L’orologiaio di Petrovaradin
La Fortezza di Petrovaradin, a Novi Sad, è tra i luoghi più visitati dai turisti che vanno in Serbia. Tutti conoscono l’orologio in cima alla fortezza. In pochi però conoscono l’anziano fabbro che quotidianamente si prende cura dell’antico meccanismo a pendolo costruito dai maestri alsaziani
Sulla fortezza di Petrovaradin salgono ogni giorno decine di turisti che fotografano da qui il panorama della città e dei ponti sul Danubio. Immancabile è lo scatto con la torretta dell’orologio. Una torre di alcuni metri con gli intonaci rinnovati da poco, un grande quadrante nero con numeri romani e una banderuola dorata sul tetto per indicare la direzione dei venti. Alla base della torre la piccola porta di ferro, sempre chiusa a chiave.
L’orologio che il comune di Novi Sad e l’ufficio del turismo cittadino propongono come immancabile visita da fare assieme alla fortezza di Petrovaradin e che capeggia come immagine di copertina su molte brochure turistiche ha un’importanza particolare per la città. Come testimonia l’editto dell’imperatrice d’Austria Maria Teresa del 1748 Novi Sad divenne una libera città imperiale in quello stesso anno con una donazione di 80.000 fiorini d’oro da parte di alcuni cittadini serbi. Assieme al diritto di riscossione delle tasse la nuova nata municipalità di Novi Sad ottenne anche l’orologio di Petrovaradin, costruito con una parte della somma donata e i cui lavori vennero affidati ad un gruppo di maestri alsaziani.
Fu per molti decenni il solo orologio di Novi Sad con le sue lancette d’oro che, al contrario di come si è soliti vedere, segnano rispettivamente la lunga le ore e la piccola i minuti. Per secoli il solo mezzo artificiale per conoscere l’ora a disposizione dei pescatori sul Danubio.
Le lancette sono state ricoperte di vernice bianca l’anno scorso durante l’ultimo restauro dell’orologio, in città si vocifera che in questo periodo di crisi economica la scelta sia stata fatta per nascondere la loro anima in oro ai malintenzionati.
I recenti lavori di restauro sono l’unica prova tangibile dell’attenzione delle istituzioni per questo monumento cittadino. Era il 1988 quando l’orologio cadde in panne, il meccanismo a pendolo che oscillando faceva muovere le lancette ebbe un guasto e l’amministrazione socialista di allora non ebbe il tempo o i mezzi per provvedere.
L’unico che si interessò all’orologio fu Lukači Lajoš, un fabbro residente in città e all’epoca responsabile locale dell’Istituto Provinciale per la Protezione dei Monumenti Culturali. “Scrissi una lettera al comune ma non ebbi mai alcuna risposta”, ricorda Lajoš. “Conoscevo chi possedeva le chiavi e andai a prenderle, poi mi occupai personalmente di riparare il guasto. Da allora ricarico l’orologio quotidianamente”.
Ancora oggi Lajoš è il solo a possedere il mazzo di chiavi che apre la porta di ferro alla base della torretta, al cui interno si apre uno spazio stretto, per la maggior parte occupato dai bilancieri. Il pendolo in ferro arrugginito ondeggia ritmico rasente alla parete di fondo, il suo rumore cadenzato riecheggia sulle pesanti mura di mattoni, su di esso sono dipinte la data di costruzione e le successive tarature del moto.
Sulla sinistra un’angusta scala in legno sale sulla mezzanina di legno, è qui che si trova il meccanismo vero e proprio dell’orologio: un insieme di ruote dentate, ingranaggi e pulegge che attraverso lunghe leve di ferro conducono il moto rotatorio alle lancette esterne.
Il meccanismo è dipinto di vernice rossa, mezzo coperto di polvere, in un angolo si nota ancora lo stemma, consumato dal tempo, dei maestri alsaziani che lo costruirono.
Si tratta di un classico orologio con meccanismo a pendolo, un peso composto da tre pesanti palle di ferro che legate ad una catena tirano verso il basso, l’energia potenziale del peso si trasmette agli ingranaggi che lo moltiplicano e lo scaricano sul pendolo oscillante, un indicatore misura quante volte lo scappamento ha ruotato e quindi anche quanto tempo è passato.
Quando nel 1748 cominciarono i lavori per la sua costruzione questo tipo di opere era costosa e solo operai specializzati erano in grado di realizzarle, una vera e propria innovazione tecnologica che si espandeva in quel periodo in Europa.
“Non c’è un vero e proprio lavoro continuativo da fare sull’orologio, oltre alla normale manutenzione e lubrificazione degli ingranaggi bisogna venire qui solo una volta al giorno e caricare con trentatré giri e mezzo di manovella il contrappeso del meccanismo. Il resto lo fa da solo”.
Lukači Lajoš ha continuato a ricaricare quotidianamente il meccanismo del pendolo fino ad oggi, riuscendo negli anni a svolgere altri importanti servigi per la sua città. Sono suoi i lavori di restauro dei lampadari in ferro battuto e di due menorah all’interno della sinagoga di Novi Sad, così come le cerniere delle sue porte esterne. A Sremski Karlovaci, un caratteristico villaggio a pochi chilometri da Petrovaradin, Lajoš ha forgiato le catene che completano la fontana nel centro.
Nonostante la sua ferrea volontà Lajoš oggi ha 68 anni e il peso del tempo comincia a farsi sentire lungo la scalinata che conduce alla fortezza. Per il momento però non si palesano possibili volontari che vogliano sostituirlo. “Io vorrei che fosse mia figlia Andrea”, confessa Lajoš, la cui figlia è la sola donna ad esercitare il mestiere di fabbro in Serbia “ma i ragazzi di oggi sembrano interessarsi così poco a queste cose”.
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