Libertà dei media in Croazia: il problema non sono le leggi ma la loro applicazione
951 processi contro giornalisti, richieste di risarcimento danni per 10,3 milioni di euro. Numeri che testimoniano come il mondo dei media in Croazia sia sotto pressione. Ne abbiamo parlato con Vanja Jurić, avvocatessa specializzata in libertà di espressione
Secondo l’ultimo rapporto dell’Associazione dei giornalisti croati (HND/CJA) , almeno 951 processi sono in corso in Croazia contro giornalisti e media. Nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di procedimenti per diffamazione, e in totale i danni per cui si chiede un rimborso a reporter e testate ammontano a circa 10,3 milioni di euro. Vanja Jurić è un’avvocatessa croata specializzata nella libertà di espressione e nel diritto dei media. Dal 2008, difende editori, giornalisti, organizzazioni della società civile o ancora attivisti in molti di questi processi. Le abbiamo chiesto di spiegarci quello che sta succedendo in Croazia.
Perché ci sono così tanti processi contro giornalisti e media in Croazia?
Penso che il motivo principale sia che siamo una democrazia molto giovane e quindi non abbiamo sviluppato la consapevolezza dell’importanza della libertà dei media e di cosa significa veramente la libertà di espressione in una società democratica. La gente pensa che sia del tutto normale, usuale e persino desiderabile citare in giudizio i media. Il dato raccolto annualmente dall’Associazione dei giornalisti della Croazia (HND) che parla di circa mille processi in corso contro i media e i giornalisti (un dato peraltro incompleto, perché ci sono alcune redazioni che non rispondono) è molto elevato rispetto al numero di abitanti che ha la Croazia e rispetto a quanto succede negli altri paesi dell’UE.
È solo un problema sociale o la legge croata non tutela abbastanza i giornalisti?
Non credo che il problema principale sia nelle nostre leggi. Le nostre leggi sono molto solide e tutte le cause si basano sulla violazione dei diritti della personalità. In Croazia, l’onore, la reputazione e la dignità sono diritti costituzionali. Tutti dovrebbero avere il diritto di proteggere il proprio onore, la propria reputazione e dignità. Non limiterei la possibilità di citare in giudizio anche i media e i giornalisti se ci sono le basi per farlo. Sicuramente le leggi possono essere migliorate e noi continuiamo ad insistere su certe cose, come ad esempio cancellare dal codice penale i crimini contro l’onore, la reputazione e la dignità. Tuttavia, già ora il quadro giuridico fornisce una buona base per far sì che tutti questi procedimenti si concludano in modo giusto e corretto. Quello che mi sembra problematico è invece l’applicazione delle leggi. Questo accade ancora troppo spesso nei processi, anche se per fortuna gli errori dei tribunali di prima istanza vengono spesso corretti nelle istanze superiori. Però finché le istanze superiori non decidono sulla questione – cosa che può richiedere 3, 5 o 7 anni, perché a volte bisogna aspettare la Corte costituzionale e così via – il processo rappresenta una seria pressione, sia per i giornalisti che per i media, in termini di costi, tempo e preoccupazioni esistenziali.
Quanto spesso un processo per diffamazione finisce con l’assoluzione del giornalista o del media?
Posso parlare dei casi di cui mi occupo, e direi che vinciamo il 90% o il 95% delle volte, anche se magari non subito in primo grado. Naturalmente, ci sono casi in cui effettivamente sono state pubblicate delle informazioni sbagliate, per cui l’errore è stato fatto, e in quel caso la situazione è diversa. La nostra percentuale di successo è molto buona, ma come ho detto prima, questo comporta comunque grandi costi per le redazioni. Una situazione molto specifica si verifica poi con i media no-profit, che semplicemente non hanno gli strumenti finanziari per questo genere di azioni legali. Per loro, qualsiasi sentenza, anche quelle che impongono il pagamento di 10.000 o 20.000 kune (1.300–2.600 euro), rappresenta una minaccia alla loro esistenza.
Ci sono strumenti a disposizione dei media no-profit per coprire queste spese legali?
