LGBT Croazia, due passi avanti e uno indietro
Uno storico verdetto del tribunale amministrativo di Zagabria segna il diritto all’adozione per le coppie dello stesso sesso. La notizia però viene subito smorzata dal ministero della Famiglia che ha detto di voler far ricorso
Due passi avanti e uno indietro. Quando si parla di diritti LGBT in Croazia, questo sembra essere il trend generale: i progressi nel paese ci sono, ma sono sempre accompagnati da una qualche ricaduta negativa. L’ultimo esempio è arrivato la settimana scorsa. L’associazione croata “Famiglie Arcobaleno” (Dugine Obitelji) ha annunciato il 5 maggio un verdetto “storico” da parte del tribunale amministrativo di Zagabria: per la prima volta, i giudici si sono espressi a favore del diritto all’adozione per le coppie dello stesso sesso, spianando la strada al raggiungimento di una completa uguaglianza tra le coppie eterosessuali ed omosessuali. Ma ecco che all’indomani dell’annuncio, il ministero del Lavoro, delle Pensioni, della Famiglia e delle Politiche sociali ha fatto sapere che presenterà un ricorso, mentre nel fine settimana alcuni ultras della squadra di calcio di Fiume hanno pubblicato un video in cui viene dato fuoco alla bandiera arcobaleno appesa davanti alla sede del comune. Appunto, due passi avanti e uno indietro.
Verso l’uguaglianza
La “decisione storica” — per usare le parole di Daniel Martinović, il presidente di “Famiglie Arcobaleno” — è stata resa pubblica mercoledì scorso. “Questo verdetto apre la porta a tutte le coppie omosessuali interessate all’adozione”, ha detto Martinović ai giornalisti durante una conferenza stampa tenutasi davanti al tribunale amministrativo di Zagabria. La sentenza in questione data in realtà il 21 aprile scorso, ma le due persone coinvolte – Ivo Šegota e Mladen Kožić – hanno preferito non apparire in pubblico e lasciare a ”Famiglie Arcobaleno” e a Daniel Martinović il compito di fare l’annuncio alla stampa la notizia.
Il processo che vedeva coinvolti Šegota e Kožić è iniziato nel 2016, quando i due uomini, appena uniti in una “partnership di vita” (l’unione civile approvata nel 2014 per garantire alle coppie omosessuali gli stessi diritti delle coppie sposate), hanno fatto domanda di adozione. Inizialmente ben accolti nel centro sociale in cui si erano recati a Zagabria, si sono visti poco dopo negare il diritto all’adozione perché non sposati ma uniti appunto in una “partnership di vita”.
Dato che la legge sulle unioni civili afferma chiaramente che queste ”partnership“ sono equiparate al matrimonio in tutti gli aspetti, Šegota e Kožić hanno allora deciso di fare causa al ministero degli Affari Sociali e l’associazione ”Famiglie Arcobaleno" ha messo a loro disposizione un’avvocatessa. Il processo è stato lungo, ma il 21 aprile scorso, il tribunale ha dato loro ragione. Per Daniel Martinović, si è trattato di una buona notizia inaspettata: “Pensavamo di dover far ricorso e andare fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo”, ha dichiarato il militante LGBT. Invece, hanno vinto in primo grado.
Le reazioni
Non è la prima volta che Ivo Šegota e Mladen Kožić battono lo stato croato in tribunale. A fine 2019, avevano portato a termine un percorso simile concernente il diritto per le coppie omosessuali ad essere inserite nel registro delle famiglie di affido. Allora avevano ottenuto ragione non solo presso il tribunale amministrativo di Zagabria ma anche presso la Corte costituzionale, che a inizio 2020 ha sancito che anche le coppie unite dalle “partnership di vita” hanno diritto a proporsi come affidatari. Proprio grazie a quelle sentenze e nell’attesa che terminasse il processo sull’adozione, Šegota e Kožić hanno potuto prendere in affidamento due bimbi (ed è per proteggere quei minori che i due uomini mantengono ora un profilo mediatico più basso). I verdetti avevano suscitato parecchio scalpore.
Anche questa volta, il risultato ottenuto da Šegota e Kožić ha acceso qualche polemica in un paese tutto sommato conservatore, dove i movimenti vicini alla Chiesa cattolica sono riusciti nel 2013 a modificare la costituzione per limitare la definizione di matrimonio all’unione tra un uomo e una donna (una vittoria di Pirro dato che l’anno dopo sono arrivate le già citate “partnership di vita”…). Oltre alle sparate di rito, come quella del deputato di estrema destra Marko Milanović Litre, secondo cui sarebbe “naturale e più sano” che i bambini venissero adottati solo da coppie eterosessuali, la reazione del ministro degli Affari sociali, Josip Aladrović, è stata a dir poco ambigua: no comment sul caso, rassicurazioni sul fatto che il governo rispetterà la decisione del tribunale, per poi finire con l’annuncio di un ricorso.
La reazione più clamorosa, tuttavia, è arrivata da Fiume, dove sabato sera un paio di ultras della squadra di calcio locale hanno pubblicato un video in cui danno fuoco alla bandiera arcobaleno appesa sulla facciata del comune. Il video è apparso sul profilo Instagram “Riječani 1987” — legato in modo non ufficiale all’Armada (il gruppo ultras di Fiume) — e inquadra due o tre persone mentre accendono di notte un razzo segnaletico attaccato ad una lunga asta e danno fuoco (dopo diversi goffi tentativi) alla bandiera. Nel messaggio che accompagna il video, i tifosi hanno scritto “questa è la nostra risposta alla recente entrata in vigore della legge sull’adozione dei bambini da parte di coppie gay”, testimoniando di non aver nemmeno capito il fatto d’attualità in questione.
L’episodio omofobo – che pare risalga all’ottobre scorso, quando i dipendenti del comune hanno trovato la bandiera arcobaleno bruciata (i tifosi hanno dunque aspettato sei mesi prima di pubblicare un video d’archivio) – ha ovviamente attirato reazioni di condanna da ogni parte, a cominciare dai commenti sullo stesso profilo Instagram dei tifosi (ora chiuso). Per Daniel Martinović, tuttavia, i fatti di Fiume restano “una dimostrazione del tipo di paese in cui viviamo”. “Abbiamo già sporto denuncia e chi gestiva quell’account Instagram dovrà ora rispondere di incitazione all’odio, ma purtroppo questo non è il primo caso”, lamenta Martinović, citando fatti simili e recenti a Kaštela, Imotski e da ultimo al parco Maksimir a Zagabria.
Per quanto riguarda la scelta del ministero di fare ricorso, invece, il militante LGBT non si perde d’animo. “È una mossa pre-elettorale [in vista delle elezioni amministrative di questa domenica 16 maggio, ndr.], tant’è che non hanno nemmeno precisato in cosa la sentenza sarebbe ingiusta, ma hanno solo detto che la spiegazione del verdetto non è chiara”, analizza Daniel Martinović. Insomma, il governo Plenković si sarebbe limitato ad una mossa formale tanto per non perdere la faccia davanti al suo elettorato più conservatore. Ma dietro le quinte, Martinović assicura che “il vento sta cambiando”.
“Il ministero ci ha ricevuti due settimane fa e ha assicurato che stanno lavorando perché il sistema delle adozioni sia più rapido, accessibile e moderno. Secondo me, vogliono far vedere alla Germania che la Croazia non è la Polonia o l’Ungheria”, azzarda Martinović, che aggiunge “comunque finché non vedo una coppia dello stesso sesso adottare un bambino in Croazia, io non ci credo”.
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