L’impossibile ritorno dei Serbi in Croazia
Human Rights Watch ha pubblicato il 3 settembre scorso un rapporto sullo stato del processo di ritorno dei Serbi di Croazia, espulsi dal paese nel corso della guerra 1991-95. Il rapporto è basato su un lavoro di ricerca durato due anni
"Gli impedimenti al ritorno sono insormontabili. E’ ora che il governo croato diventi parte della soluzione piuttosto che parte del problema."
Sono le poco diplomatiche parole usate da Lotte Leicht, direttrice dell’ufficio di Bruxelles di Human Rights Watch (HRW), nel presentare il 3 settembre scorso il rapporto "Promesse non mantenute: gli ostacoli al ritorno dei profughi in Croazia".
L’organizzazione basata a New York ha sintetizzato in 61 pagine una ricerca durata due anni, comprendente una ricognizione della legislazione vigente in Croazia sulla materia e una serie di interviste a ritornanti, occupanti di case, rappresentanti di associazioni civiche serbe e croate, di istituzioni locali e centrali e di organizzazioni internazionali.
Il numero delle persone di nazionalità serba che ha abbandonato la Croazia tra il 1991 e il 1995 è valutato da HRW tra le 300.000 e le 350.000. Nel 1991 i Serbi rappresentavano infatti il 12,1% della popolazione totale del paese, mentre il censimento del 2001 ha mostrato che questa percentuale è crollata al 4,5%. Non esistono peraltro statistiche precise su quante siano ad oggi le persone rientrate. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) la cifra dei ritorni sarebbe oscillante tra i 100.000 e i 110.000 al giugno 2001. Il governo croato ha invece registrato un numero corrispondente a 96.500 ritornanti al novembre 2002. Come sottolinea il rapporto, tuttavia, entrambe le stime sarebbero gonfiate in quanto molti dei cosiddetti ritornanti, dopo una breve permanenza in Croazia, ripartono per la Serbia e Montenegro o per la Bosnia Erzegovina.
Per quanto riguarda la tipologia dei ritorni, la recente pubblicazione conferma che la maggior parte dei ritorni effettivi è rappresentata da persone anziane, mentre raramente le famiglie con bambini decidono di ritornare. Se questa tendenza non cambia a breve, avverte seccamente HRW, la popolazione di nazionalità serba è destinata verosimilmente a scomparire in gran parte della Croazia nel corso delle prossime una/due decadi.
Gli ostacoli principali al ritorno identificati dal rapporto sono le difficoltà incontrate dai Serbi nel riottenere le case in cui vivevano prima della guerra: "Nonostante le ripetute promesse, il governo croato non ha avuto la volontà o la capacità di risolvere questo problema, che riguarda la grande maggioranza dei profughi serbi." Tra gli impedimenti ulteriori vengono indicati la paura di arresti arbitrari e la discriminazione nell’accesso al lavoro e alle pensioni.
Questi diversi ostacoli, nota l’organizzazione, sono il risultato di una vera e propria "pratica di discriminazione etnica attuata dal governo croato nei confronti dei Serbi."
La durezza dell’accusa lascia storditi gli osservatori più attenti della politica croata e i democratici che avevano salutato con favore la sconfitta dei nazionalisti di Tudjman (Hdz) e la affermazione della coalizione di centro sinistra alle elezioni del 2000. Non si tratta di una svista. Dopo aver stigmatizzato il clima ostile ai ritorni persistente nelle comunità locali prima a maggioranza serba ed ora governate da partiti croati dello schieramento nazionalista (laddove i tribunali rifiutano di sgomberare i Croati che occupano le proprietà di Serbi, polizia o procure locali arrestano cittadini di nazionalità serba su accuse di crimini di guerra "spesso frivole" e le imprese locali rifiutano di assumere Serbi), il rapporto punta il dito proprio sulla coalizione di centro sinistra al potere guidata dal socialdemocratico Ivica Racan.
Il governo centrale "non è riuscito a creare un clima politico favorevole ai ritorni". Infatti, nonostante le dichiarazioni di impegno a difendere i diritti delle minoranze e ad adottare tutte quelle misure che possano facilitare il ritorno dei profughi serbi, dichiarazioni che nel maggio 2001 favorirono la firma di un accordo di stabilizzazione e associazione (SAA) tra Unione Europea e Croazia, le promesse sono rimaste disattese. Invece di creare un clima positivo per il ritorno dei Serbi, "il governo ha persistentemente considerato prioritari bisogni e diritti delle persone di nazionalità croata, inclusi i rifugiati provenienti dalla Bosnia, rispetto ai diritti dei rifugiati e ritornanti serbi. Questa posizione ufficiale riflette e rafforza la pubblica opposizione al ritorno dei Serbi."
Oltre alle critiche di carattere generale, HRW biasima il governo croato per aver fatto poco o nulla per risolvere le innumerevoli questioni di proprietà ancora pendenti, per la giungla di leggi e regolamenti che creano un labirinto incomprensibile per il ritornante e per la lentezza nella assistenza alla ricostruzione delle case dei profughi non di nazionalità croata.
Rileva sottolineare infine che il rapporto considera di ostacolo al ritorno dei Serbi in Croazia anche l’atteggiamento delle autorità di Serbia e Montenegro, paese in cui risiede la maggior parte dei profughi stessi: "A discapito dei proclami, le autorità di Serbia e Montenegro nella pratica hanno scoraggiato i ritorni …. Sia il governo centrale che quello serbo hanno mostrato un interesse molto maggiore nel ricevere fondi da parte della comunità internazionale per la integrazione dei rifugiati in Serbia e Montenegro che nel favorirne il ritorno al paese di origine."
Il rapporto, ricco di analisi di casi specifici e storie personali, conclude con una serie di raccomandazioni indirizzate al governo croato, alla comunità internazionale, alle Nazioni Unite, all’Osce, al Consiglio d’Europa e alla Unione Europea. Particolarmente rilevante l’appello rivolto alle istituzioni di Bruxelles, che invoca il mantenimento di una rigida condizionalità tra progressi della domanda di adesione all’Unione e questione dei profughi.
Vai al rapporto integrale di Human Rights Watch
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