Macedonia del Nord, il “no” della Francia porta alle elezioni anticipate
La Macedonia del Nord resta di nuovo sull’uscio dell’UE, stavolta per l’opposizione francese. Deluso dal "no" di Macron, il premier Zoran Zaev tenta di correre ai ripari con elezioni anticipate, che si preannunciano complicate
Un "grave, storico errore". Così il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha descritto la decisione del Consiglio europeo di non aprire i negoziati di adesione con la Macedonia del Nord e l’Albania. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha dichiarato che l’UE non ha mantenuto le proprie promesse, chiedendo poi ai paesi aspiranti candidati di non arrendersi. Il Commissario europeo per l’allargamento Johannes Hahn ha sottolineato che questo non è un momento di gloria per l’UE. "Rifiutare il riconoscimento di progressi comprovati avrà conseguenze negative", ha dichiarato Hahn. Il veto francese, etichettato come una decisione "catastrofica" che mina la credibilità dell’UE nei Balcani, è stato ampiamente criticato da politici, intellettuali e organizzazioni in tutta Europa.
Il terzo rinvio consecutivo per l’inizio dei negoziati di adesione ha fortemente compromesso la reputazione politica interna di Zaev. La narrazione di Zaev da quando è salito al potere era che, se Skopje avesse mostrato risultati concreti, avrebbe sicuramente ottenuto una data per l’inizio dei negoziati di adesione. Invece, la conclusione della scorsa settimana è che "il Consiglio europeo tornerà sulla questione dell’allargamento prima del vertice UE-Balcani occidentali a Zagabria nel maggio 2020". Non una data, non un inizio, né un chiaro no: solo la possibilità di parlare ancora del possibile inizio dei negoziati. Questa è una condanna a morte politica per Zaev e il suo governo. Non sorprende che i principali partiti di opposizione stessero celebrando dopo il no: le loro possibilità di tornare al potere sono oggi reali.
Tuttavia, per comprendere le conseguenze del "no" francese e perché Zaev non avesse alternative se non quella di provare a ristabilire la propria credibilità politica attraverso elezioni anticipate, è necessario risalire a diversi anni fa: almeno al 2006, l’anno delle ultime elezioni non anticipate prima di cinque mandati, terminati tutti prima del termine a causa delle turbolenze politiche nel paese.
La strada per le elezioni anticipate del 2020
Il vincitore delle elezioni generali del 2006 fu il partito conservatore/nazionalista VMRO-DPMNE con l’allora nuovo leader Nikola Gruevski, giovane tecnocrate e politico moderno, la cui unica esperienza politica era quella da ministro delle Finanze nel periodo 1998-2002. Ci si aspettava che Gruevski trasformasse il paese, avvicinandolo all’UE e alla NATO: gli obiettivi strategici del paese dalla sua indipendenza dall’ex Jugoslavia nel 1991.
Ma c’erano tre ostacoli principali sulla strada dell’integrazione euro-atlantica. Innanzitutto le necessarie riforme interne, in modo che il paese potesse soddisfare i criteri di adesione. Inoltre c’erano due controversie aperte con Grecia e Bulgaria, paesi membri UE e NATO con potere di veto. Il vicino meridionale si opponeva all’uso del nome "Macedonia" citando preoccupazioni storiche e irredentiste, mentre la Bulgaria si opponeva all’esistenza della lingua macedone e dell’identità etnica macedone prima dell’istituzione della Jugoslavia socialista.
Durante i primi due-tre anni del proprio mandato Gruevski, insieme ai due partner di governo (il partito etnico albanese DPA e il piccolo partito socialista NSDP), si concentrò sull’agenda delle riforme. Nell’ottobre 2009, la Commissione europea pubblicò la prima raccomandazione per l’avvio dei negoziati di adesione. A dicembre 2005 la Macedonia settentrionale ottenne lo status di paese candidato all’UE. Ma un anno prima, durante il vertice NATO del 2008 a Bucarest, era arrivato il primo grande veto: un veto che avrebbe cambiato per sempre il corso del paese.
