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L’Europa arroccata

Ora è sempre più chiaro. Si contrappongono tra i 25 membri dell’Unione due idee opposte d’Europa. Da una parte un vecchio continente che sia presidio di civiltà sociale e giuridica di fronte ai nuovi fondamentalismi, dall’altra area di libero scambio nel quadro di un occidente segnato dall’egemonia nordamericana. Un nostro editoriale

24/06/2005, Michele Nardelli -

L-Europa-arroccata1

La torre di Babele, Peter Bruegel

Da tempo andiamo dicendo che la questione "Europa" si va delineando con sempre maggior nitidezza come nodo centrale dello scenario internazionale. Un passaggio cruciale che investe il presente ed il futuro del vecchio continente, della regione balcanica come dell’insieme delle relazioni globali, tanto da farne – come Osservatorio sui Balcani – uno dei temi chiave della nostra riflessione ed iniziativa. Infatti, nel quadro seguito al crollo dei vecchi regimi comunisti, fra molte illusioni e altrettanti disincanti, la questione europea rappresenta forse l’unica vera prospettiva politica della regione balcanica, capace di distanziarsi da quel mix fra neoliberismo e nazionalismo che assume in questi paesi le forme più acute della deregolazione estrema e del controllo paternalistico e mafioso del territorio.

Lo scontro che si svolge attorno all’Europa ora è forse più chiaro di qualche mese fa. Si ammette apertamente anche all’interno dei "25" che si confrontano due idee opposte di Europa, quella che vede il vecchio continente come presidio di civiltà sociale e giuridica di fronte ai nuovi fondamentalismi, e l’Europa come area di libero scambio nel quadro di un occidente segnato dall’egemonia nordamericana.

Un’Europa politica che intende caratterizzarsi come altra polarità nel quadro internazionale, che si relaziona con gli altri continenti sulla base della forza del diritto e del considerarsi parte di una comunità di destino terrestre, contrapposta all’idea di una confederazione di stati chiusi nelle loro fortezze ed aggressivi nelle loro incursioni economico-finanziarie verso l’esterno, fautori di quel "diritto della forza" che abbiamo visto esplicitarsi nella logica dell’esclusione e della guerra preventiva.

Due sono i passaggi cruciali di questo scontro: l’allargamento dell’Unione e la guerra alla moneta europea.

L’ingresso di dieci nuovi paesi nell’Unione Europea, salutato lo scorso anno con tiepido entusiasmo, ha avuto l’effetto di una sorta di bomba ad orologeria. C’è voluta la questione dell’avvio delle procedure per l’associazione della Turchia all’Unione Europea per dare fiato ai sentimenti più antieuropeisti, evocando gli umori più ancestrali, i rumori di fondo, le paure. Quel che fermenta nella "locanda balcanica", i luoghi sotto casa della moderna barbarie.
L’antipolitica sa bene interpretarne la visceralità e l’allargamento dell’Unione alla Turchia, in pochi mesi è diventato il simbolo della battaglia contro l’Europa multiculturale e le sue regole, simboleggiate sia pur contraddittoriamente dalla moneta unica.

Manifesti, raduni, ordini del giorno nei Consigli regionali… il richiamo alla battaglia di Lepanto. Quando nel 1571 la Santa alleanza costituita dalle Repubbliche marinare con il sostegno dei regnanti cattolici del tempo misero fine al disegno egemonico dell’impero ottomano nel Mediterraneo. Un richiamo inquietante, che ha fatto riecheggiare quello di Milosevic verso un’altra battaglia, quella di Kossovo Polje, il campo dei merli dove nel 1389 i serbi cercarono, invano, di fermare i turchi che avrebbero esercitato la propria influenza sulla penisola balcanica per i successivi quattro secoli. Quel richiamo (il 28 giugno 1989, nel seicentesimo anniversario) rappresentò l’inizio della guerra che per i dieci anni successivi ha insanguinato il cuore dell’Europa. Lepanto, sinonimo di integralismo religioso, di crociate, di Europa come fortezza a difesa delle proprie radici cristiane. L’opposto dell’idea di un’Europa come insieme di minoranze proposta da Romano Prodi.

L’altro aspetto è l’insicurezza sociale. Di fronte ad un’economia globale che cambia radicalmente gli scenari, che precarizza l’occupazione, il vecchio stato sociale, la disponibilità dei beni collettivi, l’idea di chiudersi nella difesa dei livelli di compromesso sociale raggiunti nel proprio paese è molto forte. L’ingresso nell’Unione Europea dei paesi dell’Est è invece considerato sinonimo di manodopera a basso costo, di precarietà, di delocalizzazione delle imprese, di invasione di prodotti agricoli, nonché la fine dei vecchi protezionismi. L’introduzione poi della moneta unica – avvenuto contestualmente a questo passaggio – ha assimilato l’Euro (sottoposto nel passaggio dalla vecchia lira a forti speculazioni in assenza di forme pubbliche di controllo dei prezzi) alla diminuzione del potere d’acquisto da parte dei soggetti sociali più deboli e più esposti agli effetti dell’economia globale. A questo aggiungiamo anche le incertezze e la subalternità culturale con la quale nei paesi europei si è guardato all’Europa politica, nell’accettare i tratti del pensiero unico anziché disegnare nuove relazioni internazionali e nuova declinazione dei diritti, facendo assumere all’Unione i tratti tecnocratici di una burocrazia distante dai problemi dei suoi cittadini.

In questo quadro, il voto di Francia e Olanda che ha bocciato la nuova Costituzione rappresenta una battuta d’arresto che può avere un effetto devastante. Non che la carta europea fosse priva di difetti, esprimendo in questo tutta la contraddittorietà delle politiche nazionali dei suoi promotori. Ma non credo siano i contenuti di merito della Carta ad aver orientato il No alla Costituzione Europea. Altra è la partita ed investe essenzialmente lo scontro in atto e la diffusa preoccupazione sociale per il proprio futuro, le paure, gli egoismi corporativi. Insieme questioni di ordine economico, sociale e culturale. Saldando non a caso orientamenti di diversa natura politica, spesso opposti.
L’effetto immediato è stato quello di mettere in discussione non solo il completamento del processo di integrazione ma di scuotere le fondamenta stesse del progetto europeo. Tanto che ora non solo di sono congelati nuovi allargamenti, ma se ne mette in discussione la sua tenuta, chiedendo finanche il ritorno alle vecchie monete nazionali.

Ciò che sembrava irreversibile è invece andato infrangendosi, e non sarà facile ricostruire una prospettiva europea in un clima tanto deteriorato. Al di là delle dichiarazioni di facciata, sono in molti in Europa e nell’oltreoceano a sorridere. L’Europa appare più divisa che mai e i Balcani tornano ad essere un buco nero nel cuore del vecchio continente. Non l’"Europa di mezzo" di cui andiamo parlando: per il momento i Balcani sono destinati a rimanere la regione deregolata ai margini di un’Europa arroccata nelle proprie sicurezze (e nella propria subalternità atlantica).

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