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L’impresa sociale a est

Presentato a Bruxelles un nuovo studio sulle imprese sociali nei paesi dell’Europa centro-orientale e della Comunità degli Stati Indipendenti. L’analisi del contesto legale e normativo, le potenzialità e la diffidenza del pubblico nei confronti del terzo settore

04/01/2007, Risto Karajkov -

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Circa 50 studiosi e ricercatori provenienti da tutto l’est europeo si sono incontrati a Bruxelles lo scorso 10-11 dicembre in occasione della presentazione del nuovo "Studio sulla promozione del ruolo delle imprese sociali nei paesi dell’Europa centro-orientale (CEE) e della Comunità degli Stati Indipendenti (CIS)".

Pubblicato dal Centro regionale di Bratislava dell’UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) e realizzato dall’EMES (European Research Network), il rapporto è il risultato di un percorso di ricerca iniziato nel dicembre del 2005. L’obiettivo è quello di promuovere un ambiente che contribuisca allo sviluppo delle imprese sociali in considerazione della loro capacità di mitigare l’esclusione sociale nonché di creare nuove opportunità di lavoro nei paesi CEE e CIS.

La prima fase del progetto ha previsto un’indagine generale analitica della regione concentrata sulle "imprese sociali esistenti, i maggiori ostacoli alla loro espansione, e le raccomandazioni utili ad un futuro sviluppo delle imprese sociali". Inoltre, è stato intrapreso un ampio studio su 12 paesi: Repubblica Ceca, Estonia, Lituania, Polonia, Slovenia, Bulgaria, Macedonia, Serbia, Bielorussia, Kazakistan, Russia e Ucraina.

Nella fase successiva il progetto è stato dedicato agli studi su base nazionale di tre paesi – Polonia, Serbia e Ucraina – con lo scopo di "analizzare la struttura legale e normativa, le politiche del mercato del lavoro, le organizzazioni governative e della società civile attive nel settore delle categorie sociali svantaggiate, l’esame della domanda del mercato, le tendenze e le capacità di settore oltre all’identificazione di partner potenziali".

Infine, seguirà una terza fase: "attività dimostrative dirette a stimolare l’ambiente necessario allo sviluppo delle imprese sociali, attraverso la modificazione della legislazione nazionale esistente nonché l’incremento dell’accesso alle risorse, lo sviluppo di servizi e di capacità delle imprese sociali esistenti o nuove".

Secondo il professor Roger Spear dell’inglese Open University, uno dei principali relatori del workshop, l’argomento di maggior importanza a favore delle imprese sociali è quello che esse contribuiscono allo sviluppo di un alto grado di fiducia nell’economia e di un pluralismo istituzionale nel mercato; che esse portano alla giustizia sociale attraverso la costruzione dei beni sociali, catalizzano i processi di mutua assistenza e favoriscono l’inclusione sociale.

La relazione tenta di fornire un’alternativa al paradigma dominante del "no-profit" e di "società civile" nelle aree CEE e CIS. Definire un’impresa sociale è una sfida, forse ancora più scoraggiante definire la società civile. Il rapporto insiste su una prospettiva limitata, cercando tuttavia di mettere in luce sia le nozioni di attività economica che di risultato sociale. Tra le definizioni più semplici, un’impresa sociale utilizza mezzi economici per raggiungere scopi sociali. Ma nei fatti i confini sono vaghi.

"Fondazioni, associazioni, e cooperative possiedono una storia di lungo corso nell’Europa centrale, orientale e meridionale, e non sono il ‘prodotto’ delle trasformazioni di governo del 1989", si legge nel testo della ricerca.

"La mutua assistenza nel quadro di un ampio spettro di attività, incluse la produzione, il consumo, il credito e il commercio, si è sviluppata in diverse sfere della vita pubblica e se ne trova traccia fin dal Medioevo".

