Lo scontro sui simboli
Politicamente inaccettabile ma comunque negoziabile. Oliver Ivanovic è tra i più ascoltati politici serbo-kosovari, le sue opinioni sul pacchetto Ahtisaari in questa nostra intervista
Alcuni giorni fa l’inviato speciale dell’Onu per il Kosovo ha presentato il suo piano per la definizione dello status finale della regione. Belgrado ha fatto sentire il suo secco "no" al pacchetto Ahtisaari. Qual è la sua posizione riguardo a questo documento?
Quello che più mi preoccupa nelle pacchetto Ahtisaari è l’assenza di ogni riferimento all’integrità territoriale della Serbia, fatto che sembra delineare la possibilità di una futura indipendenza e che viene percepito dalla comunità serba come un pericolo reale. Non parlo soltanto del mancato rispetto della legislazione internazionale e dei contraccolpi emotivi che un tale atto provocherebbe tra i serbi del Kosovo, ma anche di un concreto pericolo per l’incolumità della popolazione. Quale che sia la natura della nuova missione internazionale in Kosovo, non mi stancherò mai di ricordare che nel marzo 2004 quarantamila soldati della KFOR non furono in grado di difendere i serbi. Come potrebbero farlo le poche migliaia che resterebbero sul campo dopo l’adozione del pacchetto, senza contare il fatto che si verrebbe a creare un consistente corpo militare albanese di 2500 unità armate, ben equipaggiate e addestrate?
Ma il pacchetto di Ahtisaari è un documento da rigettare senza appello o può essere la base per ulteriori discussioni?
Nel suo aspetto più prettamente politico, e per quello che riguarda la messa in discussione della sovranità della Serbia sul Kosovo il documento è, e rimane, inaccettabile. Per quanto riguarda gli aspetti tecnici, che comprendono un ampio spettro di temi che vanno dalla protezione delle minoranze alla decentralizzazione, passando per la salvaguardia del patrimonio culturale, il pacchetto può essere utilizzato come punto di partenza, ma deve essere discusso per arrivare a miglioramenti.
Quali sono i cambiamenti più importanti per cui la squadra negoziale serba dovrebbe battersi in sede di negoziato, prima che il documento venga presentato al Consiglio di Sicurezza?
Insisto nel sostenere che la sovranità territoriale della Serbia deve essere inserita nella proposta finale, oppure come ultima alternativa, al Kosovo dovrebbe essere preclusa la possibilità di entrare a far parte delle organizzazioni internazionali riservate agli stati sovrani. Il Kosovo potrebbe ad esempio entrare a far parte del Fondo Monetario Internazionale, come membro particolare, ma non dovrebbe diventare membro di organizzazioni di carattere politico come l’Onu e il Consiglio d’Europa, condizione che anche simbolicamente rappresenta l’affermazione di piena sovranità di uno stato.
Come giudica la parte del pacchetto Ahtisaari dedicata al processo di decentralizzazione?
Nel piano ci sono elementi che ci soddisfano e altri che invece noi consideriamo insufficienti. Nel documento si prospetta la creazione di cinque nuove municipalità e maggioranza serba più l’allargamento di quella di Novo Brdo. Senza alcun motivo, però, ci è stata negata la possibilità di istituire le due ulteriori municipalità che avevamo richiesto: quella di Lipljan, particolarmente importante perché, dopo Mitrovica, rappresenta la comunità urbana serba più numerosa in Kosovo, e per la quale avevamo proposto il modello "una città, due municipalità", e quella di Plementina-Priluzje, che una volta creata avrebbe una popolazione di seimila abitanti e tutte le caratteristiche per diventare una delle municipalità più economicamente sostenibili di tutto il Kosovo.
E quella relativa alla protezione del patrimonio culturale serbo nella regione?
