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Tag: Cinema

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Locarno, premiato il cinema di Balcani e Caucaso

Nella prima metà di agosto si è tenuta la 70ma edizione del Locarno Film Festival. Una rassegna dei premi al cinema dei Balcani e del Caucaso, dalla Georgia alla Bulgaria, passando per Turchia e Slovenia

23/08/2017, Nicola Falcinella -

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Se il 70° Locarno Festival ha premiato con il Pardo d’oro il cinese “Mrs. Fang” di Wang Bing, i film dei Balcani e del Caucaso hanno vinto in quasi tutte le sezioni collaterali. Il Premio miglior opera prima tra tutte le sezioni è stato assegnato al georgiano “Scary Mother – Sashishi deda” dell’esordiente Ana Urushadze. La Bulgaria, che un anno fa vinse il Pardo d’oro con “Godless”, ha bissato conquistando il Pardo dei Cineasti del presente con “3/4” di Ilian Metev. La Settimana della critica, riservata ai documentari, è stata meritatamente vinta dallo sloveno “The Family – Družina” di Rok Biček, già noto per “Class Enemy” (2013).

Georgia

“Scary Mother”, che pochi giorni dopo ha vinto anche al Sarajevo Film Festival era in gara sempre tra i Cineasti, è un dramma borghese con protagonista una scrittrice alle prese con il romanzo vagamente autobiografico su una casalinga che si trasforma in un mostro. Manana vive in un grande palazzo dall’architettura stravagante collegato agli altri da ponti arditi. Vive con il marito, la figlia e due figli silenziosi e vuole scappare: dorme male, è un po’ depressa, si tiene male e si dedica a concludere lo scritto. L’unico a credere in lei è Nukri, l’amico e amante improbabile che ha un negozio di fronte: contro il parere di tutti sostiene che il suo romanzo è un “capolavoro” e si impegna a cercarle un editore.

La seduta di lettura del testo alla famiglia riunita si rivela un disastro: il marito scopre la relazione clandestina e disapprova l’utilizzo di caratteristiche e fatti personali nel racconto. La protagonista allora se ne va di casa trascurando anche i parenti che arrivano per festeggiare il suo compleanno. E tra storie che la madre le raccontava da bambina, mostri filippini e gli incubi di succhiare il sangue a donne incinte, Manana va sempre più alla deriva.

La debuttante Ana Urushadze mostra di saper condurre la narrazione e gestire i diversi registri, tenendo i personaggi al limite senza portarli mai nel campo dell’improbabile, sta in modo molto curioso tra realismo e una vena scura sfruttando al meglio pochi spazi e un numero limitato di personaggi, usando i simboli (i ponti, la stanza rossa, il cane con i suoi bisogni) con garbo e cautela e la musica a creare la giusta tensione. E tutto si indirizza verso un colloquio rivelatore con il padre.

Bulgaria

“3/4”, il titolo viene dal tempo musicale, è girato in formato 4/3, con riprese come fosse un documentario e resta il dubbio di dove finisca la realtà e inizi la finzione. Poco importa perché ciò che cattura del lavoro di Metev è la stranezza, il suo saltare in apparenza tra le tre vicende mantenendo un ritmo interno e alimentando una curiosità che approda a un finale inatteso, spiazzante, liberatorio e arioso su una cima nel parco naturale Vitosha. E c’è un azzardato salto temporale da una camminata notturna in città a una diurna in montagna che da respiro a tutto il film.

Tre su quattro sono anche i membri della famiglia: il piccolo Niki che pensa solo a giocare, Mila pianista che prepara un’importante audizione in Germania e il padre che insegna alla facoltà di fisica, mentre la madre assente non è mai nominata. Scene di vita quotidiana alternate tra i tre, contraddistinte da tante camminate e non molti momenti insieme, finché qualcosa turba l’abitudine instabile. Un ritratto di famiglia in poche giornate di un’estate che potrebbe essere l’ultima trascorsa insieme, con il genitore che non sembra capace di gestire il turbine di emozioni dei figli.

Bello il finale alla ricerca di Niki prima di notte per strade in città e all’improvviso di mattino tra boschi in montagna. Lo stile, con lunghi piani fissi o in movimento, ricorda il precedente lavoro “Sofia’s Last Ambulance”.

Romania

Discreto “Charleston” dell’esordiente romeno Andrei Cretulescu, una commedia con un’assurda elaborazione del lutto. All’inizio la bella Ioana (Ana Ularu) viene investita da un’auto all’uscita da un bar. Dopo il funerale, il marito Alexandru (Serban Pavlu) vaga e festeggia il suo compleanno solo e ubriaco. All’improvviso si presenta a casa di Alexandru un certo Sebastian (Radu Iacoban), che rivela di essere stato l’amante della donna negli ultimi mesi. I due uomini litigano ma uno si installa a casa dell’altro, che non lo caccia del tutto. Tra i due si instaura un rapporto contrastato e insospettabilmente duraturo, tra litigi, chiarimenti, incontri, imprevisti e la surreale visita ai genitori della defunta, con il padre di lei (Victor Rebengiuc) che a pranzo parla solo dei cani in un dialogo insensato e divertente.

