nei parchi naturali
Le aree protette macedoni hanno una grande importanza ecologica, ma sono sempre più esposte – tra gli altri – al rischio di incendi. La frammentazione politica e la carenza di personale e risorse pongono sfide notevoli, ma si stanno registrando dei progressi incoraggianti. Un reportage dal parco dei Monti Šar
"Lo scorso Natale ortodosso l’abbiamo passato in montagna, tre giorni a lottare contro il fuoco". Anela Stavrevska-Panajotova, responsabile del dipartimento per la conservazione della natura del parco nazionale dei Monti Šar, in Macedonia del Nord, indica un punto in alta quota sulla carta topografica, lontano da ogni centro abitato. "Ci vogliono due ore solo per raggiungere la zona. Portarci l’acqua? Impossibile".
In un’insolita giornata di pioggia estiva, tutto intorno la montagna si stende verdissima tra torrenti, ripidi pascoli ai margini di pareti rocciose e foreste all’apparenza impenetrabili. Immaginare che, persino in pieno inverno, queste montagne rigogliose possano andare in fiamme richiede uno sforzo di immaginazione. Eppure basta passare qualche ora con i colleghi di Anela – il direttore del parco Ibrahim Dehari, o Milorad Andrijeski, responsabile della gestione sostenibile delle foreste – per rendersi conto che hanno davanti a sé un lavoro immane. "È ancora difficile per noi utilizzare i meccanismi per la gestione del territorio adottati da altri Paesi europei", spiega Anela. "La verità è che stiamo sostanzialmente improvvisando".
Autofinanziamento e dipendenza da progetti internazionali
Istituito nel 2021, quello dei monti Šar è uno dei parchi nazionali più giovani d’Europa. Tra vette che superano i 2500 metri, laghi glaciali, canyon, pascoli d’alta quota gestiti in maniera estremamente tradizionale, il parco ospita una straordinaria varietà di paesaggi e un’altissima biodiversità. Oltre a orsi, lupi e numerose specie endemiche, rappresenta uno degli ultimi rifugi per la lince balcanica, sottospecie della lince europea di cui sopravvive appena qualche decina di esemplari, scelta non a caso come simbolo del parco.
Quando sarà pienamente attuato – un lavoro complesso che richiede ancora molti anni – Šar dovrebbe essere la tessera che completa il puzzle di una delle aree protette transfrontaliere più grandi d’Europa: oltre 2500 chilometri quadrati suddivisi tra il parco nazionale omonimo sul versante kosovaro dello stesso gruppo montuoso, quello di Mavrovo in Macedonia del Nord e il parco naturale di Korab-Koritnik in Albania.
A due anni dall’inaugurazione, però, gran parte del lavoro rimane ancora da fare. "In Macedonia del Nord, come del resto in gran parte dei paesi vicini, lo Stato non sostiene finanziariamente i parchi nazionali. Per cui ci autofinanziamo," spiega Stavrevska-Panajotova. "Per creare Šar in realtà le istituzioni una piccola somma la hanno stanziata – ma solo per i primi tre anni, e il terzo è già iniziato". Poco più di centomila euro che di certo non bastano per le enormi incombenze di un’area protetta che nasce da zero: si va dalle attività di monitoraggio a quelle di ricerca, dall’installazione dei pannelli alla manutenzione dei sentieri, dal dialogo con la popolazione locale alla gestione del turismo, oltre ovviamente agli stipendi dei dipendenti del parco. E poi ci sono la prevenzione e il contrasto agli incendi boschivi.
Gran parte del sostegno finanziario ricevuto dal Parco arriva da progetti e organizzazioni internazionali. "I nostri donatori principali sono tre,” racconta Stavrevska-Panajotova. “Il Prespa Ohrid Nature Trust, che ci sostiene nel lungo termine, si concentra sulla protezione della natura e della biodiversità. Con l’UNEP – il programma ambientale delle Nazioni Unite – abbiamo invece un progetto molto articolato, che include tra gli altri la tutela del paesaggio, la valorizzazione turistica, la gestione sostenibile dei pascoli e l’implementazione dei piani di gestione forestale. Infine l’organizzazione statunitense Global Conservation, che ci assiste soprattutto nel combattere attività illegali come il disboscamento e il bracconaggio, e che ci ha fornito gli stivali e le giacche invernali utilizzate dai ranger".
