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L’esercito sloveno: dopo quindici anni nella Nato, un’obsolescenza programmata?

Dall’estero e in patria, sono molti a sottolineare le criticità all’interno dell’esercito sloveno. Un’analisi

09/04/2019, Charles Nonne -

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L’avvenimento ha fatto scalpore tanto a livello interno quanto internazionale: nel febbraio del 2018, un gruppo tattico di 800 soldati appartenenti alla 72esima brigata dell’esercito sloveno è stato sottoposto ad una valutazione esterna secondo il programma “Creval” della Nato. Dopo diciotto mesi di preparazione – sia in Slovenia sia all’estero – il risultato dell’indagine aveva il sapore di un’umiliazione: sui cinque criteri presi in considerazione, quattro avevano ottenuto 2 punti su 5, equivalenti a “non pronti al combattimento”. Secondo quanto emerso i soldati della brigata non sarebbero stati in grado neppure di disporsi sul campo di battaglia.

Questo fatto, che ha avuto una grande risonanza, non era nient’altro che la dimostrazione delle disfunzioni dell’esercito, ripetitive ed aneddotiche, riportate dai media: furto di munizioni slovene in partenza per il Mali sulla pista di un aeroporto tedesco, risse occasionali tra soldati, stivali bucati dopo solo una settimana di utilizzo da parte dei soldati sloveni in un’esercitazione in Norvegia.

Le tre brigate e le unità specializzate dell’esercito sloveno arrivano a stento a 6.600 effettivi, di cui 350 sono militari coinvolti in operazioni all’estero. Inoltre la promessa fatta alla Nato di costituire due gruppi tattici operativi ed equipaggiati da qui al 2025 si allontana di giorno in giorno. Per l’esercito sloveno il morale è basso e le prospettive non floride, ma le cause di questa situazione non sono esclusivamente legate alla Slovenia.

Le tre problematiche dell’esercito sloveno

Il primo problema dell’esercito sloveno è la diminuzione inesorabile degli effettivi: nel 2017, solo 137 persone hanno deciso di arruolarsi, mentre il doppio ha lasciato l’esercito. Tra le ragioni di questa diminuzione: la congiuntura demografica, prospettive di carriera incerte, ma anche retribuzioni troppo poco competitive: dai 727 ai 754 euro netti all’inizio della carriera, quando lo stipendio medio sloveno è di 1.116 euro netti.

“Per il momento non si intravvede alcuna possibilità di innalzare il livello delle retribuzioni in modo significativo, nonostante la possibilità di qualche bonus o stimolo puntuale”, afferma Maja Garb, professoressa presso la facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Lubiana ed esperta in questioni legate alla difesa. “Uno sconvolgimento delle retribuzioni implicherebbe rivoluzionare l’intero sistema salariale del settore pubblico, il che è al momento impossibile”. Inoltre, l’esercito è a suo avviso di fronte a un problema di vocazione: “A volte i soldati si sentono membri prima della loro unità che dell’esercito nel suo complesso. La coesione non prende piede, sebbene si cerchi di costruirla da parecchi anni”.

Il secondo problema è la grave mancanza di equipaggiamenti. L’argomento resta sensibile dopo il caso Patria del 2008, quando le procure slovene ed austriache accusarono funzionari sloveni di essersi fatti versare delle tangenti dall’impresa finlandese Patria per concludere l’acquisto di 135 veicoli da fanteria per una cifra totale di 278 milioni di euro.

Gran parte delle dotazioni sono ancora un’eredità del periodo jugoslavo. Del resto ad oggi l’esercito non dispone di una strategia militare aggiornata che definisca i propri bisogni effettivi. Nel febbraio scorso il ministro della Difesa ha deciso di abbandonare il progetto di acquisto di 56 veicoli blindati Boxer, sostenendo che fosse necessario attendere la definizione di una nuova linea strategica prima di procedere. La legislazione attuale inoltre non permette di fare investimenti sistematici a lungo termine.

Il problema principale resta comunque la scarsa dotazione finanziaria, caratteristica della schiacciante maggioranza dei paesi europei, quando la NATO, invece, raccomanda ai suoi stati membri di destinare il 2% del loro Pil alla spesa per la difesa. La Slovenia è nell’Ue il fanalino di coda, con un budget corrispondente solo al 1,05% del Pil. Se l’obiettivo del paese è di raggiungere l’1,5% nel 2024, la strada da percorrere è molto ambiziosa.