Nel 2015, l’HND assieme a un paio di noi avvocati, ha fondato il “Centro per la protezione della libertà di espressione” (Centar za zaštitu slobode izražavanja) che coinvolge degli avvocati che forniscono assistenza legale gratuita in questo tipo di situazioni. È uno strumento importante per chiunque si trovi a far fronte a questo genere di problemi. Ci sono poi anche alcune organizzazioni internazionali, che – da quando si è iniziato a parlare di SLAPP in Europa – hanno messo a disposizione dei giornalisti e dei media dei fondi per difendersi nei processi in cui ci sono casi gravi elementi di SLAPP. In quei casi le organizzazioni internazionali aiutano a finanziare i costi. Le organizzazioni internazionali che si occupano della libertà dei media e della libertà di espressione devono essere lodate per tutto quello che hanno fatto finora, perché penso che sia stato esclusivamente il loro lavoro e il lavoro di gruppi specializzati negli stati membri che ha portato a mettere in agenda questa questione.
Quanto può costare un processo?
In media, la sanzione decisa dai tribunali croati, quando determinano che c’è stata una violazione dei diritti personali, è tra le 20.000 e le 40.000 kune (2.600–5.200 euro), ma la somma esatta varia a seconda del giudice, da quante udienze ci sono state e così via. Queste spese, inoltre, aumentano di 10.000-15.000 kune (1.300–2.000 euro) se contiamo anche gli interessi legali ecc. Tuttavia, la situazione può essere anche molto diversa, ad esempio come nel caso dei recenti processi contro Telegram e Hanza media (non li difendo io), nei quali la parte lesa ha chiesto più di 1 milione di kune nel primo caso e 900.000 kune nel secondo [ovvero oltre 120mila euro, ndr.]. Siccome le spese del procedimento dipendono dal valore dell’oggetto della controversia, una comparizione in tribunale può costare in questi casi 5.000, 7.000, anche 10.000 kune. Le richieste sono così alte, perché i querelanti sanno che più è alta la richiesta, più alti sono i costi del procedimento e quindi maggiore è la pressione sui media. Anche se sa che non vincerà quella somma, il querelante ha il diritto di stimare il danno che pensa di aver subito. Ci sono meccanismi che il convenuto può utilizzare per mettere in discussione il valore della controversia, ma è il tribunale che decide in ultima analisi sul valore
Da dove arrivano solitamente le cause contro media e giornalisti?
Da persone che hanno un potere finanziario, politico o di altro tipo. Il più delle volte sono politici o funzionari o alcuni potenti uomini d’affari, o corporazioni. La caratteristica principale è che da una parte c’è il potere (finanziario, politico o altro) e dall’altra parte ci sono i media, i giornalisti, gli attivisti, gli informatori, ecc. In Croazia questi sono più spesso politici, non necessariamente in carica, e imprenditori. A Virovitica, ad esempio, abbiamo ora il caso di Goran Gazdek uno dei vicepresidenti dell’HND che gestisce il portale virovitica.net . Questo è uno di quei casi in cui per me è incomprensibile capire come l’accusa sia riuscita ad averla vinta, ma sta di fatto che il portale virovitica.net è obbligato a pagare circa 10.000 kune ad un politico e attuale membro del parlamento [Romana Nikolić, ndr.], perché il sito ha riferito che 10 anni fa questa persona è stata condannata per aver minacciato un’altra persona. Si tratta di un’informazione precisa e che nessuno contesta, tuttavia, il querelante – e dunque il tribunale – ha ritenuto che la riabilitazione sia conclusa e che i giornalisti non abbiano più il diritto di pubblicare l’informazione. C’è una sentenza simile nei confronti del giornale 24Sata. Inoltre, la stessa persona ha avviato lo stesso procedimento anche contro l’editore del portale Faktograf e contro l’editore del portale Libela. C’è tutta una serie di procedimenti di questo tipo avviati dalla stessa persona. Questo perché diversi media ne hanno parlato durante la campagna per le elezioni parlamentari e subito dopo, quando la querelante è diventata deputata. Parlarne è davvero nell’interesse pubblico, secondo me è chiarissimo. Ma ora questa persona ha già vinto diversi procedimenti e si tratta di un grosso problema. I tribunali in questo caso mostrano davvero una mancanza di comprensione. Io sto lavorando su due casi che coinvolgono questa querelante e mi aspetto di vincere, ma quando vedo decisioni del genere, allora mi dico che non si può essere sicuri di come andrà a finire.
