L’Europa senza frontiere ha una nuova linea Maginot’
L’entrata nella Unione Europea non sarà la panacea per tutti i mali, ma potrà costituire una piattaforma su cui rilanciare la pace, la convivenza civile e lo sviluppo locale nei Balcani. I tempi sono ormai maturi per fissare date, scadenze e parametri che guidino questo percorso. E’ questo il messaggio chiaro che viene dall’incontro "Di-Segnare l’Europa. I Balcani tra integrazione e disintegrazione", promosso oggi nell’ambito del World Social Forum (Padova, 4-6 maggio) dall’ICS – il Consorzio Italiano di Solidarietà che raggruppa oltre cento associazioni e gruppi locali italiani impegnati da anni nel sostegno e nella ricostruzione dell’Europa sud orientale – e dall’Osservatorio sui Balcani.
"L’attenzione materna dell’Europa democratica è necessaria", conferma il sindaco di Sarajevo, Muhidin Hamamdzic, parlando di "supervisione opportuna e bene accetta", fino a quando le cose non cambieranno, assumendo un corso normale, logico, maturo e quotidiano. Hamamdzic spiega i conflitti e le incomprensioni con la comunità internazionale come "il risultato della nostra impazienza e del nostro desiderio di accelerare il processo che condurrà la Bosnia al luogo a cui essa da sempre appartiene: l’Europa". Ma, accusa il sindaco di Sarajevo, l’Europa per ora si rivela matrigna: "Dopo la caduta del muro di Berlino, l’Europa sta costruendo nuovi muri verso l’Est! I paesi in transizione sono letteralmente ‘tagliati fuori’ dall’Occidente. L’Europa senza frontiere ha una nuova linea Maginot, un ‘corridoio sanitario’ tra se stessa e i paesi in transizione, e, oso dire, in particolare verso la Bosnia. Il visto Schengen è un nuovo male e un nuovo Muro di Berlino. La città di Sarajevo e il mio intero paese sono immensamente riconoscenti alla Comunità Internazionale per avere fermato la guerra in Bosnia. Ma, saremmo molto più felici se poteste impedire altri potenziali conflitti. L’Europa, con il sistema di Schengen, si comporta come una brava donna di casa che cerca di nascondere le immondizie sotto il tappeto, ma senza risolvere nulla. La differenza tra poveri e ricchi è sempre più grande e sempre più profonda".
Nella parte ricca dell’Europa, confermano gli altri relatori, da Kiro Gligorov, ex-Presidente della Repubblica di Macedonia, a Gabriele Martignago (Patto di Stabilità per il sud est Europa) a Jovan Teokarevic (Istituto per gli Studi Europei, Belgrado) e Diana Çuli (Forum delle donne albanesi, Tirana), si continua a non riflettere sulle dinamiche retrostanti alle tragedie degli anni ’90 e si pensa ancora ai paesi balcanici solo come ad un terreno di incursione, rischiando di perseverare nella mera ricerca di proprie aree di influenza nazionale senza sviluppare un approccio d’area complessivo."Le transizioni post-coloniali – osserva Rada Ivekovic (Università di Parigi-8) – assomigliano alle transizioni post-comuniste, o comunque che le difficoltà di sviluppo del Terzo Mondo assomigliano sempre di più a ciò che noi vediamo in alcuni paesi dei Balcani e dell’Europa dell’Est, se non in tutti i paesi dell’Europa centro-orientale. Possiamo allora imparare qualcosa da quell’esperienza".
Il futuro economico del sud est Europa, avvertono con accenti diversi i relatori dal palco del World Social Forum, non può essere garantito né dalle chimere degli investimenti occidentali di rapina, né tantomeno dal perdurare dell’assistenzialismo umanitario. Occorre immaginare invece un percorso economico inedito, conclude Giulio Marcon (Ics) tirando le fila del convegno, bisogna costruire un disegno di sviluppo integrato del territorio, sul quale far convergere le risorse locali e gli aiuti internazionali, puntare sull’autogoverno delle comunità, costruire società civile.
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