Secondo Stavrevska-Panajotova, le organizzazioni internazionali di solito si occupano di temi generali e non si soffermano quasi mai su problemi intimamente legati alle specificità dei singoli territori, come gli incendi boschivi. "Abbiamo provato con il Segretariato per gli affari europei, ma ci ha detto che il contrasto agli incendi al momento non è una loro priorità. Ora siamo in contatto col Servizio forestale degli Stati Uniti, ma loro supportano principalmente la formazione del personale, non l’acquisto di attrezzature”.
Vista dei dei monti Šar (foto: Marco Ranocchiari/OBCT)
Lo scorso anno si sono svolte una serie di esercitazioni antincendio indirizzate alla popolazione. Tuttavia, come rileva Stavrevska-Panajotova, "l’intervento di cittadini volontari – il cui impiego tra l’altro implica un altro problema, quello della sicurezza –, può servire a colmare il lasso di tempo che intercorre tra lo scoppio dell’incendio e l’arrivo dei ranger. Ma abbiamo a disposizione solo quattro professionisti preposti a combattere gli incendi, un numero assolutamente insufficiente. In altre parole, non siamo in grado di affrontare un incendio boschivo in modo sistematico".
La decentralizzazione sfavorisce le aree naturali
Dal 2005, anche per sopperire alle tensioni etniche esplose nel breve conflitto del 2001, la Macedonia del Nord ha cercato di darsi un assetto sempre più decentralizzato. Queste riforme hanno avuto delle ripercussioni anche nel campo della prevenzione e del contrasto agli incendi – compiti che sono stati assegnati a enti locali che non avevano né le competenze né i fondi per gestirli.
"In caso di incendio, il primo responsabile è l’istituzione competente sul territorio – cioè, dove ci sono, i parchi", commenta Bekim Maksuti, capo della Direzione per la protezione e il soccorso della Macedonia del Nord, l’ente governativo che si occupa di tutte le emergenze nel Paese. "Questo non significa che non siamo pronti a intervenire in caso di incendi su vasta scala o in luoghi non raggiungibili via terra. Lo siamo. Per incendi meno impegnativi, però, [un nostro intervento diretto] non sarebbe efficiente né logico. Siamo pronti ad aiutare i parchi a costruire il loro sistema di prima risposta agli incendi. Già facciamo del nostro meglio, con esercitazioni comuni e la fornitura di attrezzature – anche con il parco Šar, con cui abbiamo una fruttuosa collaborazione".
A incidere sulla vulnerabilità delle aree protette c’è anche un fattore geografico. Le aree protette più importanti della Macedonia del Nord si trovano nelle terre montuose e spopolate della parte occidentale del Paese. Gli incendi più grandi e più pericolosi si concentrano tipicamente nella parte orientale, più popolosa e in estate più secca. Comprensibilmente è qui che sono più impegnate le forze nazionali. Secondo Maksuti, "nel 2021, un anno particolarmente impegnativo, siamo arrivati ad avere tra i 7 e i 10 incendi al giorno, con due o tre grandi roghi che hanno tenuto impegnato gran parte del personale per molto tempo".
Da un lato all’altro del confine
Gran parte dei parchi e delle riserve macedoni sorgono a poca distanza dal confine o sono addirittura transfrontaliere. La Macedonia del Nord ha aderito al Meccanismo europeo di protezione civile e sta uniformando il proprio sistema per la prevenzione e risposta agli incendi a quello dei vicini, con cui collabora sempre più spesso durante i grandi incendi. Manca però ancora un impegno complessivo per una gestione coordinata delle aree protette, che dovrebbero essere gestite come ecosistemi unici indipendentemente dalle frontiere.
Qualche buon esempio già si trova. "Se si verificano incendi da una parte o dall’altra del confine con l’Albania condividiamo le informazioni al più presto", racconta Darko Kjitanoski, che si occupa della gestione dell’area protetta di Vevčani, poco a nord di Struga, per conto dell’associazione Eko Svest. "Ma si tratta di iniziative sporadiche da parte delle comunità locali o di ong. Ora stiamo cercando delle risorse finanziarie per collocare dei sensori di allarme da entrambi i lati del confine".
