Macedonia-Bulgaria, “popoli fratelli”
Le reazioni in Macedonia all’accordo di buon vicinato tra Skopje e Sofia, tra ribaltamenti di posizioni ideologiche radicate nei decenni dei partiti tradizionali e prese di posizione dei monaci ortodossi
La recente firma del trattato di buon vicinato tra Skopje e Sofia ha provocato in Macedonia reazioni a 360 gradi. Come era facile prevedere, l’opposizione di centrodestra della VMRO e i media vicini al partito hanno criticato apertamente l’intesa. Altrettanto prevedibilmente, i socialdemocratici al governo l’hanno invece sostenuta con forza.
Reazioni significative sono arrivate però anche da fonti piuttosto inusuali o inaspettate come la confraternita dei monaci del monastero di Sveti Jovan Bigorski. Anche storici prominenti e organizzazioni della diaspora macedone non hanno esitato a dire la loro. Per completare il quadro, va poi sottolineato il basso profilo sull’accordo tenuto in generale dai partiti etnico-albanesi.
Il background
Fino a non molti anni fa, la situazione politica in Macedonia veniva letta attraverso la lente di una dicotomia ideologica piuttosto chiara: da una parte l’SDSM, partito di centrosinistra con impianto ideologico socialdemocratico, veniva considerato un partito pro-jugoslavo e pro-serbo. Dall’altra il VMRO-DPMNE, formazione conservatrice con ideologia cristiano-democratica veniva considerata molto vicina alle posizioni bulgare.
Naturalmente all’interno di questa visione dicotomica i socialdemocratici non potevano che essere anti-bulgari mentre la VMRO anti-jugoslava e anti-serba.
Nella vita reale questa semplificazione in bianco e nero ha ceduto spesso il passo ad un sistema partitico in realtà largamente post-ideologico, dove più volte il partito conservatore ha spinto per iniziative di carattere liberale e viceversa. Agli occhi dei comuni cittadini, però, almeno la dicotomia pro-bulgara e pro-serba è rimasta a lungo radicata.
Le cose sono cominciate a cambiare in modo visibile dopo il lungo decennio al potere del leader della VMRO Nikola Gruevski (2006-2017), quando questo tipo di dinamica si è mostrata gradualmente sempre più obsoleta.
Prima della pubblicazione dell’accordo
Le basi dell’accordo di buon vicinato sono state poste alla fine degli anni ’90 durante il governo, sempre targato VMRO, di Ljubcho Georgievski. I socialdemocratici, allora all’opposizione, accusarono subito il governo di tradire gli interessi nazionali tacciando il partito e il suo leader di lavorare a favore degli interessi bulgari. Proprio la forte opposizione socialdemocratica, insieme alle ritrosie dei media e di buona parte dell’opinione pubblica fecero in modo che l’accordo venisse messo in un cassetto, in attesa di tempi migliori.
Tempi migliori arrivati quasi vent’anni più tardi, quando il nuovo primo ministro socialdemocratico Zoran Zaev, durante una recente visita in Bulgaria, ha annunciato che l’accordo di buon vicinato sarebbe stato firmato nell’arco di poche settimane, alla vigilia delle celebrazioni per la rivolta di Ilinden (2 agosto). Le uniche informazioni disponibili al pubblico erano che l’accordo avrebbe ricalcato in modo quasi identico la dichiarazione congiunta degli anni ’90. Con il testo dell’accordo non reso pubblico, e con vari punti ancora da negoziare, le reazioni all’annuncio della firma da parte di opinione pubblica e partiti politici sono state inizialmente molto limitate.
In questa fase, la principale richiesta dei partiti d’opposizione è stata quella di rendere accessibile l’accordo all’opinione pubblica, per poterlo visionare e commentare. L’intesa è stata quindi prima discussa in una sessione chiusa al pubblico del parlamento di Skopje e, subito dopo, i termini dell’accordo sono stati effettivamente resi pubblici.