Il no greco
La Repubblica di Macedonia, come si chiamava allora, fece domanda per l’adesione alla NATO sotto il suo riferimento ONU di "ex Repubblica jugoslava di Macedonia" (FYROM), insieme ad Albania e Croazia. A sostegno della domanda, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush aveva dichiarato che si aspettava che tutti e tre i paesi venissero accettati nell’alleanza durante il vertice. Tuttavia, indipendentemente dall’appello di Bush, la Grecia pose il veto all’adesione del suo vicino settentrionale.
Finito in un vicolo cieco con le sue aspirazioni euro-atlantiche, poiché la Grecia chiedeva un cambio di nome per revocare il veto, Gruevski chiese immediatamente elezioni anticipate. La sua coalizione, cavalcando l’ondata di furia popolare, vinse 63 seggi su 120. Con questa vittoria schiacciante avrebbe potuto governare da solo, ma invece preferì entrare in coalizione con il DUI. Quindi si concentrò sui risultati più facili.
Innanzitutto, avviò un procedimento contro la Grecia presso la Corte internazionale di giustizia (ICJ). Nel frattempo, invece di lavorare sull’integrazione euro-atlantica, si concentrò su politiche identitarie riempiendo Skopje di monumenti. Forte della decisione positiva dell’ICJ, che aveva constatato che il veto greco era ingiustificato e in contraddizione con l’accordo sponsorizzato dall’ONU del 1995 in cui la Grecia si impegnava a non bloccare l’associazione del suo vicino settentrionale a organizzazioni internazionali a patto che usasse la denominazione ex Repubblica jugoslava di Macedonia, Gruevski fece crescente affidamento sulla retorica di auto-vittimizzazione.
Nei sei anni seguenti questo un tempo ambizioso tecnocrate, con l’aiuto dell’alleato DUI, riuscì a prendere in ostaggio lo stato, trasformandosi così in un modello di sovrano autoritario. Corruzione, costante declino della libertà dei media, dirottamento delle risorse pubbliche a beneficio di pochi, intercettazioni di massa di oppositori e cittadini, polarizzazione della società lungo linee politiche, etniche e ideologiche, indebolimento della società civile e assalto al parlamento: sono alcuni dei suoi "migliori" "risultati.
Le bombe di Zaev
I cittadini scontenti del governo antidemocratico di Gruevski organizzarono tre grandi proteste nel periodo 2014-2016. Prima, alla fine del 2014, gli studenti scesero in piazza diverse volte contro il piano del governo di sostituire gli esami gestiti dall’università con test di stato. Tra maggio e giugno 2015, a seguito dello scandalo intercettazioni telefoniche, ci fu una protesta di massa guidata dal partito di opposizione SDSM nella capitale Skopje, terminata solo dopo un accordo per le elezioni anticipate, mediato dalla comunità internazionale. E poi, da aprile a luglio 2016, scoppiò la cosiddetta rivoluzione colorata. Le proteste, con il motto "nessuna pace senza giustizia", furono accese dalla controversa decisione del presidente in carica Gjorgje Ivanov di bloccare le indagini contro i politici coinvolti nello scandalo intercettazioni.
Tutto si stabilizzò dopo le elezioni anticipate del 2016. Sebbene il VMRO-DPMNE avesse vinto 51 seggi contro i 49 di SDSM, Gruevski non riuscì a formare una maggioranza a causa del rifiuto di tutti i partiti minori di entrare in coalizione. Così Zaev, insieme alla DUI e diversi partiti minori, andò al governo con la promessa di riforme sostanziali e completo smantellamento del sistema creato da Gruevski.
