Tipologia: Notizia

Tag:

Categoria:

Leasson learned: Movimondo a Tetovo

.

01/01/2003, Redazione -

Leasson-learned-Movimondo-a-Tetovo

Quadro storico e situazione al momento dell’intervento.

La Macedonia si dichiara indipendente nel 1991 e nel 1995 entra a far parte delle Nazioni Unite sotto il nome provvisorio di Former Yugoslav Republic of Macedonia. Per dieci anni ha vissuto in una situazione di potenziale crisi, attraversando momenti di forte tensione. Le fonti di potenziale conflitto sono principalmente di tipo interno legate da un lato, alle tensioni tra la popolazione macedone e quella di etnia albanese da sempre soggetta a discriminazione; dall’altro, alla difficile situazione economica aggravata dalle conseguenze delle guerre di secessione da Belgrado prima, e dal conflitto in Kossovo poi.
Gli scontri tra guerriglieri albanesi dell’Esercito di liberazione nazionale (Uck) e forze armate macedoni sono iniziati a metà febbraio 2001 lungo il confine con la Serbia, quindi nel villaggio di Tanusevci, per diffondersi anche a Kumanovo, Tetovo e nelle montagne limitrofe. La crisi si protrae fino a luglio dello stesso anno quando sotto la spinta della comunità internazionale iniziano i colloqui di Ohrid firmati poi ad agosto, a cui partecipano i rappresentanti dei partiti locali e occidentali. L’accordo di pace prevede la cessazione delle ostilità e il completo disarmo dei guerriglieri. Riconosce l’esistenza di una discriminazione nei confronti della comunità albanese e per porvi rimedio invoca l’adozione di misure finalizzate a riequilibrare la presenza di rappresentanti albanesi in tutte le amministrazioni pubbliche, nelle scuole e nelle università, e la loro partecipazione a tutti i livelli della società.

Obiettivo del progetto
Il presente progetto si inserisce in un programma di riparazione e ricostruzione di abitazioni nelle regioni coinvolte dal conflitto in Macedonia, all’interno del meccanismo di reazione rapida, avviato dalla Commissione Europea nel maggio del 2001 con l’intento di consentire alle persone fuggite dal conflitto, di rientrare ai propri villaggi e alle proprie case.
L’obiettivo era di rendere abitabili il maggior numero di case possibile prima dell’inverno; incoraggiando e facilitando il rientro delle persone e contribuendo in questo modo a ridurre la tensione. Nella prima fase il numero delle case individuate e segnalate dagli esperti dell’Agenzia Europea raggiungeva le 190 unità. In seguito, la ripresa degli scontri ha costretto da un lato ad interrompere, per ragioni di sicurezza, le attività avviate; dall’altro, a riformulare in parte il progetto (il budget a disposizione è rimasto invariato), aumentando il numero delle case da inserire nella lista (250), e assegnando direttamente a Movimondo il compito di selezionare i nuovi beneficiari, avvalendosi della collaborazione della comunità locale.

Luogo dell’intervento: municipalità di Tearce nella regione di Tetovo; 85% della popolazione è di etnia albanese; 15% di etnia macedone slava.
Durata dell’intervento: dieci mesi, da giugno 2001 ad aprile 2002.
Prima fase: costruzione contatti e relazioni, collocazione sul terreno

Incontri con la municipalità locale, sindaci e capi villaggio di entrambe le etnie, per spiegare le ragioni e gli scopi dell’intervento. Ricerca personale locale e imprese di costruzione.

Problemi riscontrati.

1. Scarsa conoscenza della realtà locale dovuta al fatto che il personale di Movimondo non aveva mai lavorato in questi territori.
2. Iniziale diffidenza da parte degli slavi macedoni verso il personale di Movimondo; dovuta all’errata percezione che la comunità internazionale non fosse imparziale ma avesse un occhio di riguardo per la comunità albanese e quindi i fondi fossero a lei destinati.
3. Difficoltà a costruire uno staff misto, dovuta alla mancanza di personale qualificato, in particolare albanese. Questo non per motivi legati al conflitto ma al basso livello di scolarizzazione della comunità albanese.
Soluzioni adottate.
1. Incontri settimanali organizzati da organizzazioni internazionali, es. UNHCR, nell’intento di mantenere un coordinamento più ampio tra le varie realtà operanti nel terreno; e incontri organizzati dallo stesso donor con tutte le Ong inserite a vario livello (circa una cinquantina) nel programma. Sono stati un’occasione per condividere esperienze, problematiche comuni e acquisire informazioni utili.
2. Si sono date spiegazioni chiare sugli intenti del progetto e su come sarebbero stati spesi i soldi; in particolare su come sarebbero stati "distribuiti", e sul perché di tali scelte. Sulla necessità della loro collaborazione per individuare i beneficiari e per coinvolgere la popolazione stessa a contribuire alla ricostruzione. (self/help)

3. Non è stato possibile avere uno staff equilibrato tra le componenti etniche; il personale era per la maggior parte di etnia macedone.
Seconda fase: implementazione del progetto
Selezione beneficiari e avvio delle attività.

Problemi riscontrati
1. Le imprese selezionate, nel proprio organico, presentavano operai di entrambe le etnie e questo ha creato problemi al momento dell’avvio delle attività. Gli operai albanesi non erano accettati dagli slavi e si rifiutavano di lavorare in zone a prevalenza slava; lo stesso per gli operai slavi in relazione agli albanesi.
L’errore è stato quello di lasciare alle imprese, nella prima fase, il compito di gestire i rapporti con i proprietari delle abitazioni la cui ristrutturazione era stata a loro affidata; cosa che non sono riusciti a fare.