Torna più volte nei discorsi l’attore Charlton Heston: “Non era un grande attore, bravo ma non un grande” dice Alexandru all’amico Maximilian che invece lo descrive come un punto di riferimento. Se la musica percorre la storia quasi di continuo, a metà film c’è un bizzarro intervallo con i due che ballano come fossero in un film di Yorgos Lanthimos.

Quello di Cretulescu, che è stato prima critico cinematografico e produttore per Hbo Romania, è un esordio poco collocabile, sicuramente estraneo allo stile del “nuovo cinema romeno” di Puiu e Mungiu. Una commedia con una coppia di estranei, che in qualche modo diventano compagni di avventure, quasi un divertente e amaro ritratto generazionale di quarantenni smarriti.

Il regista romeno Radu Jude torna in “Tara moarta – The Dead Nation”, presentato nella sezione Signs of Life, sui temi già affrontati in “Scarred Hearts” che nel 2016 corse per il Pardo d’oro. Il film di finzione era ispirato dalle memorie del poeta ebreo Manu Blecher e della sua convalescenza in ospedale dal 1937 in poi, con il crescente antisemitismo nel paese. Stavolta ci si trova davanti quasi a un saggio storico, che utilizza le immagini d’epoca dello Studio Splendid di Costica Acsinte e sovrappone brani del diario del medico di Bucarest Emil Dorian e radiogiornali partendo di nuovo dal 1937.

La paura raccontata quasi giorno per giorno, dagli ebrei cacciati dagli ospedali, i licenziamenti, le confische delle case, la salita al potere del dittatore Ion Antonescu, poi le uccisioni, le sinagoghe bruciate, i pogrom, le deportazioni, fino al 1946 e una nuova paura che si affacciava. Un potente documento sulla storia della Romania partendo da un punto di vista personale.

Italia-Ucraina

Tra le belle sorprese dei Cineasti del presente c’è l’italo-ucraino “Easy – Un viaggio facile facile”, opera di debutto del friulano Andrea Magnani con Nicola Nocella. Un road-movie da Grado all’Ucraina, protagonista Isidoro detto Easy, ex promettente pilota automobilistico, ora sovrappeso, depresso, quasi catatonico e passivo.

Un giorno il fratello Filo, ambizioso e senza scrupoli, tutto il suo opposto, lo incarica di trasportare al paese d’origine la bara di un operaio ucraino morto in un cantiere a causa sua. Ne esce un viaggio invernale fatto di incontri, imprevisti, stranezze, fraintendimenti e fughe, alla scoperta di sé e un finale che pone nuove domande.

“Easy” è divertente, semplice, coinvolgente, mai banale, diretto da un regista che sa fare le scelte giuste. Molto bravo Nocella, noto per “Il figlio più piccolo” di Pupi Avati, vero e credibile nel rendere la sofferenza del personaggio ma anche i suoi lampi e la ricerca di senso, mentre le belle musiche di Luca Ciut danno il giusto colore all’avventura. Il film sarà nelle sale già dal 31 agosto, distribuito dalla friulana Tucker.

Slovenia

Per “The Family – Družina”, lo sloveno Rok Biček, uno dei più interessanti talenti emergenti del cinema europeo, ha sviluppato il cortometraggio di diploma con lo stesso titolo realizzato nel 2007. Il regista ha seguito nell’arco di una decina d’anni Matej, nato e cresciuto in una famiglia particolare, che ha dovuto imparare presto a rapportarsi con il disagio e la malattia mentale. Se a 14 anni ha dovuto confrontarsi con questi aspetti e isolarsi dai coetanei, a vent’anni diviene padre a sua volta. Lasciato dopo pochi mesi dalla fidanzata, il giovane si trova in lotta con l’ex compagna per la custodia del bambino e compie una scelta radicale.

Biček apre tante questioni sui rapporti tra padri e figli, sulla paternità, sulla crescita, sulla coppia e le lascia a lavorare dentro la mente e il cuore dello spettatore. Una vicenda di scelte spiazzanti che sembra scritta dai fratelli Dardenne e filmata in pianisequenza dal romeno Cristi Puiu. Un film difficile da dimenticare, che ha forse qualche piccolo problema di montaggio in quanto mancano in alcuni punti i materiali necessari per chiarire del tutto quanto avviene, ma nell’economia dell’opera si tratta di lacune trascurabili, l’insieme è chiaro per quanto impegnativo da collegare e ciò che resta è la forza di una storia che muove qualcosa e che può anche sconcertare e mettere in dubbio alcune certezze.