Più sistematico l’approccio di Fireshield, un progetto nato nell’ambito del programma IPA dell’Unione europea, con cui due comuni macedoni, Vrapciste e Bogovinje, e un comune albanese, Cerrik, si sono impegnati a gestire insieme gli incendi nei loro territori. Il progetto copre una vasta gamma di attività, che vanno dalla fornitura di materiali all’organizzazione di esercitazioni comuni e ad attività di sensibilizzazione nelle scuole. I due comuni macedoni sorgono ai margini meridionali dei monti Šar, per cui, assicura il responsabile del progetto Rubin Nikoloski, anche il parco ne beneficerà.
Vista dei monti Šar (foto: Marco Ranocchiari/OBCT)
Territori in profonda trasformazione
"Nel 1949, al momento dell’istituzione del parco nazionale di Galičica, c’erano più di 30.000 pecore. Ora non ce ne sono più, forse una trentina", racconta Andon Bojadzi, responsabile del dipartimento di conservazione di questo parco che sorge sulla dorsale montuosa che separa i laghi di Ohrid e Prespa, al confine tra Macedonia del Nord e Albania. Oltre a ridurre la sorveglianza sul territorio, spiega Bojadzi, lo spopolamento delle montagne qui e altrove nei Balcani provoca cambiamenti ecologici profondi, che modificano anche la risposta del territorio agli incendi: "Ora c’è erba alta dappertutto e sono cresciuti moltissimi cespugli di ginepro che bruciano molto bene, è un combustibile naturale".
Eppure gli effetti di questi cambiamenti sono ancora poco conosciuti. "Le praterie montane di Galičica sono caratterizzate da una altissima biodiversità, anche 60-70 specie in un’area ridotta – ma rischiamo di perderla”, continua Bojadzi. “Da un nostro studio è emerso che alcune specie chiave, come la Sideritis, si sono in realtà perfettamente adattate agli incendi, che si verificavano anche un tempo ma su piccola scala, innescati dai pastori. Per valutare quello che sta accadendo oggi serve molta più ricerca scientifica. Lo Stato dovrebbe mandare qualcuno non solo nei Balcani ma in tutti i Paesi del Mediterraneo che condividono problemi simili".
Correre più degli incendi
Nell’ultimo ventennio l’impatto degli incendi boschivi in Macedonia del Nord è stato altalenante, coi picchi del 2007, 2011-2012, 2019 e 2021 che si sono alternati a stagioni abbastanza tranquille, come l’estate appena finita. Tuttavia, gli indicatori dicono che il rischio di incendi è in aumento, e già da anni il fuoco figura stabilmente tra le prime minacce ambientali per il Paese.
Oltre allo spopolamento, il fattore determinante è la crisi climatica, che allunga sempre di più la stagione calda e rende più frequenti i fenomeni estremi. Già indebolite dall’incuria e dall’impianto di specie inadatte, le foreste si scoprono più vulnerabili a infestazioni di insetti e funghi. A questo si somma l’espansione più o meno selvaggia di aree urbane come quella di Skopje, che crea una fascia di transizione tra le città e le foreste sempre più intricata e infiammabile.
Di fronte a queste minacce Bekim Maksuti è convinto che, nonostante i ritardi, il Paese sia sulla buona strada. "Stiamo facendo la nostra parte. E anche su questo ci stiamo preparando per il prossimo passo, l’adesione all’UE. Dal 2014, per esempio, possiamo lavorare contemporaneamente con tre Canadair. Stiamo anche migliorando per quanto riguarda il reclutamento dei volontari – un apporto fondamentale che però finora, come tipico dei Paesi ex comunisti, è rimasto un tasto dolente".
Quello che è da dimostrare è che i miglioramenti procedano più velocemente della minaccia del fuoco. E che le aree protette della Macedonia del Nord, ecologicamente tra le più importanti d’Europa, non siano lasciate indietro.
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