Letteratura albanese, tra passato e presente
Una letteratura che sa descrivere tanto la tetraggine del passato regime, quanto lo sradicamento e le speranze deluse dell’attualità. Storie di vita sofferta e di chi in albanese non sa più scrivere. Breve rassegna sugli scrittori albanesi contemporanei
Di Marjola Rukaj*
Negli anni ’90 la letteratura albanese ebbe il suo grande risveglio. All’estero fu considerata uno strumento valido per scoprire una parte così sconosciuta d’Europa. Sembrava, infatti, uno scrivere per parlare di sé rivolto a coloro che non avevano subito la stessa sorte di uniformazione e tetraggine totalitarista. Negli ultimi anni però, qualche traduttore si era lamentato della ritrovata uniformazione degli scrittori albanesi che si erano per lo più concentrati sulla dittatura tirandone fuori il grottesco, fermandosi sul passato come se la vita non fosse più percepibile dall’89 in poi. Ora gli albanesi si ripresentano, ma sono diversi. Si scrive ancora di dittatura cupa, ma si scrive anche di speranze deluse del post comunismo, di vita sofferta, di chi rimpiange il passato e di sradicamento, di chi in albanese non riesce più a scrivere.
Di recente nell’area di lingua tedesca si è inserito con i suoi ultimi romanzi Fatos Kongoli. E’ uno scrittore dallo sguardo malinconico che appartatosi dalla vita pubblica come pochi altri, descrive la vita della gente comune. La sua opera è la storia della sua generazione che nacque sotto il regime di Hoxha, ne vide la morte, e adesso non più giovane vive il postcomunismo. Nel suo "I humburi" (Lo smarrito) denuncia la perdita dell’identità con una vena d’esistenzialismo tardivo, prodotto dalla rassegnazione passiva ai dettami della società. Descrive un mondo dove non si poteva neanche amare se non si aveva una biografia famigliare immacolata dai peccati politici, e non si poteva accedere a studi non congruenti alle esigenze del partito.
Riprende nel suo "Pelle di cane" la stessa gente che nel ’91 vive un attimo d’ottimismo irrazionale di massa, mentre si vede l’isolamento ermetico sgretolarsi all’improvviso senza grandi sforzi. Ormai non più giovane, la sua generazione rimane vittima della reale incertezza della transizione infinita in cui è sprofondato il paese. Parla della solitudine tra gli albanesi impegnati nella distruzione del passato e di tutto ciò che ne fu il prodotto, tanto da raggiungere un inconsolabile pessimismo sul futuro del proprio incorreggibile paese ed a subire l’irresistibile attrazione dell’emigrazione di massa. I suoi personaggi recenti vivono infatti la desolazione di chi non fugge, ma che si trova a rifugiarsi nella timida psicosi del "si stava meglio prima", mentre si assiste impotenti all’avanzare del capitalismo selvaggio.
Cosi si è scoperto finalmente il presente albanese, che è altrettanto complesso e ricco di spunti letterari quanto l’oscuro passato. Kongoli non ha esitato a raccogliere nel caos contemporaneo il folle ’97 quando la "Svizzera dei Balcani" si rivelò di carta facilmente infiammabile e gli albanesi recuperarono gli istinti tribali e la giustizia "fai da te", cadendo per mesi nell’assurdo più incomprensibile. Accolto con notevole curiosità dai lettori interessati agli sviluppi più recenti in Albania.
Mentre in Italia quest’anno è stata premiata al "Grinzane Cavour" Ornela Vorpsi una scrittrice albanese che però ha scritto in italiano "Il paese dove non si muore mai". Figlia di dissidenti, con una vita divisa tra Tirana, Milano e da qualche anno Parigi, dell’Albania conserva il ricordo dell’incubo, ma anche dell’epico istinto di sopravvivenza di un popolo orgoglioso agli occhi di una bambina che osserva e subisce ciò che le accade attorno. La sua, la definisce un’opera autobiografica che però riguarda molti albanesi. Scrive in un italiano asciutto che sembra la traduzione immediata dell’albanese parlato. Racconta l’Albania vissuta tutti i giorni, nella sua cruda realtà, con qualche lieve sfumatura di autoironia balcanica. Tuttavia non ha mai voluto che "Il paese dove non si muore mai" venisse tradotto in albanese, perché si tratta sempre di un popolo molto orgoglioso che potrebbe vedersi ferito nella propria sensibilità. Alcuni le hanno segnalato di non condividere la sua visione unilaterale della realtà albanese. Ma Ornela Vorpsi fa parte della generazione di giovani albanesi tendenzialmente sradicati, che lasciano il proprio paese per darsi allo status dello straniero, tra interiorizzazione e conflittualità. Con la stessa scrittura scorrevole e diretta descrive l’approccio con il nuovo mondo, l’estero idealizzato, che disillude con gli stereotipi di cui ci si vede vittime, e allo stesso tempo affascina con il mondo multicolore dei prodotti che non c’erano in patria. Di prossima pubblicazione in Italia sarà il suo secondo romanzo che spazia tra Albania, Italia e Francia, in esperienze di albanesi migranti.
La novità degli ultimi anni è la creazione di una letteratura d’emigrazione, di albanesi che raccontano l’estero nel quale vivono, Elvira Dones, Gezim Hajdari, Ron Kubati. Quest’ultimo è un tipico albanese della generazione che cerca "l’altrimenti nell’altrove", secondo una definizione da lui stesso coniata. Dopo aver partecipato, nel ’91, al movimento studentesco che mirava a smantellare il regime, si trovò su una delle navi in disuso dei porti albanesi in rotta verso le coste italiane. Vide in prima persona il fenomeno "Mare" che unisce e divide, rende tangibile ciò che prima non lo era e al contempo lo avvolge nella sua misteriosa immensità, lasciandogli le emozioni indescrivibili che include nel suo "Va e non torna". Il raffronto tra passato abbandonato e presente estraneo segna la vita dei protagonisti che assomigliano a Ron Kubati, e ai numerosi albanesi che hanno scelto l’Italia per la propria formazione professionale e intellettuale. L’albanese di Kubati cerca di costruirsi una nuova vita nel paese d’accoglienza, affermandosi nella sua singolarità, uscendo dagli schemi che lo rinchiudono nella figura dell’immigrato. Sembra che ad alimentare la scrittura sia proprio il riscatto della propria singolarità, nella sfera culturale, economica e sociale, che Kubati stesso considera ormai una parola d’ordine.
Che si parli del passato o del presente, vi è una senso di stupore che accomuna tutti e che pare sia la vera scaturigine della scrittura. Si ha in qualche modo l’impressione che gli albanesi non si riconoscano nel proprio passato trovandolo assurdo, e al contempo non si siano ancora abituati al proprio presente trovandolo estraneo.
* Marjola Rukaj, traduttrice e interprete, studentessa di Scienze Politiche
presso l’Università La Sapienza di Roma, collabora come traduttrice dall’albanese con l’Osservatorio sui Balcani
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