Turchia

Va in una casa di riposo di Istanbul la regista americana d’origine turca Shevaun Mizrahi per “Distant Constellation”, incluso in Cineasti del presente. All’esterno dell’edificio è aperto un grande cantiere, così fuori si costruisce una città di grattacieli mentre dentro le persone appassiscono e si avviano alla morte. Tra vaneggiamenti e ripetizioni, una situazione surreale nella quale a sprazzi ritornano memorie, come la testimonianza di un’anziana armena la cui famiglia dovette assumere nomi islamici per sopravvivere al genocidio del 1915 e che ancora oggi ha timore nel raccontare. Situazioni quasi assurde con un fotografo quasi cieco, un vecchio don Giovanni che ricorda i tempi a Parigi e ostinatamente prova a sedurre, oppure i due amici che litigano in ascensore. Un film quasi ipnotico e avvolgente, che cattura lo spettatore e lo conduce a una nevicata e una situazione dove realtà, sogno e ricordo si confondono.

È un film evocativo, tra documentario e saggio, che spiega però pochissimo, "Meteorlar – Meteors" di Gürcan Keltek. Il conflitto scoppiato nella Turchia sudorientale nell’estate 2015, dopo l’uccisione di un soldato da parte probabilmente di un membro del Pkk che portò alle più massiccia operazione nella regione da parte dell’esercito di Ankara. Il regista lo affronta in sei capitoli, lavorando però sulle suggestioni, sulla memoria, anche sull’inconscio della popolazione.

Keltek usa le immagini, spesso sgranate o scure, di varia provenienza e formati su episodi poco coperti dai media, impone di concentrarsi sul suono, il vento, i rumori e le musiche. In alcuni momenti la voce del regista entra a dare alcune informazioni, in alcuni momenti la coautrice Ebru Ojen interviene leggendo alcuni passi del suo libro “The Vaccine” o intervistando alcuni testimoni. Il film parte con l’arrivo di cacciatori sulle montagne e va verso la fantascienza con i meteoriti che cadono in quell’area del paese. Un lavoro dal forte sentimento politico che inizia e finisce con la mezzaluna in cielo.

Cortometraggi

Parte da filmati familiari di repertorio, con persone che festeggiano, ballano e mangiano lungo un fiume, il corto “Phantasiesätze – Fantasy Sentences” del serbo Dane Komljen, che aveva esordito l’anno scorso con il lungometraggio “All The Cities Of The North – Svi severni gradovi”, inserito nella stessa sezione. Le città lungo il corso d’acqua vengono poi colpite da un’epidemia che provoca cambiamenti al punto di non renderle quasi più riconoscibili. Tra voci di persone che hanno incubi e visioni, Komljen mostra condomini e fabbriche abbandonate, mentre gli alberi e il bosco si riprendono gli spazi.

Tra i Pardi di domani dei cortometraggi, il Pardo d’oro è andato ad “Antonio e Catarina” della portoghese Cristina Hanes. Molto bello in gara l’ucraino “Vypusk ’97 – Graduation ’97” di Pavlo Ostrikov, protagonista Roman, quarantenne dimesso e solo che ripara vecchi televisori in una cittadina di provincia. Un giorno incontra al mercato dopo tanti anni Lyuba, sua compagna di scuola alle superiori che ora abita lontana. Da giovane era innamorato della ragazza, la più bella e brava della classe, che però aveva fallito l’ingresso all’università e per la vergogna dell’insuccesso se n’era andata e ora insegna in un asilo. Cenano insieme a casa di lui, si baciano, ma tutto sembra finire lì, anche se passano la notte insieme: la donna se ne dovrà andare e tornare alla vita dalla quale è evasa per poche ore. Al risveglio c’è una sorpresa che il regista sa costruire abilmente.

Una commedia amara che in venti minuti racchiude molto: la frustrazione per una vita che poteva prendere altre strade; l’affacciarsi imprevisto di una nuova opportunità di riscatto; la follia che s’è annidata nella mente di lui insieme con la solitudine e trova una sola possibilità per amare e mantenere vivo un sogno; la mancata crescita e il continuare a vivere in un passato idealizzato che si continua a riparare come gli elettrodomestici.

Interessanti anche i due corti serbi, che hanno alcune analogie, partendo dal trattare storie di due giovani donne prese dalle loro ossessioni. In “Nikog nema” di Jelena Gavrilović, Sarah vuole tornare con il suo ex Sergej, che però la rifiuta. Una giovane che vive tra sogno e nostalgia, ripresa con macchina a mano molto vicina ai personaggi e una mano registica leggera che sa rendere anche quanto la ragazza sia rimasta bambina.

“Loop” di Matija Gluščević è invece la storia di Mima che ha avuto un incidente stradale nel quale un uomo è rimasto vittima. La donna associa all’evento un profumo e quando incontra nel condominio un tipo che le richiama quella sensazione, si trova sempre più destabilizzata.

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