L’ombra dell’inquinamento si allunga sui Balcani
Nei Balcani il calo delle temperature non annuncia solamente l’arrivo delle stagioni fredde, ma anche dell’inquinamento atmosferico. L’aumento del consumo energetico, del riscaldamento delle case, crea un pericoloso aumento delle sostanze inquinanti presenti nell’aria, rendendola in alcune città irrespirabile
“L’inverno è la stagione peggiore. La nebbia corrode il corpo, il naso pizzica, gli occhi bruciano, i bronchi fischiano. Avvertiamo gli effetti delle polveri che penetrano nel nostro organismo” sintetizza Goran Stojak, che vive nel villaggio di Divkovići, nelle vicinanze della centrale termoelettrica di Tuzla in Bosnia Erzegovina. Non sono solamente gli abitanti a percepire l’inquinamento dell’aria ma d’inverno, gli effetti della prossimità all’impianto sono visibili ad occhio nudo: una densa nebbia di “smog” invade spesso le strade della città bosniaca. “In questo villaggio non ci sono anziani. Tutti muoiono di cancro prima di giungere alla vecchiaia”, sentenzia Stojak.
Tuzla è solo uno dei numerosi esempi che si possono fare per rappresentare l’alto livello di inquinamento presente nell’aria sopra i Balcani occidentali. Osservando la classifica redatta da IQAir delle cinquanta città più inquinate all’interno del continente europeo nel 2022, ad esclusione di Krasnoyarsk (Russia), le prime venticinque posizioni sono occupate da città presenti all’interno degli stati balcanici.
Spostandosi in Montenegro, per esempio, ad inizio 2023, la città di Pljevlja dove è presente una miniera di carbone e una termocentrale, ha registrato una concentrazione di polveri sottili (PM 2.5) tredici volte superiore a quanto consigliato dalle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. In quell’occasione, anche l’agenzia per la protezione dell’ambiente montenegrina aveva consigliato agli abitanti di Pljevlja di evitare attività all’aperto e di restare in casa fino a che la situazione non fosse migliorata. Non è un caso isolato. Lo stesso è avvenuto in altre città: Belgrado, Skopje, Sarajevo… tutte avvolte da una nube d’aria tossica.
Un “killer silenzioso”
Gli effetti dell’inquinamento atmosferico nel lungo periodo provocano diverse patologie e in alcuni casi una morte precoce. Asma, bronchiti, tumori sono solo alcuni dei sintomi più comuni che la concentrazione di sostanze inquinanti possono causare. Nuovi studi hanno dimostrato che l’esposizione prolungata in un’area densamente inquinata può danneggiare “ogni organo presente nel corpo”. Tutto ciò colpisce in particolare la parte di popolazione più vulnerabile: bambini e anziani.
Durante i mesi più freddi questo problema diventa più urgente perché le persone consumano più energia elettrica per riscaldarsi, aumentando la quantità di inquinamento presente nell’aria. In più, d’inverno , a causa dell’inversione termica, lo strato di aria più calda sopra le città impedisce la fuoriuscita dell’aria fredda e delle sostanze inquinanti, che restano di fatto intrappolate, aumentando pericolosamente la propria concentrazione. Nelle zone in cui sono presenti un numero elevato di industrie inquinanti, la densità delle particelle tossiche può diventare talmente alta da rendere l’aria irrespirabile.
Perché nei Balcani?
Secondo i dati pubblicati dalla rete di ong ambientaliste di Bankwatch, 18 centrali al carbone nei Balcani occidentali hanno inquinato più di tutte le 221 centrali dell’Unione Europea. Il report del 2023 “Comply or close” sulle emissioni degli impianti energetici all’interno di Kosovo, Bosnia Erzegovina, Serbia, Macedonia del Nord e Montenegro, dimostra infatti una situazione disastrosa. Nel 2022, le emissioni di anidride solforosa (SO2), polveri sottili e ossidi di azoto (NOx) hanno oltrepassato ampiamente i limiti imposti dai Piani nazionali di riduzione delle emissioni siglati nel 2018. In più, molte centrali, a cui era stato imposto un tetto massimo di ore di lavoro tra 2018 e 2023, hanno continuato a lavorare “illegalmente” superando il limite, con il benestare dei governi.
Il quadro che esce dimostra che la causa di questa densa concentrazione di “aria tossica” sta nel connubio tra industrie basate sui combustibili fossili e una politica accomodante a loro favore, nonostante la sottoscrizione della “Dichiarazione di Sofia per un’agenda verde nei Balcani occidentali” del 2020.
In Bosnia Erzegovina, per esempio, le autorità hanno preso ben pochi provvedimenti per affrontare il problema dell’inquinamento e nel marzo 2022 il parlamento della Federazione di Bosnia Erzegovina ha persino approvato la richiesta per consentire agli impianti, altamente inquinanti, Tuzla 4 e Kakanj 5 di oltrepassare il limite massimo imposto dal Piano nazionale di riduzione delle emissioni, posticipando la loro chiusura. L’attivista Denis Žiško, segnalando la situazione di inattività politica, ha dichiarato: “La transizione verde inizierà solo quando i politici capiranno come utilizzarla per riempirsi le tasche. Per il momento, anziché costruire un centinaio di parchi solari o eolici, preferiscono controllare quattro grandi centrali a carbone”.
