L’ultimatum alla Serbia divide la presidenza bosniaca
La presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina propone un’iniziativa per sollecitare la Serbia al rispetto della risoluzione della Corte di giustizia internazionale. Ma il veto posto dal membro serbo della presidenza ne invalida l’efficacia
Di Gordana Katana da Banja Luka, Balkan Insight, 19 Aprile 2007
Traduzione per Osservatorio Balcani: Antonia Pezzani
I piani della presidenza della Bosnia Erzegovina di sollecitare la Serbia a ottemperare la risoluzione della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) e a cooperare con il Tribunale dell’Aja hanno diviso il paese.
Il triumvirato presidenziale non è stato in grado di raggiungere l’unanimità sulla richiesta dopo che il membro serbo, Nebojsa Radmanovic, ha posto il veto alla risoluzione.
Ne è risultata una risoluzione divisa, che ne ha fiaccato l’autorevolezza.
Gli analisti affermano che il disaccordo evidenzia l’incapacità del paese diviso di raggiungere un consenso su questioni essenziali della guerra del 1991-95 e delle sue conseguenze.
Alcuni analisti affermano anche che la riluttanza dei serbo bosniaci nell’appoggiare le richieste alla Serbia affinché consegni i fuggitivi dell’Aja dimostra che non sono pronti loro stessi a ottemperare simili ordini.
La Corte Internazionale di Giustizia con sede all’Aja, il 26 febbraio scorso ha ordinato alla Serbia di agire immediatamente per punire gli atti di genocidio commessi in Bosnia Erzegovina e di prendere in custodia i sospettati di crimini di guerra e consegnarli al Tribunale Internazionale per i crimini nella ex-Jugoslavia, ICTY.
Il rappresentante musulmano della presidenza bosniaca, Haris Siljadzic, e la sua controparte croata, Zeljko Komsic, hanno allora avviato una procedura alla sessione dell’11 aprile dell’organo, chiedendo che la Serbia rispetti la convenzione internazionale sulla punizione dei crimini di guerra, arresti tutti i sospettati di crimini di guerra sul suo territorio, li estradi all’ICTY e che punisca tutti quelli sotto la sua giurisdizione.
Radmanovic si è rifiutato di sostenere l’iniziativa legislativa, sostenendo che interpretare la decisione dell’ICJ non era tra le competenze della Bosnia Erzegovina. Ha aggiunto che una tale pretesa equivarrebbe a interferire con gli affari interni della Serbia.
Radmanovic ha anche convocato una seduta del parlamento serbo-bosniaco, che dovrebbe determinare se l’iniziativa rappresenti o meno una violazione degli interessi vitali della loro entità, la Repubblica Srpska, RS.
Branko Todorovic, direttore del Comitato Helsinki per i Diritti Umani della RS, ha dichiarato a Balkan Insight di non ritenere che la richiesta della presidenza costituirebbe una minaccia per gli interessi della RS.
"La maggioranza dei deputati del parlamento della RS sono a favore dell’idea che i sospettati di crimini di guerra dovrebbero essere presi in custodia," ha detto. "Ma il senso comune qui lascia il posto a una diffusa sfida politica."
Si riferiva al clima di profondo sospetto tra i bosgnacchi e i serbi del paese.
Anche il portavoce dei deputati del parlamento della RS, Sevket Hafizovic, ha negato che arrestare i sospettati di crimini di guerra compromettesse gli interessi della RS.
"I politici serbi erano fermamente contrari all’accusa di genocidio della Bosnia Erzegovina contro la Repubblica Federale della Jugoslavia, ma questa questione ora è finita," ha detto.
"Ognuno deve venire a patti con il fatto che la risoluzione dell’ICJ deve essere onorata."
Comunque sia, Igor Radojicic, portavoce del parlamento della RS e segretario dell’Alleanza dei Social-Democratici Indipendenti, ha attaccato duramente le affermazioni che i serbi-bosniaci in generale si opponessero all’arresto dei sospettati di crimini di guerra. "E’ il classico esempio di distorsione di una tesi," ha detto.