2. Pressioni ricevute da esponenti di una Ong locale e da esponenti del governo nel tentativo di influenzare la nostra attività a favore dei macedoni slavi: i primi per motivi puramente economici più che politici o etnici; i secondi spinti prevalentemente da esigenze elettorali. Le loro intimidazioni e interferenze erano mirate essenzialmente ad ostacolare qualsiasi tentativo di riavvicinare le parti. A questo punto, per motivi di sicurezza, l’attività è stata interrotta.
3. Rientro della polizia che, in base agli accordi di pace, si costituiva di personale misto; questo ha fatto aumentare la tensione e creato non pochi problemi di sicurezza che hanno rallentato ulteriormente le attività.

Soluzioni adottate

1. Personale di Movimondo si è affiancato alle imprese gestendo in prima persona, per la restante durata del progetto, le relazioni con la popolazione. Si è fatto leva sul loro bisogno di ritornare a vivere una vita normale, di riavere una casa; sulla necessità di andare avanti con le riforme politiche derivanti dagli accordi e di riabituarsi all’idea di convivere insieme.
2. Abbiamo segnalato il problema e richiesto l’intervento dell’Agenzia Europea che ha risposto convocando i rappresentanti dell’Ong locale, persuadendoli a non intervenire più nel contesto del nostro intervento; a questo punto i lavori sono ripresi . Ci siamo nuovamente rivolti alla popolazione chiedendo la loro collaborazione; abbiamo chiesto a ogni beneficiario di firmare un documento da noi preparato con il quale accettavano i termini del nostro intervento.
Non aver ceduto alle pressioni politiche di cui siamo stati oggetto è stata una decisione importante, se ci fossimo lasciati intimorire, avremmo dovuto accettare qualsiasi altra pressione fatta in seguito. Avremmo perso in credibilità nei confronti della popolazione e la fiducia acquisita fino a quel momento; il punto di forza è stato quello di rivolgerci a loro coinvolgendoli direttamente nel progetto. Fortunatamente la voglia di normalità ha permesso loro di sganciarsi dalle richieste delle autorità politiche a non collaborare con noi. Fondamentale nella vicenda rimane comunque, il supporto esterno dell’Agenzia Europea che si è mantenuto tale per tutta la durata dell’intervento..

3. Ricerca informazioni indispensabili per la sicurezza nostra e di coloro che lavoravano con noi. Ci siamo affidati ai bollettini giornalieri emessi dalle organizzazioni internazionali che tuttavia non sempre concordavano tra loro; è praticamente impossibile che queste forniscano informazioni sempre affidabili per l’impossibilità pratica di monitorare in tempo reale tutto il territorio. Abbiamo quindi creato una rete locale, individuando le persone idonee, generalmente in contatto con i gruppi ribelli, a garantirci le informazioni più attendibili.

Punti di forza:
– Individuazione dei referenti locali con maggior seguito tra la popolazione e con maggior disponibilità a collaborare, appartenenti alle diverse etnie.
– Creazione di uno staff a personale misto, per creare situazioni di contatto in una situazione di polarizzazione.
– Il coinvolgimento diretto della popolazione nel progetto si è rivelato essenziale per il buon andamento del progetto stesso. Parlare con loro, ascoltarli, ci ha permesso di individuare quali fossero i bisogni primari, e di fare leva su questi per consentire loro di uscire dalla logica divisoria che alimentava gli ambienti politici locali.
– Il confronto periodico con le altre realtà dell’aiuto umanitario presenti nel terreno ha consentito lo scambio di esperienze e di informazioni che si sono dimostrate utili nella messa in opera del progetto.
– Supporto del donor in tutte le fasi del progetto, monitorando l’attività attraverso rapporti settimanali richiesti a Movimondo, dimostrando una reale volontà alla collaborazione e alla buona riuscita dell’intervento. Questo atteggiamento ci ha consentito di mantenere una posizione chiara e non ambigua all’interno della comunità, conquistando e mantenendo la loro fiducia, elemento essenziale in qualsiasi intervento.
– Creazione di una rete di relazioni locale, individuando le persone che potevano garantire informazioni utili per la sicurezza e non solo, ed essere allo stesso tempo affidabili.
– Stretto coordinamento "politico" e "diplomatico" con la Delegazione dell’UE; i periodici interventi di monitoraggio in loco della delegazione hanno consentito da un lato, una maggiore flessibilità dell’intervento e dall’altro, una notevole legittimazione per noi.
Punti di debolezza.

– Avere sottovalutato le tensioni presenti e le conseguenze delle nostre decisioni all’interno di una dinamica conflittuale affidando alle imprese, nella fase di implementazione del progetto, la gestione delle relazioni con le popolazioni locali; questo ha aumentato la tensione tra le diverse realtà. . L’esigenza di avere non solo i mezzi necessari ma anche i tempi per poterli eventualmente acquisire è primaria. L’attenzione al "sociale" richiesta dai donor in fase di implementazione, richiede mezzi, strumenti e tempi che tuttavia non sono contemplati né a livello economico né a livello di valutazione dei progetti che sempre si basano su aspetti tecnici piuttosto che sociali.
– Tempi troppo ristretti se si devono prendere in considerazione e gestire tutte le variabili che possono intervenire. Problemi di sicurezza, climatici, etc.

editor's pick

latest video

news via inbox

Nulla turp dis cursus. Integer liberos  euismod pretium faucibua

Possono interessarti anche