Tipologia: Notizia

Tag: Sanità

Area: Europa

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L’impatto della pandemia sulle carceri in Europa

Nonostante le carceri siano un terreno fertile per i virus, le amministrazioni penitenziarie hanno comunicato pochi dati sui casi di Covid-19, sui decessi e sulle vaccinazioni nelle prigioni europee. Qual è l’impatto della pandemia nelle carceri europee? Ce lo raccontano i dati raccolti in 32 paesi dalla nostra rete EDJNet

22/12/2021, Kira Schacht - Berlino

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Vangelis Stathopoulos, detenuto nella prigione greca di Larissa, fa parte dell’oltre mezzo milione di persone in Europa che hanno vissuto in carcere almeno una parte della pandemia da Covid-19. Come tante altre carceri, quello di Larissa è un terreno fertile per la diffusione del virus: sovraffollato e con spazi ristretti e insalubri.

"Ho avuto il Covid lo scorso dicembre. Circa metà dei detenuti erano malati allo stesso momento", dice Stathopoulos. "Siamo stati spostati in un’ala del carcere con altre 60 persone, in uno spazio di circa 110 m2. Non sapevamo quanto si sarebbe aggravato il nostro stato di salute".

Dallo scoppio della pandemia riceviamo aggiornamenti meticolosi e quotidiani sul Covid-19, e abbiamo tenuto sotto osservazione gli ambienti in cui il rischio di sviluppo di focolai è più alto, come le case di cura. Ma sono invece pochi i dati pubblici sulla diffusione del virus nei penitenziari. Grazie alla collaborazione di 12 redazioni giornalistiche coordinate da Deutsche Welle, lo European Data Journalism Network (EDJNet) ha potuto raccogliere dati in 32 paesi europei.

Il rischio per la salute è più alto in carcere

"Molte carceri sono sovraffollate e non c’è la possibilità di applicare le misure di distanziamento fisico", dice Filipa Alves da Costa, una consulente sanitaria del programma Health in Prisons dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Da Costa afferma che il rischio nelle carceri è simile a quello corso dalle persone che vivono in altre strutture residenziali, come le case di cura e i centri di accoglienza.

Molti detenuti sono affetti da HIV, sono tabagisti o consumatori di altre droghe: il rischio di contrarre il Covid-19 per loro è particolarmente grave. Secondo l’OMS, l’emarginazione, la povertà e il difficile accesso alle cure spesso colpiscono la salute di queste persone ben prima dell’incarcerazione; in seguito la situazione non fa che peggiorare la situazione. "Consideriamo i detenuti di 50 anni già anziani", dice da Costa.

Tuttavia, "quello del carcere non è un ambiente del tutto isolato", spiega Da Costa. "Le persone entrano ed escono da qui ogni giorno. Non solo il personale, ma anche i fornitori, gli avvocati e i detenuti stessi. Di conseguenza, se non si proteggono le carceri, non si protegge la comunità". Negli Stati Uniti, diversi studi hanno rivelato come i focolai scoppiati nelle carceri si sono estesi alla popolazione circostante, e hanno dimostrato che i casi di Covid-19 aumentano più rapidamente nelle regioni in cui c’è un maggior numero di persone detenute.

Misure efficaci contro il contagio

Uno studio condotto da alcuni ricercatori di Barcellona ha rivelato che la maggior parte dei Paesi europei ha applicato il lockdown nelle carceri all’inizio della pandemia. Le visite sono state immediatamente interrotte o severamente limitate quasi ovunque. In molte carceri, anche lo sport, le attività ricreative e lavorative sono state sospese e i permessi di uscita sono stati bloccati.

I dati raccolti da EDJNet mostrano che, a prima vista, le misure restrittive adottate hanno contribuito a evitare il peggio. In molti casi le carceri non si sono trasformate in gravi focolai e, secondo i dati disponibili, in molti paesi il tasso di positività nelle carceri si avvicina a quello della popolazione generale. Quando la percentuale dei contagi era alta nella popolazione generale, infatti, tendeva ad aumentare anche nelle carceri. Fanno eccezione paesi come la Croazia e la Grecia, dove la percentuale di detenuti positivi è molto più alta rispetto alla popolazione generale. Il ministro della Giustizia croato ha recentemente confermato che più del 20 per cento dei detenuti ha avuto il Covid-19, circa 1,5 volte il tasso del resto della popolazione.