In altri Stati la situazione non è delle migliori. In Serbia il presidente Vučić ha bocciato la rivolta ecologista del 2021 definendola “jihad verde” e successivamente, in difesa delle miniere di lignite, ha accusato degli “attori esteri” di star spingendo la Serbia a “rinunciare alle ricchezze del suo sottosuolo.” In Macedonia del Nord, a fronte del problema d’inquinamento di Skopje, il comune ha continuato ad ignorare le richieste degli attivisti per un’aria più pulita.
Così oltre allo smog, anche un’aria di apatia e indifferenza circonda i Balcani. “Siamo ostaggi di cattive politiche e di una mancanza di visione” denuncia Faris Fejzagić, fondatore di “Prljavi grad Sarajevo” [La sporca città di Sarajevo]. “Ci sono delle soluzioni” continua “ma è ovvio che non verranno introdotte per molti anni.”
Il vero costo dell’inquinamento
A difesa dell’energia prodotta dai combustibili fossili, i governi adducono motivazioni economiche. Per esempio tra gli inverni 2021-2022 e 2022-2023, alcuni Stati balcanici -principalmente Kosovo, Macedonia del Nord e Serbia- hanno sofferto gli effetti di una crisi energetica dovuta a problemi tecnici e di management negli impianti a carbone e dalle condizioni di siccità che hanno reso difficile l’uso dell’idroelettrico. Questi fattori, combinati alla più grande crisi energetica europea dovuta alla guerra in Ucraina, hanno portato ad un rafforzamento dell’uso dei combustibili fossili a difesa del sostegno dei prezzi energetici.
Sul report di Bankwatch si legge che “la crisi ha portato ad un chiaro arretramento in termini del controllo dell’inquinamento, perché i governi si sono affannati a garantire l’elettricità in qualsiasi modo possibile, indipendentemente dalla salute pubblica o dalla legge”.
Ma economicamente ha più senso continuare ad investire nel combustibile fossile rispetto alla prevenzione e ad un’economia più verde?
Mihail Kocubovski, a capo dell’istituto macedone per la salute pubblica, stima che, convertendo in termini economici il costo sociale per l’inquinamento di Skopje, la quota di quest’ultimo si aggirerebbe tra il mezzo miliardo e un miliardo e mezzo di euro. Perciò “sarebbe meglio spendere 1 euro in prevenzione e risparmiare 5 o 10 euro, non spesi, su questioni sanitarie come morbilità, mortalità e giorni di malattia”. Lo stesso si può dire in altre situazioni: nel 2018 Bankwatch ha stimato che i costi sanitari aggiuntivi, legati all’inquinamento della centrale di Tuzla, si aggiravano intorno a 600 milioni di euro.
In più, bisogna considerare anche il costo futuro della transizione energetica. Come sancito nella “Dichiarazione di Sofia”, gli stati balcanici dovranno adeguarsi agli standard europei su un’economia più verde e il primo punto dell’accordo riguarda proprio l’obiettivo di una zona carbon-neutral entro il 2050.
Secondo le stime della ministra dell’Energia serba Dubravka Đedović, solo per la Serbia serve un valore minimo di 32 miliardi di euro in investimenti per poter raggiungere la neutralità carbonica.
Bankwatch nel proprio report sottolinea che la crisi energetica all’interno degli stati balcanici ha messo in evidenza la necessità di migliorare e velocizzare l’uso dell’energia rinnovabile.
Tuttavia il costo dell’inquinamento non è solamente economico, ma soprattutto sociale. Parlarne significa avere a che fare con la vita e la morte delle persone, della fauna e dell’ambiente circostante.
Ancora il report di Bankwatch del 2021 evidenzia come nei Balcani tra 2018 e 2020 siano morte circa 19 mila persone a causa delle conseguenze delle emissioni dovute ai combustibili fossili. Dati confermati anche dalla Banca Mondiale che, solamente in Bosnia , quantifica circa 3330 decessi annui dovuti all’inquinamento.
Questi numeri, apparentemente astratti, riguardano concretamente le vite degli abitanti nei Balcani. “Mia madre ha l’asma, mio marito e io abbiamo problemi alle vie respiratorie superiori. Negli ultimi tre anni ho sempre il naso chiuso e ho difficoltà a respirare” dice Sara Carikj Jakimovska, 30 anni, che vive a Skopje.
A Divkovići in Bosnia, Goran Stojak, racconta che il padre è morto prematuramente nel 2006 e che in ogni casa c’è un inalatore. Difatti, solamente nel cantone di Tuzla, l’inquinamento riduce l’aspettativa di vita di 3,2 anni rispetto alla media del paese e l’esposizione alle polveri sottili causa un decesso su cinque nei maggiori di 30 anni.
“Nei giorni peggiori, persino respirare diventa un problema”, dice il 79enne Enver Hasanbašić a Zenica, Bosnia Erzegovina. Nonostante il lavoro instancabile di alcuni attivisti, i governi balcanici continuano a voler ignorare il problema. Gli effetti dell’inquinamento di oggi si continueranno a sentire nel futuro e i numeri dei morti continueranno a salire. Vite spezzate in nome dei combustibili fossili.
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