Dubbi e dibattito
Il governo ha descritto l’accordo come una base solida è ben equilibrata per chiudere le questioni ancora aperte con la vicina Bulgaria, concentrato sul futuro piuttosto che sul passato. Sostegno all’intesa è arrivato anche dai media vicini all’esecutivo, come da alcune testate indipendenti che l’hanno commentata in termini fondamentalmente positivi. Per i sostenitori del documento, l’accordo non contiene minacce alla sovranità e all’identità nazionale macedoni, mentre Skopje e Sofia hanno mostrato la capacità di discutere e risolvere questioni aperte senza l’intervento di mediatori esterni. “E’ così che gli adulti affrontano i problemi”, potrebbe essere riassunto in una battuta.
D’altro lato l’opposizione ha puntato il dito su tre questioni principali che rimarrebbero irrisolte: lingua, storia comune e minoranze etniche. Una posizione condivisa anche da parte dei media, alcuni intellettuali ed organizzazioni non governative “patriottiche”. Ad attirare le preoccupazioni di questa variegata costellazione di soggetti sono soprattutto le dispute sulle minoranze, con l’accordo accusato di essere asimmetrico in favore degli interessi bulgari.
Qui la voce più critica arriva proprio dal VMRO, partito che negli anni ’90 veniva accusato di essere esplicitamente pro-bulgaro. In una dichiarazione ufficiale, il partito di Gruevski afferma di sostenere un’intesa con la Bulgaria, ma che nella forma in cui è stato sottoscritto da Zaev questo presenta “seri problemi”
Nell’intesa inoltre non c’è alcuna conferma del riconoscimento di una lingua macedone separata da quella bulgara da parte di Sofia: la questione è particolarmente sentita in Bulgaria dove la lingua macedone viene ritenuta come un dialetto del bulgaro. Nella definizione ufficiale il documento risulta redatto “nelle due lingue ufficiali, come definite dalle rispettive costituzioni”: secondo i critici, un’inaccettabile concessione alla parte bulgara.
L’altro elemento critico è la “storia comune” tra i due popoli. Qui il riferimento è soprattutto allo stato medievale dello Tsar Samoil (o Samuil), e alla lotta di indipendenza dall’Impero ottomano. Secondo le voci critiche, celebrazioni congiunte bulgaro-macedoni sono possibili, ma solo dopo scuse ufficiali da parte di Sofia per i crimini commessi durante l’occupazione della Macedonia durante la Seconda guerra mondiale, quando l’allora Regno di Bulgaria era alleato dell’Asse. Secondo questa visione, la leadership bulgara dovrebbe presentare un atto simbolico e ufficiale di contrizione, sull’esempio di quanto fatto dal cancelliere tedesco Willy Brandt di fronte alle vittime della rivolta del ghetto di Varsavia in Polonia.
L’ultima questione riguarda la presenza di minoranze etniche nei due paesi sottoscrittori. La Diaspora unita macedone (UMD) in una dichiarazione scritta ha espresso serie preoccupazioni sul “contenuto incompleto, vago e contraddittorio del trattato”, con particolare riferimento all’articolo sulle minoranze. Secondo l’organizzazione, con questo articolo “la Macedonia rinuncia alla lotta per i diritti umani e culturali della minoranza macedone in Bulgaria”, una posizione definita “inaccettabile”.
L’UMD sottolinea poi che negli ultimi vent’anni, la Bulgaria ha concesso con estrema facilità migliaia di passaporti a cittadini macedoni “nel tentativo di supportare la falsa pretesa che i macedoni siano in realtà bulgari”. Per l’organizzazione, la reale motivazione che ha spinto numerosissimi cittadini macedoni ad acquisire un passaporto bulgaro è in realtà prettamente economica.
"Popoli fratelli"
Una delle reazioni meno prevedibili alla firma dell’intesa bilaterale è arrivata infine da una dichiarazione scritta della confraternita dei monaci del monastero di Sveti Jovan Bigorski, uno dei più antichi ed importanti in Macedonia. Utilizzando spesso l’espressione “popoli fratelli”, i monaci hanno accolto l’accordo con parole estremamente positive come “lo sbocco naturale degli sviluppi storici”. In chiusura del testo, è stata inserita una significativa citazione dal Libro dei Salmi: “Quanto è buono e piacevole, quando i figli di Dio vivono insieme ed uniti!”
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