Lei fa questo lavoro da ormai 14 anni. Cosa è cambiato in Croazia in questo periodo?
Per quanto la situazione sembri cattiva, penso che in questi 14 anni la Croazia sia andata nella buona direzione (anche se purtroppo questo processo richiede molto tempo). Ad esempio, le richieste dei querelanti sono in generale più basse che in passato. E in questo senso, per la Croazia è stata molto importante la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) nel caso “Narodni List vs Croazia”, dove la Corte europea ha sancito che le 50.000 kune (6.600 euro) che il querelante chiedeva e aveva ottenuto erano troppe. La CEDU le ha paragonate all’importo che in Croazia viene giudicato per il risarcimento danni per la morte di un parente stretto. Questo è stato molto intelligente da parte della corte. Questo importo è di circa 75.000 kune (10.000 euro) e il tribunale ha detto che la richiesta in questo tipo di procedimento non può essere pari a 2/3 del compenso pagato in situazioni molto più gravi. Dopo questa sentenza della CEDU, mi sembra che i querelanti abbiano iniziato a presentare richieste più basse e i tribunali a concedere importi più bassi, quindi c’è una buona tendenza.
Stiamo anche facendo dei progressi per quanto riguarda i crimini contro l’onore e la reputazione. Abbiamo avuto una brutta fase nel 2011–2012 quando è stata introdotta nel codice penale una disposizione sull’umiliazione grave che era problematica per una serie di motivi. Ma successivamente questa disposizione è stata eliminata. Il reato di diffamazione, anche se esiste ancora nel codice penale, è formulato in modo tale che è abbastanza difficile da provare. L’ingiuria esiste ancora, ma è stata ripristinata l’esclusione dell’illiceità quando il reato di ingiuria è commesso nell’esercizio del lavoro giornalistico e alcune altre cose. Tutti questi cambiamenti nel diritto penale, anche se questi reati esistono ancora, mostrano che la direzione che si sta seguendo è quella della depenalizzazione e che il legislatore vuole incoraggiare la risoluzione di tali questioni nei procedimenti civili e non in quelli penali. Anche se ci sono ancora molti procedimenti penali in corso, la percentuale di successo dei querelanti è significativamente inferiore a quella dei contenziosi civili.
Cos’altro bisognerebbe fare?
Può sembrare un cliché, ma penso che il modo giusto per combattere queste cose sia quello di educare sistematicamente tutti i partecipanti a questi procedimenti. Penso agli avvocati di entrambe le parti e soprattutto ai giudici che decidono in questi processi. Si può avere una legislazione ideale, ma se ci sono persone che non sono istruite su come applicarla correttamente si avrà sempre lo stesso problema. Ho detto all’inizio che abbiamo delle leggi soddisfacenti, quindi c’è un quadro legislativo in base al quale questi casi possono essere giudicati in modo abbastanza solido e corretto. Il problema è l’applicazione. Questo perché non abbiamo avvocati né giudici specializzati su questi temi. I tribunali sono sovraccarichi di lavoro, e i media e il diritto dei media sono uno specifico tipo di diritto in cui bisogna essere costantemente aggiornati, bisogna seguire la giurisprudenza della corte europea, bisogna capire molto bene non solo le norme e i principi legali, ma anche come funziona il giornalismo, come lavorano i giornalisti, come funzionano le redazioni, quali attrezzature e meccanismi utilizzano. È davvero una branca esigente del diritto. Noi ci stiamo formando sistematicamente e intensamente. Non è una soluzione facile, né qualcosa che otterremo in un giorno o due, ma penso che dovremmo iniziare il prima possibile e questo è l’unico modo per ottenere i risultati che vogliamo.
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