Non è male nel suo complesso. Vogliamo studiarla nei dettagli, e sicuramente ci saranno dei miglioramenti da apportare, ma credo che sia l’elemento nuovo più positivo emerso dal pacchetto Ahtisaari.
Nel futuro del Kosovo previsto da Ahtisaari all’Onu non è riservato alcun ruolo significativo. Crede che questo significhi in qualche modo la rinuncia ad un approccio multilaterale alla questione kosovara?
No, credo che quello che il documento lascia intendere è la volontà di un ruolo più forte da parte dell’Unione Europea, fatto che non significa automaticamente escludere l’Onu. Bisogna dire che la missione delle Nazioni Unita è esaurita, bloccata, anche perché il personale che viene inviato in Kosovo è di qualità sempre più scadente. La missione Ue, d’altra parte, può portare energie nuove, innanzitutto mettendo sul piatto una prospettiva europea per la regione, fatto che potrebbe stimolare le classi politiche serba ed albanese a lavorare per rendere tale prospettiva reale.
Ma lei crede che l’Unione Europea abbia fatto un sufficiente investimento politico sul futuro del Kosovo?
Non quanto vorrei, soprattutto perché, come tutti sanno, al momento l’Ue è un’organizzazione molto confusa e complessa, con 27 paesi e un meccanismo di decision-making tutt’altro che efficiente. Io credo che l’integrazione del Kosovo, così come di tutta la regione dei Balcani occidentali, sia interesse innanzitutto della stessa Unione, un’integrazione che proceda a partire soprattutto dall’aspetto economico.
E’possibile una soluzione duratura per il Kosovo senza il consenso di tutte le parti coinvolte nel conflitto?
Uno scenario del genere sarebbe del tutto insostenibile. Sono convinto che la soluzione debba essere accettabile sia ai serbi che agli albanesi. Se non si possono accontentare tutti, allora bisognerà fare in modo che lo scontento sia equamente distribuito su entrambe le parti, e non su una soltanto.
Esiste ancora il rischio di una divisione del Kosovo? Questa prospettiva cosa significherebbe per la comunità serbo-kosovara?
Una scissione della regione potrebbe avvenire solo in seguito ad una proclamazione d’indipendenza unilaterale da parte albanese. La regione a nord di Mitrovica potrebbe allora reagire dichiarando a sua volta l’indipendenza dal Kosovo. Questo scenario non porterebbe però stabilità né conseguenze positive per i serbi. Forse la comunità serba del Kosovo settentrionale si sentirebbe più tranquilla, ma per chi vive a sud dell’Ibar ci sarebbero concreti motivi di preoccupazione, perché questo atto politico potrebbe essere utilizzato da parte dei numerosi estremisti che ci sono in campo albanese per scatenare nuove violenze.
Lei pensa che si possano escludere nuovi spostamenti di massa?
Se la decisione finale sullo status sarà inaccettabile dal nostro punto di vista, allora potremmo assistere all’abbandono immediato del Kosovo da parte di un numero consistente di serbi, che secondo le mie stime potrebbe aggirarsi intorno al 10% di coloro che vivono a sud dell’Ibar. Il problema è che, a breve, fette più consistenti della popolazione serba potrebbero seguirli, visto che di solito chi decide di partire tenta di convincere a fare lo stesso anche parenti, amici e vicini. Credo che sia davvero importante che la leadership di Belgrado convinca queste persone ad aspettare e ad essere pazienti fino ad una definizione chiara dello status del Kosovo, così da trasformare l’eventuale partenza in una scelta personale e non collettiva.
In Kosovo le reazioni alla proposta di Ahtisaari sono state piuttosto limitate. A cosa è dovuta questa prudenza?
L’opinione pubblica, sia serba che albanese, era in buona misura già preparata ad un pacchetto che non avrebbe soddisfatto tutte le richieste dell’una o dell’altra parte. Adesso tutti si sono presi un po’ di giorni per studiare il documento nei dettagli. Anche io lo sto studiando, ma la cosa più importante è che il pacchetto Ahtisaari venga studiato con estrema attenzione dal team negoziale di Belgrado, perché alla fine saranno loro ad andare al tavolo di Vienna, e non io.
