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Libertà dei media, la classifica di Reporters Sans Frontières

Uscito questa mattina il nuovo Indice della libertà di stampa di Reporters Sans Frontières (RSF). Uno sguardo sulle posizioni occupate dai paesi che seguiamo e un invito a non abbassare la guardia, puntando su qualità e fiducia

21/04/2020, Giovanni Vale -

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È un “decennio decisivo per il giornalismo” quello che si apre quest’anno, con la pubblicazione del nuovo Indice della libertà di stampa annunciato oggi da Reporters Sans Frontières (RSF) . Una classifica che come ogni anno confronta e analizza le condizioni di lavoro per i giornalisti in 180 paesi diversi e che in quest’edizione constata, oltre ad un generale peggioramento della libertà di stampa a livello globale, anche l’introduzione di un nuovo elemento con effetto moltiplicatore: la pandemia.

“La crisi sanitaria è l’occasione per i governi autoritari per mettere in pratica una ‘dottrina dello shock’: approfittare della neutralizzazione della vita politica, dello spavento del pubblico e dell’indebolimento della mobilizzazione per imporre delle misure impossibili da adottare in tempi normali”, commenta il segretario generale di RSF Christophe Deloire.

In questo modo, il COVID–19 lega tra loro e rafforza cinque crisi già esistenti nel mondo del giornalismo: una crisi geopolitica (con l’aggressività dei modelli autoritari), tecnologica (con l’assenza di garanzie democratiche), democratica (con la polarizzazione e con le politiche di repressione), della fiducia (con il sospetto o addirittura l’odio nei confronti dei media) e infine economica (con l’impoverimento del giornalismo di qualità).

Il risultato? Appena un quarto dei 180 paesi analizzati registrano delle condizioni “buone” o “soddisfacenti” per il giornalismo. Nei restanti, la situazione è “problematica”, “difficile” o “molto seria”. E le regioni dei Balcani e del Caucaso non fanno eccezione. Anche qui, emergono gli stessi fenomeni tra l’impoverimento dello stato di diritto, le violenze e le difficoltà sempre maggiori per i reporter.

La libertà di stampa nei Balcani

Nei Balcani occidentali, tre sono gli arretramenti che emergono nell’Indice 2020 in termini di libertà di stampa. “Montenegro (105°) e Albania (84°) perdono rispettivamente una e due posizioni [rispetto all’anno scorso, ndr.] dopo un anno caratterizzato dall’arresto e dalla detenzione di giornalisti col pretesto della lotta alla disinformazione e marcato anche dagli attacchi giudiziari, in particolare con il processo kafkiano contro il giornalista investigativo montenegrino Jovo Martinović”, si legge nel nuovo rapporto di RSF.

Peggiora anche la situazione in Serbia (93°), che perde tre posizioni soprattutto a causa dell’inazione contro gli attacchi ai giornalisti, rimasti impuniti. “Gli autori dell’incendio della casa del giornalista d’inchiesta Milan Jovanović non sono ancora stati condannati dalla giustizia serba”, nota il rapporto.

Migliorano la Slovenia (32°), la Croazia (59°), la Bosnia Erzegovina (58°), il Kosovo (70°) e la Macedonia del Nord (92°), mentre resta invariata la Grecia (65°). Ma anche in questi paesi non mancano gli attacchi ai giornalisti.

È il caso della Croazia con il recentissimo caso di due reporter malmenate in una chiesa il giorno di Pasqua e della Grecia dove l’estrema destra attacca regolarmente i giornalisti. C’è poi il problema delle televisioni pubbliche, vittime di “incessanti attacchi da parte dei governi (…) in tutta l’Europa centrale e orientale”. Nei Balcani, rientra in questo capitolo la Bulgaria (111°), mentre in Romania (48°), “il nuovo regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR) è stato sconvolto per permettere alle autorità, ma anche ad alcune imprese e individui, di far ricorso a queste disposizioni per impedire ai giornalisti di accedere alle informazioni e persino di far causa alle testate che hanno pubblicato degli articoli d’inchiesta”.

La situazione nel Caucaso

Il matrimonio tra regimi autoritari e tecnologia è un aspetto che preoccupa particolarmente RSF man mano che ci si sposta più ad Est. Russia (149°) e Turchia (154°) sono certamente i casi più eclatanti in questo contesto, ma “anche in Georgia (60°), che realizza il risultato migliore della sua regione, Facebook ha chiuso centinaia di account fittizi che si presentavano come media facendo campagne di disinformazione a favore del governo”. Una posizione sotto alla Georgia, l’Armenia (61°) continua a registrare “casi di ostilità verso i giornalisti, che prima avvenivano sotto forma di violenza fisica e oggi si sono gradualmente trasformati in molestie giudiziarie”. L’Azerbaijan scende di due posizioni e rasenta ormai il fondo della classifica mondiale, finendo 168° su 180 paesi. Qui, come in Bielorussia (153°), i giornalisti si vedono spesso negare la partecipazione a eventi pubblici, mentre i documenti vengono improvvisamente classificati come “riservati” dalle autorità, limitando così l’accesso alle informazioni.

Un decennio decisivo

In un contesto di restrizione delle libertà personali, in cui i governi hanno dichiarato in molti casi lo stato di emergenza e in cui si introducono nuove misure e strumenti tecnologici per il controllo degli spostamenti, il giornalismo rischia di venire a sua volta limitato. “Affinché questo decennio decisivo non sia un decennio funesto, tutte le persone di buona volontà, chiunque siano, devono mobilitarsi perché i giornalisti possano continuare ad esercitare questa funzione essenziale di essere dei terzi di fiducia”, afferma il segretario generale di RSF Deloire.

Se in un momento eccezionale come quello che stiamo vivendo, con un maggiore potere per i governi, la funzione di controllo esercitata dalla stampa dovesse essere ridotta, il rischio di una deriva autoritaria diventerebbe una realtà anche in quegli stati tuttora ancorati ai valori democratici. Attiviamoci tutti affinché questo non accada.

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