Lo sviluppo frenetico di Yerevan
Dopo la distruzione di alcuni parchi cittadini e lo sgombero di residenti dal centro per far posto a controversi progetti di riqualificazione urbana, i cittadini di Yerevan reagiscono alla prevista distruzione del cinema “Mosca”. Al suo posto dovrebbe sorgere una chiesa
Il progetto di demolire l’unico cinema all’aperto di Yerevan ha suscitato l’ira di molti residenti della città, ed ha sollevato ulteriori dubbi sullo sviluppo urbanistico della capitale del Paese. Dieci anni fa i parchi cittadini furono in larga misura decimati per far posto ad una miriade di bar, la maggior parte dei quali di proprietà di funzionari governativi o di loro parenti e soci in affari. Pochi anni dopo, alla metà degli anni 2000, lo sfratto forzato dei residenti del centro città dalle loro case segnò la prosecuzione di ciò che molti considerarono un disonesto e corrotto accaparramento di territorio.
I risarcimenti offerti sono stati inadeguati, e molti dei palazzi di lusso che hanno rimpiazzato le case popolari in seguito a prestigiosi progetti di riqualificazione urbana, come quello della Northern Avenue, rimangono tuttora disabitati. Gli attivisti per i diritti umani e civili, come pure ambientalisti e architetti, rimangono inorriditi di fronte a simili pratiche, specialmente se si considera che per realizzare simili progetti molte aree verdi ed edifici storici sono stati distrutti. Ora, però, le più recenti minacce arrivano non da affaristi o oligarchi legati al governo, ma dalla Chiesa apostolica armena.
La città di Yerevan propriamente detta, nonostante in loco esistessero insediamenti da quasi tremila anni, è sorta negli anni ’20, con un grandioso progetto realizzato dall’architetto Alexander Tamanyan. Il progetto di Tamanyan prevedeva che la città non avrebbe ospitato più di qualche centinaio di migliaia di abitanti. Al momento della dichiarazione d’indipendenza dall’ex Unione Sovietica tuttavia, nel 1991, essa aveva raggiunto una popolazione di un milione e 200mila persone. Prima dell’era sovietica, all’inizio del ventesimo secolo, Yerevan aveva una popolazione di appena 12.500 persone.
Nel corso dello sviluppo della città vi furono alcune controversie. Ad esempio negli anni ’30, durante il periodo del regime sovietico, ateo, venne abbattuta una chiesa [in centro città], e nel 1968 al suo posto venne costruita una sala per il cinema all’aperto.
Al di là dei torti e delle ragioni di tale atto, quella sala è divenuta, da quel momento, una struttura di grande importanza architettonica, inclusa nella lista dei siti culturali protetti della città. Alla fine di febbraio o all’inizio di marzo (i dettagli sono ancora vaghi), lo status della sala da cinema è stato però inaspettatamente cambiato dal governo, che ha dato il permesso per ricostruire una nuova chiesa nello stesso sito. Tra i residenti alcuni approvano la decisione, ma molti altri non sono dello stesso avviso.
Alcuni hanno considerato il progetto come un segno del crescente potere della Chiesa, mentre altri hanno lamentato l’ennesimo esempio di caotica pianificazione urbana. Nonostante il clima politico del Paese, fortemente polarizzato, la decisione ha provocato proteste trasversali agli schieramenti partitici. Pur non opponendosi necessariamente alla costruzione di nuove chiese, gli esponenti dell’opposizione sostengono che ciò non dovrebbe avvenire a spese dell’unica struttura di cinema all’aperto della città, che è utilizzata anche per tenere concerti durante i mesi estivi.
Sono state inviate lettere al Primo ministro e al Catholicos, capo della Chiesa apostolica armena, protestando per la situazione. Fino ad oggi, tuttavia, nessuno dei due ha risposto. E, mentre una petizione ha raccolto più di 4mila firme in pochi giorni, ed altrettante persone hanno aderito ad un gruppo correlato su Facebook, non c’è voluto molto perché famosi architetti ed altre figure della cultura si unissero ai giovani attivisti nella protesta. Un’altra petizione, diffusa online e finora firmata da più di 700 persone, enuncia le preoccupazioni dei protestatari.
“Anche se la Santa sede di Echmiadzin è giustificata nel suo desiderio di costruire un’altra chiesa al posto di quella perduta, demolire un monumento architettonicamente unico è semplicemente irresponsabile ed è una evidente ripetizione dei criminali ‘errori’ fatti dal governo sovietico negli anni ’30”, vi si legge.
“Molti armeni, e tra loro l’Unione degli architetti, numerosi artisti, registi, scrittori, intellettuali e migliaia di semplici cittadini di Yerevan, preoccupati, si sono riuniti per protestare contro la demolizione della sala. Noi crediamo che la rimozione della sala dalla lista dei monumenti protetti costituisca un precedente molto pericoloso, che porterà senza dubbio ad ulteriori demolizioni illegali e irresponsabili, a Yerevan e altrove”.
Nel corso di una conferenza stampa la settimana scorsa, l’Unione degli architetti di Armenia ha rilasciato dichiarazioni particolarmente dure, accusando il governo di avere rimosso illegalmente la sala dalla lista degli edifici protetti. “È un comitato di esperti che definisce la lista statale dei monumenti da preservare, e dovrebbe essere questo stesso comitato a rimuovere i monumenti dalla lista. Il ministero della Cultura, però, non ha seguito questa procedura”, ha detto Mkrtich Minasyan, presidente dell’Unione.
“La Chiesa apostolica armena è la nostra storia, ma non può prendere in ostaggio il nostro presente e il nostro futuro. Da questo punto di vista, è importante che la Chiesa accetti l’importanza dei valori secolari e riconosca la sua parte di responsibilità nel preservarli”, ha aggiunto il quotidiano Lragir. Intanto, una delle principali attiviste della campagna è la 21enne Maneh Tamanyan, nipote dell’architetto che fu il principale artefice del progetto iniziale di Yerevan.
“Abbiamo sentito del progetto di rimuovere la sala dalla lista il 25 novembre dello scorso anno, e da quel momento abbiamo iniziato a pensare a cosa avremmo potuto fare per impedirlo”, ha dichiarato la Tamanyan a Osservatorio Balcani e Caucaso. “Non siamo del tutto certi di quando la sala sia stata effettivamente rimossa dalla lista, ma ripeto che noi non siamo contrari al fatto di costruire chiese. Siamo contrari a distruggere qualcosa di architettonicamente importante per farlo. Se vuoi costruire qualcosa, non dovresti distruggere qualcos’altro nell’opera”.
Nonostante i fallimenti in passato nel fermare i progetti di ristrutturazione urbana, Tamanyan si sente fiduciosa che questa volta lei e altri attivisti avranno successo. “Al momento, chi ha denaro o potere pensa di poter costruire tutto quello che gli pare e piace”, spiega. “Ci sono stati casi analoghi, ma non eravamo mai riusciti ad avere così tanto sostegno come quello che siamo riusciti ad ottenere in questo caso. Questa è la prima volta che una simile questione è diventata così importante, con tutti che ne parlano. Non era questa la visione che di Yerevan aveva avuto mio nonno“.
(Nei due giorni successivi alla scrittura di questo articolo, attivisti hanno raccolto altre 14.000 firme tra i residenti per le strade di Yerevan contro la demolizione)
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