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LGBT nei Balcani: “Due passi avanti e uno indietro”

L’eurodeputata verde olandese Marije Cornelissen – componente dell’intergruppo parlamentare per i diritti delle persone omosessuali, lesbiche, bisex e transgender – traccia un bilancio della lotta contro l’omofobia e per i diritti delle persone omosessuali nei Balcani

12/05/2014, Tomas Miglierina - Bruxelles

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Marije Cornelissen, lei si è occupata di omofobia nei Balcani per tutta la durata della legislatura. Qual è la sua valutazione complessiva, come sono cambiate le cose in questi cinque anni?

Marije Cornelissen (foto di Martin Pluimers)

Marije Cornelissen (foto di Martin Pluimers)

Qualche settimana fa al Parlamento Europeo abbiamo inaugurato un’esposizione di foto, principalmente dal gay pride, che abbiamo intitolato “due passi avanti ed uno indietro”. Questa è, in generale, la mia visione: ci sono stati progressi in quasi tutti i paesi. Prenda il Montenegro: la prima volta che visitai quel paese, un ministro montenegrino mi disse: “Qui non abbiamo problemi di discriminazione, perché non ci sono omosessuali. Siamo un paese conservatore, non ci sono persone del genere”.  Allora ci siamo messi a lavorare sulla visibilità, alcune persone hanno aperto un’organizzazione LGBT e finalmente il Parlamento montenegrino ha adottato un piano d’azione contro l’omofobia. Penso sia un’ottima cosa: in quattro anni siamo andati dalla negazione pura e semplice al varo di un “action plan”. Ma poi ci sono storie come quella di Zdravko [Cimbaljević], che ha dovuto lasciare il paese e ora vive in Canada con lo status di rifugiato, perché era stato minacciato troppo.

Ero in Serbia nel 2010 per il Gay Pride, che in sé andò piuttosto bene, ma la battaglia tra la Polizia e gli Hooligans fu orribile, e da allora non c’è più stato un Pride. D’altro canto c’è stato Boban Stojanović, uno degli attivisti locali, che è riuscito ad apparire nella versione serba del Big Brother ed ha fatto moltissimo per la visibilità degli omosessuali nel paese, attirando loro della simpatia. Spero che il prossimo 31 maggi

o si riesca ad avere un Gay Pride. Io sarò li.

E nella Croazia ormai membro dell’ UE?

A Spalato nel 2011 le cose sono andate decisamente male, nel 2012 è stato molto meglio. La Croazia è il primo paese della regione a considerare la creazione di un’unione civile, ma al tempo stesso c’è stato questo referendum per iscrivere nella Costituzione che il matrimonio è solo quello tra un uomo ed una donna. Ancora una volta: passi avanti e passi indietro, ma nel complesso le cose vanno nella direzione giusta.

Ma è sicura che a cambiare siano anche le società? Non sarà solo qualche mossa dei politici, per ingraziarsi l’Unione europea?

L’accettazione pubblica dipende molto dall’atteggiamento delle autorità. Nel 2012 in Albania e in Macedonia, quasi contemporaneamente, è partito sulla stampa locale un discorso omofobico. [A proposito dell’eventualità che si stesse per organizzare un Gay Pride a Tirana, l’allora viceministro della Difesa (Ekrem Spahiu) disse che i partecipanti a questa “marcia depravata” avrebbero dovuto essere “picchiati con i bastoni”, ndr]. Il premier Sali Berisha intervenne subito per condannare quelle parole, prendendo chiaramente posizione contro le discriminazioni. E il discorso omofobico ebbe fine. E dire che Berisha non è esattamente noto per essere un progressista. In Macedonia invece nessuno disse nulla e quel tipo di discorso orribile andò avanti a lungo. Quando i politici di spicco prendono una posizione, questa ha delle conseguenze importanti sull’opinione pubblica.

Ma sono coerenti nel loro discorso?

In Serbia, quando il governo parla all’Unione europea, il linguaggio è quello giusto: dicono di essere a favore dei diritti delle minoranze, ma poi abbiamo visto l’ex premier Ivica Dačić fare sui giornali delle dichiarazioni omofobiche, dirette ovviamente al pubblico interno. Sì, certi politici non dicono sempre la stessa cosa.

In che modo l’Unione riesce a spingere il cambiamento?

Nell’UE abbiamo una legislazione anti-discriminazione molto sviluppata e che riguarda anche le persone LGBT. Chi vuole aderire all’Unione deve adottarla. Gli interessati lo sanno molto bene. Il governo del Montenegro sa, per esempio, che avere un Pride a Podgorica sarà visto con favore a Bruxelles, perché vogliono togliere questo dalla lista delle cose da fare.

Ma non è un vero progresso, è solo per compiacere Bruxelles…

Senta, ovviamente preferirei che queste cose venissero “dal cuore”, ma non è necessario. L’importante è che proteggano le persone dalla violenza dell’omofobia; perché lo fanno non mi interessa. Non c’è niente nella legislazione europea che riguardi il matrimonio, questa è una materia completamente nelle mani degli Stati membri, per questo l’Unione non ha potuto fare nulla sul referendum croato. Ma se avessero fatto un referendum, per esempio, per cancellare la non-discriminazione delle persone LGBT sul posto di lavoro, questo sarebbe stato fermato.

Lei fa parte di un intergruppo, cioè di un gruppo formato da eurodeputati di vario colore politico. Quanto è stato veramente ampio il consenso su questi temi nel Parlamento europeo uscente?

C’è stato un consenso molto ampio. C’è un piccolo gruppo di persone, molto religiose, vicine a certi gruppi cattolici e quasi tutte nel PPE, che sono contro i diritti per le persone LGBT, ma altrimenti il consenso è ampio.

E la Commissione? Siete soddisfatti di quanto ha fatto su questa materia nei Balcani?

Si può sempre fare meglio, ma fanno già molto. Potrebbero comunicare meglio con i gruppi LGBT. E anche la condizionalità potrebbe essere rafforzata, per esempio con la Serbia. Bandire i gay pride non è nemmeno più una questione LGBT, ha a che fare con la libertà di espressione. Quando il governo serbo si giustifica dicendo che ci sono gruppi anti-gay violenti e dunque non possono proteggere il diritto a dimostrare di un gruppo di cittadini pacifici, ci stanno dicendo in altre parole che non hanno il monopolio nell’uso della forza, e questo è molto grave per uno Stato.

È ottimista per il futuro?

Certamente la Serbia dovrà fare di più durante questi negoziati, non potrà cavarsela solo con delle riforme cosmetiche. Stessa cosa per il Montenegro. L’unico paese che mi preoccupa davvero è la Bosnia Erzegovina, dove niente si muove, in nessun campo. È stata creata un’organizzazione LGBT che è piuttosto attiva, e la Polizia ha lavorato bene con loro, ma a livello politico non c’è alcuna volontà di riforme.

Questo in Bosnia vale per tutto, non solo per i diritti delle persone LGBT. Forse le questioni LGBT sono un termometro per misurare in generale il progresso di un paese verso l’Europa?

Forse sì. Quando c’è un clima di riforme, questo si fa sentire anche sui diritti delle persone LGBT. In Moldova stanno facendo varie riforme e improvvisamente si stanno occupando anche di non discriminazione. Se in un paese c’è un clima generale di riforme, anche quelle che riguardano le persone LGBT sono più facili.

Dunque, la battaglia per LGBT non è solo la battaglia per una minoranza…

No, è una questione generale di diritti fondamentali. Se sei un paese democratico, se vuoi entrare nell’Unione europea, devi saper proteggere i diritti umani.

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