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L’economia della Bosnia di Dayton

Tra i vari temi della Conferenza internazionale di Ginevra sulla Bosnia a dieci anni da Dayton, si è avuto modo di affrontare quello del sistema economico della Bosnia Erzegovina. Un resoconto di Simonetta Donsante, ADL Zavidovici

02/11/2005, Redazione -

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Da Ginevra, Simonetta Donsante, delegata ADL Zavidovici

La (in)Sostenibilità economica di Dayton

Durante la conferenza internazionale di Ginevra sulla Bosnia Erzegovina a dieci anni da Dayton sono stati organizzati 12 workshop su diverse tematiche ritenute centrali per analizzare gli esiti di Dayton e le sfide che il paese deve affrontare per uscire dall’era degli accordi. Tra le varie sfide figura a pieno titolo il sistema economico della Bosnia Erzegovina.

Apre il workshop sull’economia Rajko Tomas, Professore di Economia all’Università di Banja Luka, sostenendo il fallimento di Dayton nel fornire risultati in termini di sostenibilità economica. Posizione che sarà il leit motiv del workshop e anche di altre parti della conferenza. I relatori sembrano concordi – seppure con cautela – nell’individuare alcune positività degli accordi di pace del 1995 in settori quali: la sicurezza militare, la ricostruzione materiale, il ritorno di rifugiati e sfollati interni, la realizzazione di alcune riforme che hanno devoluto a livello statale i poteri di difesa, intelligence, politica fiscale e ora anche di polizia.

Tuttavia, "la costituzione di Dayton non risulta funzionale in campo economico", sostiene Vladimir Gligorov, economista presso l’Istituto di Studi Economici Internazionali di Vienna, poiché esiste un gap tra lo spirito degli accordi dal punto di vista economico, basato sulla transizione verso un’economia di libero mercato, e il reale assetto costituzionale non sufficientemente ed efficacemente organizzato in tal senso. Secondo Gligorov la discrepanza è dovuta al fatto che le organizzazioni internazionali nel 1995 guardavano alla sfera politica e alla sfera economica con un approccio "dicotomico", quasi fossero due ambiti separati. Dunque la ricostruzione, ma anche una certa stabilità macro-economica dovuta alla stabilità della valuta bosniaca (il marco convertibile a cambio fisso) e un certo consolidamento fiscale, unitamente al processo di privatizzazione avviato, non hanno condotto ad una ripresa economica del paese.

Il settore finanziario

Una nota positiva nell’analisi del trend economico dell’era Dayton, viene da Fikret Causevic – Direttore dell’Istituto di Economia di Sarajevo e deputato per le riforme del settore fiscale e finanziario. Per quanto riguarda il settore finanziario il 90% degli investimenti in Bosnia Erzegovina provengono dall’estero e ciò rappresenta un ottimo indicatore. Il settore bancario secondo Causevic costitutisce un ottimo segnale in direzione della ripresa economica e la ragione risiede nel fatto che questo mercato è stato completamente liberalizzato. Il Direttore dell’Istituto di Economia di Sarajevo sostiene inoltre che nei prossimi 3 o 4 anni si estenderà maggiormente anche il settore assicurativo.

Analogamente è in forte espansione il settore della microfinanza, ritenuto estremamente importante in particolare per le aree rurali, poiché la disponibilità di micro-crediti per l’avvio di piccole attività produttive o piccoli business commerciali contribuisce a creare condizioni adeguate a favorire rientri sostenibili ed efficaci.

Ma nonostante il successo del settore finanziario non mancano le critiche: le privatizzazioni "daytoniane" sono basate su regioni (leggi "mercati") etniche e le due agenzie bancarie (una per entità) dovrebbero essere unificate in un’unica banca centrale piu’ estesa.

Il settore fiscale

Preoccupante invece la valutazione e le conseguenti indicazioni date a proposito del settore fiscale, ove per "settore fiscale" si intendono soprattutto i fondi per la protezione sociale. Attualmente le tasse pensionistiche si aggirano attorno al 25% dei salari. Secondo Causevic è necessario ridurre questa percentuale (ossia "ridurre il costo del lavoro") e promuovere lo sviluppo delle assicurazioni/pensioni private.

Parallelamente è necessario ridurre i livelli di potere, per risparmiare sulla spesa per la Pubblica Amministrazione, sebbene ciò non comporterebbe comunque una riduzione così enorme delle spese che – secondo Causevic – si aggirano attorno all’11% del PIL, in netto contrasto con i dati forniti dall’Alto rappresentante per la BiH, Paddy Ashdown, che parlano del 60%.

Corruzione e ingerenza della politica

Boris Divjak, direttore della Trasparency International di Bosnia Erzegovina (Banja Luka), ha aggiunto ai problemi dell’economia bosniaca il fenomeno della corruzione e dell’ingerenza politica nel settore privato e nella distribuzione delle posizioni manageriali che rallenta e degenera il processo di privatizzazione.

