Macedonia: armi leggere, problemi pesanti
In Macedonia si raccolgono armi di piccolo calibro. Saferworld denuncia: ancora 100.000 quelle detenute illegalmente dai cittadini macedoni e nota come il successo dell’iniziativa non può che non partire da un cambiamento culturale nel Paese.
Sino allo scoppio delle ostilità nel 2001 tra comunità albanese e slava della Macedonia in pochi percepivano l’urgenza di combattere la proliferazione di armi leggere nel Paese. Questione poi divenuta tragicamente palese con lo scoppio del conflitto che ha portato la Macedonia al limite del baratro. Ci si è fermati un attimo prima, grazie ad un energico intervento diplomatico in particolare dell’Unione Europea. Ora il governo attuale, coalizione tra i socialdemocratici (SDSM) e la Lega democratica per l’integrazione (DUI), partito che rappresenta gran parte dell’elettorato albanese, ha dato priorità nella propria agenda politica all’approvazione di misure che limitino la proliferazione di armi leggere.
Si calcola che siano circa 100.000 le armi leggere illegalmente detenute in Macedonia. E’ luogo comune tra gli slavo-macedoni affermare che queste ultime proverrebbero dall’Albania quando, nella crisi del 1997, vennero saccheggiate caserme e stazioni di polizia. Circa 650.000 armi da fuoco entrarono in quell’occasione nel mercato nero. Ma in realtà già ai tempi dell’indipendenza della Macedonia, nel 1991, si calcola che in Macedonia a fronte delle 52.000 armi legalmente denunciate ve ne fossero altrettante di illegali. La fine dei conflitti in Croazia e Bosnia Erzegovina ha poi "liberato ulteriori risorse". Questo emerge chiaramente da cifre ufficiali fornite dal Ministero degli interni macedone relative ai sequestri di armi leggere. Solo due sequestri nei due anni precedenti all’indipendenza; nel 1992 vennero sequestrate 220 armi ed al 1996 la somma era arrivata a 1103. Vi è poi stata una crescita esponenziale nei tardi anni ’90. Nel solo 1999 vennero ad esempio sequestrate 2610 armi.
La crisi in Macedonia del 2001 ha certamente peggiorato la situazione. Le autorità macedoni hanno distribuito armi ai riservisti ed ai civili. Il Ministero degli interni ha in più occasioni dichiarato che parte di esse sono poi state restituite immediatamente dopo la firma degli Accordi di Ohrid ma in realtà la gran parte di esse è rimasta nelle mani dei riservisti. Ad accentuare considerabilmente il problema i confini porosi tra Macedonia, Kossovo ed il sud della Serbia. Si calcola che nella regione sopramenzionata vi siano 700.000 armi leggere, molte delle quali fuori dal controllo delle autorità.
In un recente rapporto, il centro di ricerca indipendente Saferworld, nota che in Macedonia, nonostante inefficienze e difficoltà il governo, sul tema della armi leggere, abbia imboccato la strada giusta dimostrando la propria volontà politica di affrontarlo e porvi rimedio. Sono state approvate due nuove leggi. La prima in merito alla fornitura, possesso e porto di armi leggere, che migliora le attuali procedure per ottenere il porto d’armi. La seconda ha aperto la strada per l’avvio, lo scorso 1 novembre, di un’amnistia sul possesso illegale di armi e la conseguente consegna di queste ultime alle autorità competenti.
"La prima fase della raccolta di armi leggere, condotta dal primo al 10 novembre è da ritenersi soddisfacente" ha dichiarato Blagoja Markovski, responsabile per conto del governo del Centro per la raccolta delle armi. "314 fucili, 7668 munizioni di vario calibro, 157 bombe, 15 mine, 10 granate e sei lanciagranate, 71 chilogrammi di esplosivo e 225 detonatori, il risultato di questi giorni di raccolta" ha reso noto Markovski che ha anche ricordato come a questo sono da affiancare le 165 richieste di porto d’armi che potrebbero sanare situazioni attualmente non legali. La raccolta di armi leggere continuerà anche nei prossimi giorni. "Vi è la preoccupazione che anche l’attitudine pubblica nei confronti del possesso di armi non favorisca la raccolta" si afferma nel rapporto di Saferworld "alcune parti della società macedoni considerano infatti il possesso di un’arma non una minaccia ma l’affermazione del proprio status. E vi sono ancora troppe poche ONG che si occupano dell’argomento e che siano in grado di farlo con entrambe le comunità, quella slava e quella albanese".
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