Radojicic ha difeso la mossa del membro serbo della presidenza, affermando che la richiesta proposta significherebbe "interferire con gli affari interni di un altro stato e sarebbe dannosa per le relazioni di buon vicinato tra i due paesi".
Radmanovic ha avuto il sostegno incondizionato della maggioranza dei partiti serbi in Bosnia Erzegovina, compreso il Partito Democratico Serbo, SDS, e l’inflessibile Partito Radicale Serbo, SRS.
Il leader del SDS, Mladen Bosic, ha affermato che "l’interesse nazionale della RS e dei suoi serbi" era di mantenere legami stretti con la Serbia, e ha giudicato la dichiarazione della presidenza come "un ovvio tentativo" di rovinare queste relazioni.
Haris Siljadzic ha condannato l’uso del veto di Radmanovic, dicendo che ha "trasformato la RS in un mandatario della Serbia, proprio come quando le istituzioni della RS commisero il genocidio in Bosnia".
Ha affermato che la mossa "manda forte e chiaro a tutti i non-serbi che vivono nella RS il messaggio che sono cittadini di seconda classe, e che gli interessi della RS sono direttamente opposti al loro interesse di vedere i sospettati di genocidio davanti alla giustizia".
Anche Komsic è stato deluso dal veto di Radmanovic e ha affermato che si è comportato da "deputato della Serbia e non della Bosnia Erzegovina".
L’azione legale del paese all’ICJ contro la Serbia è stata un caso che ha diviso il Paese fin da quando fu intentata 12 anni fa.
I serbi hanno festeggiato quando recentemente il tribunale ha decretato che la Serbia non era colpevole dell’accusa principale di genocidio.
I bosgnacchi sono stati parzialmente confortati dal fatto che l’ICJ ha incolpato la Serbia per non aver fatto abbastanza per prevenire e punire i responsabili dei crimini di guerra e del genocidio.
Tanja Topic, della Fondazione Friedrich Ebert, ha affermato che gli ultimi sviluppi hanno evidenziato i diversi vassallaggi dei popoli della Bosnia Erzegovina.
"Le nostre istituzioni comprendono persone che rappresentano gli interessi della Serbia e della Croazia più di quanto rappresentino quelli della Bosnia Erzegovina," ha detto.
"D’altra parte nel parlamento della Repubblica Srpska ci sono deputati bosgnacchi che ricevono uno stipendio mensile da quella istituzione pur sollecitando la riduzione della RS a entità separata".
Queste divisioni si riflettono alla base. Zijahudin Smajlovic, presidente bosgnacco dell’associazione Prigionieri di guerra Banja Luka, ha affermato che era incredibile che le autorità della RS si mostrassero ancora contrarie all’arresto dei sospettati dei crimini di guerra.
"Se è così che decidono di difendere la Serbia, come possiamo anche solo credere che siano pronti ad arrestare e a processare qui i sospettati di crimini di guerra?" si è interrogato.
L’associazione Spona che raggruppa tutte le organizzazioni non-governative serbe della RS, d’altra parte, ha sostenuto Radmanovic e ha descritto il veto come "difesa della RS dagli sforzi del governo di Sarajevo di frammentare la Repubblica Srpska".
Branko Todorovic ha detto che restava da vedere per quanto ancora la RS avrebbe continuato a comportarsi come strumento della Serbia.
"La RS è inesorabilmente provocatoria nel difendere gli interessi della Serbia benché questa politica sia dannosa ad entrambe le parti," ha affermato.
Topic ha detto che la "voce della ragione," tristemente assente in Bosnia Erzegovina, doveva necessariamente venire dalla Serbia.
Il 18 aprile durante un meeting a Belgrado il presidente serbo, Boris Tadic, ha detto al ministro degli Esteri della Bosnia Erzegovina, Sven Alkalaj, che la Serbia era pronta a ottemperare la convenzione internazionale nella punizione per il genocidio.
Secondo Topic questo è tanto incoraggiante quanto vitale per le speranze che un giorno, magari, le tensioni politiche in Bosnia Erzegovina si allevino.
Gordana Katana è una corrispondente regolare di BIRN a Banja Luka.
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