L’Unione europea e i Balcani occidentali: valutazione del programma di pre-accesso
Questa tesi indaga sul processo di integrazione degli stati dei Balcani Occidentali nell’Unione Europea, focalizzandosi sui Programmi di Pre-accesso messi in campo durante gli ultimi vent’anni per tentare una più rapida ed efficace convergenza politico-economica dei paesi dell’ex Jugoslavia
Il dibattito riguardante l’incerto rapporto tra UE e Balcani Occidentali si è quasi sempre snodato su un piano prevalentemente politologico e culturale. Eppure, subito dopo la firma degli Accordi di Dayton, le due parti si sono legate con svariati (e cospicui) programmi di assistenza, creati appositamente per permettere un avvicinamento economico, politico e sociale dei paesi balcanici con il resto del continente.
Dopo aver esteso ai Balcani il PHARE, strumento di assistenza ideato per i paesi dell’Europa Centro Orientale prossimi all’ingresso, nel 2000 l’UE lancia CARDS, un programma mirato a ricostruire in tutti i paesi potenzialmente candidati i principali tasselli istituzionali ed economici, promuovendo progetti infrastrutturali, di stabilizzazione democratica e di cooperazione regionale.
Nel 2003, alla conferenza di Salonicco viene firmata una dichiarazione in cui si assume che l’UE debba sostenere gli Stati Balcanici, il cui futuro non può che essere all’interno dell’Unione. Queste parole rappresentano uno spartiacque nel processo di avvicinamento tra UE e Balcani Occidentali, venendo successivamente sostanziate dalla creazione di un nuovo programma: l’IPA (Instrument for Pre-Accession Assistance). Di durata settennale, l’IPA viene suddiviso in cinque componenti dedicate al rafforzamento delle istituzioni, alla cooperazione transfrontaliera, allo sviluppo regionale, delle risorse umane e rurale.
Tra queste componenti merita sicuramente attenzione la quarta, intitolata “Human Resources Development”, dedicata specificatamente al mercato del lavoro, all’istruzione e alla coesione sociale. Un’area molto delicata, visti gli alti tassi di disoccupazione presenti in quasi tutti i paesi balcanici, nonché il basso grado di scolarizzazione e la diffusa frammentazione della popolazione, sia di genere che di etnia.
La Croazia e la Macedonia sono gli unici (oltre alla Turchia) ad avere accesso ai fondi allocati all’interno di questa componente, avendo ricevuto per primi lo status di “candidati ufficiali”. Parliamo di due realtà da sempre agli antipodi, sia per struttura economica che per stabilità politica e sociale.
Al termine del febbraio 2015, le statistiche ufficiali parlano di un netto differenziale nella capacità di assorbimento dei finanziamenti interni alla quarta componente. Mentre la Croazia ne ha utilizzato il 60% (con 20 milioni già contrattati per progetti futuri), la Macedonia è riuscita a sfruttarne solo il 32% (con appena 6 milioni allocati per nuove iniziative).
Questo divario nella capacità di assorbimento sembrerebbe ricalcare la fortuna del loro processo di accesso. Da un lato la Croazia è stata capace di conquistarsi un posto all’interno dell’Unione, facendo affidamento su un’economia solida ed un sistema politico sviluppato, dall’altro la Macedonia si ritrova tuttora in una posizione ancora molto lontana, con un’economia arretrata rispetto agli standard europei ed un gap democratico non indifferente.
In realtà, la questione non è così lineare e, numeri alla mano, si può dimostrare che l’assorbimento dei fondi europei nella fase di pre-accesso non abbia minimamente influito sui percorsi differenziati di questi due Stati. Si nota infatti come la Macedonia abbia compiuto dei passi da gigante nel periodo 2007-2014, andando a migliorare quasi tutti i principali indicatori rientranti negli obiettivi della quarta componente (tasso di disoccupazione ed occupazione, dispersione regionale del PIL, popolazione a rischio povertà, tasso di abbandono scolastico). Al contrario, la Croazia, complice il duro impatto della crisi economica, ha visto un netto peggioramento di tutti questi valori, con un peso particolare sulla disoccupazione giovanile, passata in pochi anni dal 25 al 50%.
Questo lavoro indaga proprio su questo fenomeno, valutando quanto i progetti implementati in Croazia e Macedonia all’interno della IV Componente IPA abbiano influito sulle diverse condizioni del mercato del lavoro, del grado di istruzione e della coesione sociale. Allo stesso modo, viene passata in rassegna la connessione tra il programma IPA e le azioni portate avanti sia dalle istituzioni europee, sia dai governi di Zagabria e Skopje. Qual è stata, tanto in termini di convergenza politica ed economica, quanto di intesa progettuale e di risoluzione delle dispute, la sinergia dimostrata negli ultimi dieci anni dalle realtà coinvolte? Quanto può essere considerato utile un programma come l’IPA per agevolare e rendere più efficace il processo di allargamento dell’UE?
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