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L’ultimo viaggio

Vera Mutafchieva, nota scrittrice di romanzi storici, è morta lo scorso 9 luglio, all’età di 80 anni. L’autrice, una delle figure intellettuali più importanti del panorama bulgaro, lascia più di trenta romanzi, tradotti in molte lingue, oltre a opere di carattere accademico sul mondo ottomano

17/08/2009, Tanya Mangalakova - Sofia

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Vera Mutafchieva, la più nota scrittrice di romanzi storici, è morta lo scorso 9 luglio all’età di 80 anni. Lascia più di trenta romanzi, tradotti in molte lingue, oltre ad opere di carattere accademico. I lettori bulgari la ricorderanno come una scrittrice di talento, gli storici per le molte pubblicazioni nel campo degli studi ottomani, che hanno ribaltato la rappresentazione storica della vita del popolo bulgaro durante la dominazione turca.

Per Vera Mutafchieva la storia deve essere avvicinata alla vita delle persone e resa più umana, anche attraverso romanzi di finzione letteraria. Tra le sue opere più note ricordiamo "Gli ultimi Shishmanovi", "Il libro di Sofroniy", "Io, Anna Comnena", "Il caso Cem". Vera, figlia del noto storico Petar Mutafchiev, ha anche scritto lo scenario del film bulgaro più visto di ogni tempo, "Han Asparuh".

La Mutafchieva ha pubblicato la sua prima opera nel 1965, "Annali di un tempo tumultuoso", nella quale presenta la vita dei bulgari al tempo delle lotte feudali all’interno dell’impero ottomano tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Fin dalla sua opera prima, l’autrice utilizza nella stesura materiale raccolto negli archivi ottomani. La sua tesi, è che nonostante le sofferenze provocate dall’anarchia che si allarga nell’impero, è proprio l’autorità imperiale a giocare un ruolo positivo nel risveglio nazionale dei bulgari, una tesi subito attaccata con veemenza dai circoli letterari e storici dell’epoca.

Segue "Il caso Cem" (1967), uno dei libri bulgari a tema storico più letti e venduti. Il libro racconta della sorte del principe Cem, fratello del sultano Bayazid II. Il palazzo di Cem non è pieno di soldati, ma di poeti. Da tutto l’oriente un fiume di cantanti e poeti arriva al palazzo di Konya, per essere ascoltati dal principe, che vive "ubriacandosi" d’arte. La madre del principe è una principessa serba, e per questo Cem non parla mai di "infedeli"; ma di "cristiani".

Dopo la morte di suo padre, il sultano Mehmed II, Cem viene mandato in esilio dal fratello Bayazid. Il romanzo racconta del vagabondare di Cem attraverso l’Europa, e del suo sentirsi dappertutto uno straniero "serbo o infedele tra i musulmani, saraceno o moro tra i cristiani".

Nei suoi scritti la Mutafchieva lascia trapelare numerosi riferimenti allo storico francese Braudel, vero e proprio tabù al tempo del regime comunista in Bulgaria. I canoni della storiografia di regime, infatti, negavano totalmente il fattore geografico nella determinazione di fatti storici, ritenendolo "borghese".

Nel suo saggio "La Montagna", la Mutafchieva scrive invece che questa ha diritto alla maiuscola, perché l’intera penisola balcanica le deve il nome. Anche i sultani si arrendono alla forza della montagna, e sono costretti a riconoscere ai bulgari che la abitano una forma di autonomia. La Mutafchieva, con precisione e gusto per la scrittura descrive i ferman (editti) del sultano in cui si vietava all’esercito di fermarsi nei villaggi a cui era stato riconosciuto questo status.

Questa vero stato nello stato, noto col nome di "derventdzhiiskite sela" (letteralmente "villaggi sui passi di montagna"), che ha basato la propria legittimità sul diritto consuetudinario, riuscendo ad autogestirsi per lunghi secoli. La "cittadella bulgara" sulle montagne non ha mai perso la propria autonomia, fino al 1878, quando la Bulgaria è rinata sulle carte d’Europa come stato indipendente.

La Mutafchieva è stata un nome scomodo e poco amato dagli storici bulgari di stampo nazionalista. Secondo l’autrice il diffuso termine "giogo turco" è storicamente errato, proponendo come alternativa "dominazione ottomana".

In uno dei suoi saggi più noti, la Mutafchieva scrive che ritiene positiva l’esistenza non di una sola ed unica storiografia bulgara, ma di molte chiavi di lettura, tra cui il pubblico possa liberamente scegliere le fonti che ritiene più affidabili.

Lo stile della Mutafchieva è colorito e sanguigno, e la sua profonda cultura le ha permesso di spaziare con facilità attraverso epoche storiche anche lontane, e di proporre interessanti paralleli geografici.

Particolarmente efficace è il suo saggio "La ‘duende’ e il ‘kef’", che propone il confronto tra diverse forme di "estasi" nella cultura spagnola e in quella balcanica. In Spagna la dominazione araba dura ben sette secoli (711-1492). "L’intero periodo che va dal VII al XV secolo in Spagna si rivela eccezionalmente vivo e dinamico, col fiorire progressivo dell’economia, dell’architettura e soprattutto del mondo culturale. E’ un periodo centrale nella creazione della moderna nazione spagnola, che come nel caso balcanico, prende vita sotto dominazione musulmana".

La Mutafchieva fa riferimento al saggio di Federico Garcia Lorca "La ‘duende’", per descrivere la cultura sincretica nata in Andalusia, penetrata profondamente da passioni di origine musulmana. Nei Balcani, però, c’è un islam diverso, che non dà vita a forme sincretiche. L’islam turco è infatti molto diverso da quello arabo. E’ più terreno, legato alla quotidianità, basato più su rituali e divieti che sulla riflessione filosofica, incapace di stimolare profonda crescita interiore negli stessi dominatori.

All’estasi dell’anima spagnola la "duende", si contrappone quella in salsa balcanica, il "kef". "Il ‘kef’, però, fa riferimento soprattutto ai piaceri della tavola, al riposo, mentre la ‘duende’ riguarda innanzitutto il saziare la vista e l’udito".

La Mutafchieva è stata senza dubbio uno degli intellettuali più di peso nella storia bulgara. Amata dai lettori di più generazioni, è stata, durante la sua vita terrena, spesso sola. Già malata, ha confidato ad una sua studentessa che Cem è stato l’uomo della sua vita, colui che le ha portato più fortuna, tanto da voler lasciare un anello simbolico sulla tomba del principe a Bursa.

Tra le sue passioni più forti, c’era poi quella del viaggio. Nel suo saggio intitolato, appunto, "Il viaggio", la Mutafchieva scrive: "Chi parte per scoprire il mondo e penetrare i suoi misteri e le sue bellezze, viaggia da solo. Il viaggiatore non ama condividere il proprio piacere, ha paura di perderlo, e i compagni di viaggio gli risultano noiosi. Piano piano, come vuole ogni voluttà, assapora ogni scoperta a piccoli bocconi, segretamente. Piano, perché sa, che il viaggio è sempre più bello di qualsiasi arrivo".

Il 24 luglio le ceneri di Vera Mutafchieva sono state disperse nelle acque del mare Egeo, al largo del capo Sunion, descritto dalla scrittrice come "creato come un altare all’eternità". Il suo ultimo viaggio.

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