In molti paesi i casi segnalati nelle carceri sono rimasti sotto la percentuale dei casi di Covid della popolazione generale (anche in Ungheria e in Francia, dove le prigioni sono notoriamente sovraffollate). Certo, non sempre i numeri ufficiali raccontano tutta la storia. La maggior parte delle amministrazioni penitenziarie non raccoglie i dati in modo sistematico, dice Adriano Martufi, ricercatore dell'Università di Leida. "A mio avviso c'è un problema di stime al ribasso", afferma Martufi. 

Il carcere greco di Larissa, per esempio, ha segnalato solo 200 casi di Covid-19 fino a luglio 2021. Stathopoulos afferma di averne contati molti di più. "Solo tra dicembre 2020 e oggi, penso di aver contato almeno 500 casi", dice. La sottostima nei dati potrebbe non essere intenzionale, ma rispecchiare invece carenze di personale, materiale o di capacità tecniche in molte carceri europee.

Contagi contenuti, ma a un prezzo esorbitante

Anche se prendessimo per buoni i dati sui contagi, vanno considerati gli effetti collaterali delle restrizioni imposte per frenare la diffusione del coronavirus. "La tragedia che temevamo non si è verificata, ma sono stati imposti enormi sacrifici alla popolazione carceraria: niente attività, niente insegnamento, niente lavoro", racconta Dominique Simonnot, ispettore generale dei luoghi di privazione di libertà per il governo francese. "A livello sociale, il prezzo è esorbitante".

Negli ultimi 18 mesi, molte prigioni sono state isolate più del solito. In base alle regole minime per il trattamento dei detenuti fissate dall'Onu, l'isolamento dovrebbe essere utilizzato come ultima risorsa, per il più breve tempo possibile e mai per più di 15 giorni. Tuttavia, durante la pandemia l'isolamento dei detenuti è diventato una prassi in molti paesi. In Irlanda, tutti i detenuti dai 70 anni in su o affetti da malattie croniche sono stati messi in isolamento durante la prima ondata. In alcune strutture tedesche, i detenuti in attesa di giudizio sono stati isolati per 14 giorni dopo ogni udienza.

In Francia, una quarantena di due settimane era obbligatoria dopo ogni contatto con l'esterno, comprese le visite mediche, dice Simonnot. "Di conseguenza, alcuni rifiutavano questi spostamenti, con tutti i rischi che questo comporta per la loro salute".

Visite e attività annullate

Il divieto delle visite in carcere è stata una restrizione particolarmente difficile per i detenuti. "Le visite sono estremamente importanti", dice Catherine Heard , direttrice del World Prison Research Programme. "È difficile spiegare quanta differenza faccia per i detenuti avere la possibilità di rimanere in contatto con le loro famiglie". Secondo la Corte europea dei diritti dell'uomo, i detenuti hanno il diritto di avere una vita familiare.

In Ungheria, racconta il detenuto Csaba Vass, "prima della pandemia avevamo due ore e mezza di contatto fisico due volte al mese: questo divieto ha causato problemi molto seri alla nostra salute mentale". La maggior parte dei paesi ha introdotto la possibilità di videochiamare la famiglia o gli amici, con alcune restrizioni e con connessioni internet non sempre all’altezza. "In molti penitenziari europei sono stati fatti grandi passi in avanti coi sistemi di videochiamata", dice Martufi. "Prima della pandemia sarebbe stato assolutamente impensabile".

A parte le videochiamate, Catherine Heard non ha osservato molti sforzi tesi a mitigare l'impatto delle restrizioni: "Si è persa una grande opportunità. Per esempio, si sarebbero potuti fornire materiali di lettura, informazioni registrate o l'accesso a lezioni online". I Paesi Bassi sono stati uno dei pochi Paesi che hanno riavviato le attività nelle carceri in tempi relativamente brevi, grazie a sistemi di rotazione e l'organizzazione in piccoli gruppi fissi.