Anche Anto Domazet, professore di economia internazionale all’Università di Sarajevo, concorda sul fatto che il processo di privatizzazione sia distorto da fenomeni di corruzione e ostacolato dalla presenza delle entità etniche. Questi fenomeni creano un clima poco favorevole per lo sviluppo imprenditoriale e soprattutto poco attraente per gli investimenti. Secondo Domazet non è sufficiente cambiare l’ambiente macro-economico, ma è necessario puntare sulla diversificazione dei settori di mercato e cambiare il "business environment" sfruttando quelle opportunità e quei punti di forza che caratterizzano il Paese: ossia il processo di integrazione europea e la vicinanza al mercato europeo.

L’approccio macro-economico

Vjekoslav Domljan – Direttore del Centro per la Ricerca Economica (Sarajevo), ha un approccio abbastanza "keynesiano" sostenendo, contrariamente ad altri relatori, la necessità di implementare politiche macro-economiche che vadano innanzitutto a risanare la bilancia commerciale in clamoroso deficit, a colmare il deficit della Pubblica Amministrazione (e ciò è possibile solo diminuendone i livelli), a combattere il fenomeno della disoccupazione che si aggira ormai ufficialmente attorno al 44% e si caratterizza come di massa, strutturale e in continua crescita. "Il pieno impiego dovrebbe essere il fattore chiave della politica macro-economica in Bosnia Erzegovina". Sarebbe inoltre opportuno creare piccole e medie imprese di carattere transnazionale e aumentare il livello dei risparmi. Domljan conclude il suo intervento lasciando alla platea questa dichiarazione: "durante la guerra abbiamo avuto eroi di guerra. In tempo di pace dovremmo avere altri tipi di eroi".

La parola ai lavoratori

Infine interviene Damir Miljevic, Presidente della Confederazione dei Lavoratori della Republika Srpska (Banja Luka), il quale attacca il modo occidentale di pensare, secondo cui in Bosnia Erzegovina era necessario "ricostruire e aiutare i bosniaci a prendersi cura di se stessi" e prosegue "ma abbiamo dimenticato che prima era il governo a prendersi cura dei bosniaci". In tal modo non è stato speso abbastanza denaro internazionale per lo sviluppo economico locale.

Secondo Miljevic vale la "dottrina": "Stato e governo forte produrrà un’economia forte ed efficiente". "L’economia deve essere la prima priorità nell’agenda politica". "Ma quale economia?" – si chiede il relatore. "Dalla privatizzazione ci aspettiamo maggiore disoccupazione e le piccole e medie imprese non riescono ad assorbire tutta la disoccupazione". Secondo Miljevic una soluzione potrebbe risiedere nell’avvio di imprese e auto-impiego. Sebbene poi non approfondisca.

È compito dello Stato creare un ambiente favorevole per l’imprenditoria, ma non esistono istituzioni economiche – ad esempio Agenzie di Sviluppo – a livello statale o federale che forniscano adeguata assistenza finanziaria all’avvio di imprese. E del resto, conclude, "chi dovrebbe prendersi questi rischi?". "Lo Stato e i privati perché loro sono i maggiori beneficiari" e "nessuno dice che per essere imprenditore in Bosnia Erzegovina bisogna essere legati ai politici".

Come essere competitivi

In apertura della conferenza Bozidar Matic, Presidente dell’Accademia delle Scienze e delle Arti della Bosnia Erzegovina, ex Primo Ministro della Bosnia Erzegovina, ha sottolineato che la Bosnia Erzegovina soffre di una mancanza di prodotti da esportare, che siano sufficientemente competitivi per stare nel mercato. La carenza di produzione e di output crea una dipendenza dalle esportazioni – per questo la bilancia commerciale è in forte deficit. Ma come si può essere competitivi? È necessario investire sul sapere e parallelamente sfruttare le competenze del capitale umano esistente perché, nonostante le difficoltà del sistema universitario, in Bosnia Erzegovina esiste forza-lavoro qualificata che tuttavia non si riesce a trattenere e che è costretta ad emigrare. Parimenti la stessa forza-lavoro specializzata è presente anche tra la diaspora spesso impossibilitata a tornare, perché non ci sono condizioni favorevoli per valorizzare le proprie competenze nel paese d’origine. Allora è necessario investire in infrastrutture, tecnologia e capitale umano, ossia in tutto ciò che possa dare un valore aggiunto ai prodotti e li possa rendere esportabili. Si ricorda inoltre che il costo del lavoro in Bosnia Erzegovina non è basso se paragonato a quello di altri paesi in transizione, e dunque la Bosnia non costituisce nemmeno un paese appetibile quanto Romania o Bulgaria ad esempio.

Quale futuro per la Bosnia Erzegovina?

Le indicazioni degli economisti vanno nella direzione di rivedere innanzitutto l’assetto istituzionale, dunque la Costituzione di Dayton al fine di creare uno stato più funzionale ed efficace e meno dispendioso. Ma la nuova Costituzione deve poggiare su un consenso politico e fiscale. Parallelamente sono necessarie nuove istituzioni economiche in grado di creare un ambiente favorevole all’imprenditorialità, tali da creare un unico spazio economico che attragga gli investimenti. Quali investimenti? Quegli investimenti orientati allo sviluppo – come ad esempio infrastrutture (comunicazione) e capitale umano. Inoltre è fondamentale sviluppare le relazioni commerciali tra Bosnia Erzegovina e resto del mondo a partire dagli stati vicini, Croazia, Serbia e Montenegro.

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