"La caduta del comunismo e le successive transizioni politiche ed economiche hanno aperto uno spazio senza precedenti per l’azione civica e nuove opportunità per le organizzazioni del terzo settore. Lo sviluppo delle organizzazioni del terzo settore dei paesi in transizione possono infatti essere considerati una specie di rinascita di diverse forme di organizzazioni cittadine".

Secondo il rapporto "il concetto di ‘economia sociale’, che mette insieme le cooperative, le società e associazioni di mutuo soccorso, con bassi interessi nei fondi, sottolinea la specificità della missione di queste organizzazioni, cioè l’obiettivo di ottenere benefici o per i propri associati o per la collettività più ampia, piuttosto che generare profitti per gli investitori. Questo approccio include pertanto le forme organizzative no-profit e mette in evidenza il carattere democratico del processo decisionale interno alle organizzazioni e il ruolo primario dato alle persone e al lavoro, rispetto al capitale, nella distribuzione dei profitti".

Nell’introduzione al rapporto si offrono alcune motivazioni di fondo dello studio. Secondo la ricerca "il riconoscimento delle reali potenzialità delle imprese sociali è ancora scarso, sebbene con livelli variabili, in tutti i paesi della regione, soprattutto nei paesi non baltici della ex Unione Sovietica e nei paesi dei Balcani".

Il rapporto premette che "viene riconosciuto alle imprese sociali un ruolo solo marginale" nelle regioni coinvolte dalla rilevazione, il che è differente dalla realtà dei paesi della vecchia Unione Europea a 15. Ciò, secondo quanto rilevato, "trae origine dalla persistenza dell’opinione politica e culturale tradizionale che attribuisce un ruolo di pura difesa e di redistribuzione a soggetti diversi e dalle imprese profit e delle imprese pubbliche (stato)".

Un punto critico che emerge dai risultati della ricerca, è legato alla "generale sfiducia nei confronti delle attività economiche realizzate dalle organizzazioni del terzo settore. In generale, le attività economiche portate avanti da queste organizzazioni appaiono marginali confrontate a quelle realizzate nei paesi dell’Europa occidentale". Ciò porta ad una sottoutilizzazione delle risorse sociali e a un’efficienza tutt’altro che ottimale nel vasto settore dei servizi.

Nella ricerca viene sottolineato che le imprese sociali possono contribuire in maniera significativa se viene ottimizzato il loro potenziale, e viene messo in particolare rilevo che: "Esse forniscono in primo luogo beni pubblici e di valore, e promuovono gli interessi dei singoli e dei gruppi svantaggiati nei processi di transizione, come confermato dalla storia delle economie dell’Unione Europea".

Il professore Jacque Defourny dell’Università di Liegi nonché direttore dell’EMES, mette proprio l’accento su questo fatto e cioè che il punto di avvio per le imprese sociali è legato all’emergere di nuovi tipi di impresa, principalmente in tre settori: inserimento nel lavoro delle fasce vulnerabili cosiddette marginalizzate, servizi alla persona quali la cura dei minori, lo sviluppo locale (cooperative locali, agro-turistiche, etc.).

Nel rapporto si afferma che le imprese sociali catalizzano l’uso produttivo "delle risorse, che altrimenti non verrebbero utilizzate per soddisfare bisogni sociali e di sviluppo". Pertanto, esse contribuiscono sostanzialmente al miglioramento della coesione sociale e ad uno sviluppo economico più bilanciato ed equo a livello locale.

In conclusione, la ricerca offre delle indicazioni per la promozione del concetto di impresa sociale nella regione CEE e CIS, con particolare riferimento al possibile ruolo di UNDP. L’Agenzia delle Nazioni Unite potrebbe, viene suggerito nel rapporto, "assumere il ruolo guida nello sviluppo del riconoscimento politico del valore socio-economico delle organizzazioni del terzo settore".

Il rapporto, di 138 pagine, è pubblico e accessibile in formato PDF sul sito dell’UNDP.

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