Il sovraffollamento ha aggravato la situazione

La situazione nelle carceri è stata aggravata da problemi strutturali presenti da molto prima della pandemia. "Nei penitenziari maggiormente sovraffollati, dove le misure di distanziamento fisico sono impossibili da attuare, sono state adottate restrizioni più severe e prolungate", dice Heard. Ricercatori, Ong e detenuti parlano ripetutamente del sovraffollamento come del nucleo del problema. Un terzo dei paesi europei ha infatti una popolazione carceraria che supera le capacità del sistema penitenziario.

"Mi trovo in una cella destinata a cinque persone: ora siamo in otto. È impossibile mantenere il distanziamento", ha dichiarato un detenuto in sciopero della fame a una testata croata nel marzo 2020. "Non possiamo vedere le nostre mogli e i nostri figli, e forse alcuni di noi non li rivedranno mai più. Ci sentiamo come detenuti nel braccio della morte, in attesa che il coronavirus irrompa nella prigione".

Durante la prima ondata, molti paesi europei hanno liberato un numero di detenuti senza precedenti per ridurre la pressione sulle carceri. "È quello che gli esperti dicono di fare da anni", dice Heard. Tra marzo 2020 e giugno 2021 la popolazione carceraria è diminuita di ben mezzo milione di persone. Paesi come la Slovenia, il Belgio, la Francia e l'Italia hanno ridotto il numero di detenuti fino al 25 per cento , portandolo finalmente al livello o al di sotto della capacità ufficiale. "I paesi hanno imparato che si può ridurre il numero di detenuti senza che caschi il mondo", dice Heard.

Tuttavia, dopo un calo iniziale la popolazione carceraria sta aumentando di nuovo in circa la metà dei paesi europei presi in considerazione, in alcuni casi superando anche il livello iniziale. Le carceri francesi e slovene, per esempio, sono tornate ad essere sovraffollate.

Vaccinazioni in ritardo

Come nel resto della società, un "ritorno alla normalità" nelle carceri dipende innanzitutto dalle vaccinazioni. "Quando è stato annunciato che ci sarebbe stato un vaccino, le persone si sono calmate", racconta Vass. "Per quanto ne so, quasi tutti i detenuti si sono vaccinati. Io ho ricevuto la prima dose a maggio, la seconda a giugno e, come molti, la terza a settembre".

Non tutti però hanno ricevuto la loro dose di vaccino. Una delle ragioni è che, nonostante l'alto rischio per i detenuti, per il personale e per le comunità circostanti, la maggior parte dei paesi europei non ha incluso i detenuti nelle categorie prioritarie dei piani di vaccinazione.

In alcuni casi, dice Martufi, la politica ha addirittura ostacolato l'accesso anticipato al vaccino. "In Belgio, la prioritarizzazione dei detenuti è diventata oggetto di dibattito politico", afferma Martufi, "e, di conseguenza, i detenuti sono stati esclusi dalla campagna vaccinale fino alla fine". Questo ha fatto sì che l'inizio delle vaccinazioni nelle carceri sia stato ritardato significativamente. Alcuni paesi non hanno somministrato nemmeno una dose prima di giugno 2021, mentre altri hanno riferito di aver iniziato già a fine marzo. Negli ultimi mesi, le vaccinazioni nelle carceri di diversi paesi hanno finalmente raggiunto i numeri dei vaccini somministrati nella popolazione generale.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato da Deutsche Welle nell'ambito di un'inchiesta collaborativa prodotta dallo European Data Journalism Network, a cui hanno partecipato OBC Transeuropa e Deutsche Welle, assieme con Alternatives Economiques, Civio, El Confidencial, EUrologus, Il Sole 24 Ore, iMEdD, MIIR, Openpolis, Pod črto e Voxeurop.

© Deutsche Welle

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