Venerdì a Mitrovica si scenderà in piazza in segno di protesta contro le proposte presentate sullo status finale. Lei parteciperà alla manifestazione?
Sinceramente non ritengo che le manifestazioni siano uno strumento efficiente per migliorare le cose. Le manifestazioni servono a portare alla luce le preoccupazioni della gente, cosa in sé non negativa, ma non possono cambiare le cose sul terreno. Questo vale sia per la manifestazione di venerdì a Mitrovica che per quella di parte albanese prevista per sabato a Pristina. Riguardo a quest’ultima, vorrei però aggiungere che se Vetevendosje porterà in piazza più di 2-3mila manifestanti, cosa del tutto possibile, la manifestazione potrebbe assumere un carattere anti-serbo, e venir percepita dalla nostra comunità come una minaccia, come già successo altre volte nel passato.
Molti commentatori ritengono che la leadership politica di Belgrado non abbia il coraggio di assumersi responsabilità sulla questione del Kosovo, per evitare le conseguenze di un eventuale risultato negativo. Qual è la sua personale opinione a riguardo?
Credo ci sia molta verità in questo. Secondo me, ad esempio, il fatto che ancora non si sia costituito il parlamento serbo dopo le elezioni del 21 gennaio scorso è un atto politicamente irresponsabile. Per la classe politica serba è sicuramente difficile confrontarsi con la questione del Kosovo, ma la leadership politica è stata eletta proprio per affrontare i problemi e prendersi la responsabilità delle decisioni, e tentare, anche in circostanze sfavorevoli, di mantenere il Kosovo sotto la sovranità serba e comunque di ottenere il miglior risultato possibile.
La proposta di Ahtisaari sembra disegnare un Kosovo indipendente, riservando però alla comunità serba legami più forti con Belgrado che con il potere centrale di Pristina. Lei concorda con questa analisi?
Mi sembra un’analisi piuttosto controversa. Anche la comunità serba fa parte del Kosovo, e quindi se questa non fosse legata a Pristina ma solo a Belgrado, questo significherebbe che una parte del Kosovo non è in realtà Kosovo, ma Serbia. D’altra parte non credo che, viste tutte le limitazioni alla sovranità previste, Ahtisaari voglia proporre davvero un’indipendenza sostanziale, quanto piuttosto un’indipendenza di facciata, che possa accontentare la classe politica albanese-kosovara, ma che di riflesso metterà in luce tutta l’immaturità di quest’ultima nel creare le condizioni per un miglioramento economico in Kosovo. Al momento non esiste una vera economia in Kosovo, e le cose vanno sempre peggio.
Ma per la comunità serba sarebbe accettabile vivere in un Kosovo indipendente, nel caso venga a delinearsi proprio uno scenario di "indipendenza di facciata"?
Lo scontro tra le comunità albanese e serba in Kosovo è anche, profondamente, uno scontro sui simboli. I serbi possono accettare gran parte del pacchetto Ahtisaari, ma non potranno mai accettare l’indipendenza. Gli albanesi, d’altra parte, non accetteranno mai un pacchetto che non preveda l’indipendenza. Per noi è chiaro che il Kosovo continuerà ad avere un suo parlamento, sue istituzioni, nessuno lo mette in dubbio, in quella che possiamo definire appunto una situazione di "autonomia sostanziale". Ma l’indipendenza significa altro, significa che diventeremmo cittadini di un altro stato, che monumenti serbi possano diventare d’improvviso monumenti "kosovari", oltre al fatto che ci troveremmo a vivere in una situazione d’incertezza non soltanto formale, ma anche rispetto alla nostra sicurezza personale. E questo, per noi, è assolutamente inaccettabile.
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