A tutto questo si aggiunge la classica contraddizione tra la pianificazione a lungo termine e la realtà di bilancio. “A volte, si possono osservare delle differenze sensibili tra i documenti programmatici sul lungo periodo ed i documenti di bilancio”, sottolinea Uroš Krek, consigliere del presidente della Repubblica per la Sicurezza nazionale da più di sette anni. “Mentre il governo adotta un programma quinquennale per la difesa pensato, quindi, per il medio termine, il parlamento vota un budget annuale: il secondo non sempre riflette il primo. Da un lato, i documenti strategici potrebbero essere troppo ambiziosi. Dall’altro, la realtà demografica e finanziaria ci viene ricordata ogni anno”.

I germi della negligenza

Dunque, il problema si limiterebbe alla mancanza di mezzi e di effettivi? Per Maja Garb, si può osservare anche una certa passività: “La politica slovena non concepisce la difesa come una politica nazionale: prevale ancora l’idea che rientri nelle ambito del ministero della Difesa. Al contrario, meriterebbe un sostegno maggiore, un finanziamento adeguato, ma anche una cultura politica specifica”.

Allo stesso modo, anche i cittadini sarebbero poco sensibili alla questione. “Ci sono molte persone che credono che non ci sia bisogno di difendersi dai nostri vicini e che la Nato da sola è sufficiente a proteggerci”, afferma Maja Garb. "Ho molto paura dell’affermazione che non saremmo minacciati", aggiunge.

I motivi dietro l’indifferenza sono numerosi. Fatta eccezione per un suicidio in Kosovo nel 2009, in venti anni, durante le missioni internazionali, non è morto nessun soldato sloveno. Rispetto ad altri stati europei gli sloveni hanno scarsa fiducia nelle proprie istituzioni, anche se l’esercito in questo è più ben visto di altri organismi statali. A livello politico le tensioni sono aumentate con l’ascesa del partito Levica (La Sinistra), una formazione contraria all’incremento della spesa militare e contraria alla Nato. “La Slovenia non è minacciata sul piano militare: è circondata solo da paesi partner, membri dell’Ue”, scriveva su una petizione che chiede di destinare 1,2 miliardi di euro allo sviluppo piuttosto che all’equipaggiamento di due gruppi tattici. Nel novembre del 2018, il coordinatore dell’iniziativa, il deputato Luka Mesec, aveva accusato il primo ministro Marjan Šarec di esitare “tra burro ed armi”.

Una presa di coscienza necessaria

Uroš Krek rimane ottimista in quanto alla presa di coscienza sull’importanza delle questioni legate alla difesa. “La cooperazione ad alto livello nell’ambito della sicurezza nazionale, in genere, non pone alcuna difficoltà, al contrario, forse, di altre politiche”, nota menzionando gli incontri regolari tra il primo ministro, i presidenti delle due Camere del parlamento e il presidente della Repubblica, ovvero il comandante supremo dell’esercito.

Tutti gli anni, quest’ultimo rilascia un’opinione sul livello di preparazione delle forze armate: un obbligo legale, che il suo gabinetto ha voluto pubblicizzare ulteriormente con una pubblicazione ed una conferenza stampa. “Nel 2013, abbiamo deciso che è importante che i cittadini siano sensibilizzati sulla situazione” afferma Uroš Krek. “Gli eserciti tedesco, svedese e norvegese hanno fatto una scelta simile a favore della trasparenza".

La Slovenia non è del resto senza assi nella manica: l’esercito sloveno è uno dei più aperti alle donne e un’ufficiale slovena, Alenka Ermenc, è stata nominata capo di Stato maggiore alla fine del 2018, la prima al mondo. Allo stesso modo, la Slovenia si fa notare in materia di cooperazione in seno alle missioni internazionali: “L’investimento della Slovenia nelle operazioni all’estero è tra i più importanti dell’Alleanza, con più del 5% delle nostre forze nelle missioni internazionali [5,28% nel febbraio del 2019, N.d.R]”. Ed il budget della difesa aumenta ormai ogni anno.

Tutto questo sarà sufficiente per il momento? “Nel contesto della sicurezza nazionale”, indica Uroš Krek, “tutti gli sconvolgimenti passati sono stati una sorpresa, a volte addirittura una sorpresa strategica. L’unica questione è quale sarà la prossima.” E se la Slovenia saprà farvi fronte.

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