Macedonia, dalla redazione alla prigione
Il caso del giornalista Kežarovski, incarcerato dopo aver scritto di un intreccio di abusi e corruzione, mette a dura prova le libertà di stampa e d’espressione in Macedonia. Mentre la comunità internazionale e l’UE manifestano la propria preoccupazione, Kežarovski resta in carcere in attesa della sentenza definitiva
Il 22 ottobre scorso Tomislav Kežarovski, giornalista del periodico Reporter 92, è stato condannato a quattro anni e mezzo di carcere per aver fatto il suo lavoro. Il tribunale di primo grado di Skopje lo ha infatti giudicato colpevole per aver scritto un articolo in cui rivelava l’identità di un testimone sotto protezione in un torbido processo per l’omicidio di un anziano nel villaggio di Oreše, vicino a Veles. Insieme a lui sono state condannate altre sette persone, tra cui alcuni magistrati, per vari reati che vanno dalla corruzione all’abuso d’ufficio, ma la pena comminata a Kežarovski, che ha solo riportato misfatti altrui, è stata tra le più pesanti.
L’intricata vicenda di corruzione e abuso, che sembra legata a una guerra intestina tra strutture parallele nella polizia e servizi di sicurezza dello stato, ha riempito le pagine dei giornali dalla fine di maggio quando, con una spettacolare azione di polizia, Kežarovski e gli altri imputati sono stati arrestati. Kežarovski ha detto di aver ricevuto le informazioni da una fonte anonima che gli ha dato dei documenti delicati sul caso, di averli studiati e di aver deciso di pubblicare le informazioni per svelare la corruzione e gli abusi nella polizia.
Il testimone
Il caso Oreše, come riportato dai media nazionali, si basava esclusivamente sulle dichiarazioni di un testimone protetto che inchiodava gli assassini. Per due volte il tribunale di primo grado di Veles ha condannato gli imputati basandosi sulla testimonianza chiave, e per due volte la corte d’appello ha annullato la sentenza.
Poi, durante il terzo processo che si è tenuto nel febbraio di quest’anno, c’è stata una svolta: il testimone ha cambiato versione. In quell’occasione ha detto di essere stato costretto a testimoniare il falso dagli ispettori di polizia, che prima gli hanno offerto del denaro e poi lo hanno minacciato di farlo finire in prigione per 30 anni. Col venir meno della testimonianza chiave il tribunale di primo grado ha assolto gli imputati, ma ora il processo è nuovamente in appello. Tre mesi dopo Kežarovski è stato arrestato; la sua colpa sarebbe quella di aver consentito l’intimidazione del testimone di cui aveva svelato l’identità.
Scontro fra fazioni della polizia
È chiaro a prima vista che c’è qualcosa sotto: non c’è altro modo di spiegare come mai l’omicidio di un anziano in un villaggio possa causare tanto scalpore a distanza di diversi anni. Dopotutto, gli omicidi non sono così rari in Macedonia. La stampa nazionale ritiene giustamente che sotto ci sia una sorta di scontro tra le potenti strutture segrete della polizia.
Gli imputati nel processo Oreše affermano di essere stati incastrati dai funzionari di polizia per ragioni di vendetta; il testimone protetto ha detto di essere stato corrotto e minacciato dagli investigatori e Kežarovski, nelle sue dichiarazioni conclusive durante il processo, si è detto sicuro che la sua non è una condanna per aver rivelato l’identità del testimone ma al contrario una ritorsione per non aver fatto i nomi di chi gli ha dato i documenti segreti.
Libertà per Kezo
L’arresto di Kežarovski ha agitato gli animi non solo in Macedonia. I suoi colleghi hanno organizzato diverse proteste per chiederne la liberazione. L’OSCE e altre organizzazioni internazionali hanno espresso preoccupazione per il caso. E una campagna per la sua liberazione è stata organizzata la scorsa estate: attivisti, intellettuali e deputati dell’opposizione hanno indossato magliette con la scritta “Libertà per Kezo”.
Giusto per mettere le cose in chiaro, sembra proprio che Kežarovski abbia commesso il reato per cui è stato condannato, anche se non è del tutto chiaro se il testimone fosse già sotto protezione all’epoca della pubblicazione dell’articolo. Ciononostante, come notato dai suoi sostenitori, la pena inflitta è decisamente sproporzionata rispetto a quelle delle altre persone coinvolte. E il tribunale non ha accettato la sua commossa richiesta di scarcerazione in attesa dell’appello, che è invece stata concessa agli imputati con pene più leggere.
La sentenza oltre ad aver provocato rabbia ha probabilmente contribuito a rinforzare l’immagine di una Macedonia sulla via dell’autoritarismo. E infatti molti si domandano perché Kežarovski debba essere incarcerato mentre altre persone chiaramente coinvolte nella vicenda sono a piede libero.
La rappresentante dell’OSCE per la libertà dei media, Dunja Mijatović, si è detta “inorridita” dalla sentenza, mentre l’influente Associazione nazionale dei giornalisti (AJM) ha dichiarato che la Macedonia è l’unico paese nel sud-est Europa ad aver messo un giornalista in carcere per quello che ha scritto e ha chiesto al primo ministro Nikola Gruevski di adoperarsi per la sua liberazione. Gruevski dal canto suo ha invitato i media a non politicizzare il caso, ma il presidente dell’AJM, Naser Selmani, ha auspicato che il primo ministro “non perda l’occasione” per dimostrare che il governo si preoccupa della libertà d’espressione.
Bruxelles critica
La condanna di Kežarovski ha fatto esplodere il malcontento dell’Unione europea verso la Macedonia. La Commissione europea, a seguito di un incontro a Bruxelles tra Gruevski e il commissario all’allargamento Štefan Füle, ha diffuso una dichiarazione in cui si afferma che il caso sarà osservato da vicino, che sarà valutata la sentenza definitiva, e che l’UE agirà di conseguenza.
L’inviato del Parlamento europeo per la Macedonia, Richard Howitt, venuto a Skopje per una visita di routine nei giorni dopo la sentenza, ha espresso seria preoccupazione per la giustizia selettiva e per l’impatto del caso Kežarovski sulla già diminuita libertà di espressione nel Paese.
Al momento, la liberazione di Kežarovski sembra improbabile. A meno di una più forte pressione internazionale, è possibile che il giornalista resterà in carcere semplicemente per ciò che ha scritto.
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