In pratica, però, il governo di Zaev ha puntato tutto su una singola carta: l’integrazione euro-atlantica. Prima con l’accordo di Prespa con la Grecia, cambiando così il nome del paese in "Repubblica della Macedonia del Nord"; poi con un accordo di buon vicinato con la Bulgaria. In breve tempo, ha fatto delle concessioni semplicemente inimmaginabili per i precedenti governi, poiché il prezzo politico era ritenuto troppo alto. L’opposizione popolare, prevalentemente tra i macedoni etnici, è elevata in quanto tutte queste concessioni sono viste come tradimento degli interessi nazionali. La matematica era semplice: Zaev aveva promesso l’adesione alla NATO e l’inizio dei colloqui con l’UE in cambio del difficile compromesso con Grecia e Bulgaria.
L’equazione ha ottenuto l’appoggio di un lungo elenco di dignitari e diplomatici stranieri di alto livello, che nelle settimane prima del referendum sul nome hanno visitato la Repubblica di Macedonia invitando gli elettori a cogliere l’"opportunità storica". Anche il presidente francese Emmanuel Macron aveva sostenuto l’accordo tramite un videomessaggio registrato. "Credo fermamente che questo accordo sia positivo per voi, per l’intera regione e l’Europa", ha dichiarato Macron, esortando le persone a rispondere positivamente al quesito referendario "Sostieni l’adesione all’UE e alla NATO accettando l’accordo tra Macedonia e Grecia?"
Le conseguenze
Durante l’incontro del fine settimana (domenica 20 ottobre) ospitato dal presidente macedone Stevo Pendarovski, i leader dei sette partiti parlamentari hanno definito la tabella di marcia per i prossimi mesi. Dopo il "no" francese, hanno ribadito che il paese insisterà sul suo cammino verso l’UE poiché non vi sono altre alternative desiderabili. Inoltre, seguendo la regola precedentemente stabilita, un governo ad interim entrerà al potere cento giorni prima della data delle elezioni per gestire il processo. Pertanto, Zaev si dimetterà il 3 gennaio e la sua posizione sarà assunta dal ministro degli Interni Oliver Spasovski, mentre alcuni posti chiave saranno assegnati ai rappresentanti dell’opposizione.
Il lato positivo di tutto ciò è che, a seguito del "no" francese, le élite politiche del paese sono riuscite a negoziare un accordo senza grandi drammi e aiuti internazionali: una gestione abbastanza matura della crisi, tenendo conto degli eventi degli anni passati. Inoltre, l’élite politica è stata abbastanza responsabile a prescindere dalla delusione popolare e dall’apatia.
Pendarovski ha chiamato i leader dei maggiori partiti politici a lasciare da parte i legittimi interessi di partito e riaffermare una visione comune per il paese. "Ora è il momento di mostrare unità attorno ai nostri obiettivi strategici. Le conclusioni del Consiglio europeo non sono all’altezza delle nostre giustificate aspettative e non corrispondono ai precedenti annunci dell’UE. Pur delusi, dobbiamo affrontare seriamente la nuova realtà", ha twittato Pendarovski. Il ministro degli Esteri Nikola Dimitrov ha chiesto una sola cosa: l’Unione europea deve essere diretta con i paesi dei Balcani. "Se non c’è più consenso sul futuro europeo dei Balcani occidentali, se la promessa di Salonicco 2003 non è più valida, i cittadini meritano di saperlo", ha affermato Dimitrov.
Delle due promesse, Zaev è riuscito a mantenere solo la prima. Si prevede che all’inizio del 2020 la Macedonia settentrionale sarà il trentesimo membro della NATO, poiché la ratifica del protocollo di adesione è quasi completata. I vari paesi membri rimanenti dovrebbero ratificarlo nei prossimi mesi. Con tali risultati, Zaev si dimetterà il 3 gennaio in vista delle elezioni anticipate di aprile e sperando in un altro mandato di quattro anni sulla scia del suo successo sulla NATO. Tuttavia, i sondaggi più recenti non sono a suo favore. E le cose sarebbero molto diverse se ci fosse stato un oui anziché un non.
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