Le trattative per il nord del Kosovo
Continui colloqui e riunioni tra i serbi del nord, Belgrado e la comunità internazionale, per cercare una soluzione alla grave crisi nel nord del Kosovo. Alla fine è stato raggiunto un accordo tra Belgrado, Pristina e la Kfor. Oggi i serbi del Kosovo del nord decideranno se accettare o rifiutare questo accordo
Mentre ieri terminavo questo articolo, si è concluso l’incontro del presidente serbo Boris Tadić con i quattro sindaci dei comuni al nord del Kosovo. In uno scarno comunicato sul sito web della presidenza della Repubblica, subito dopo il termine dell’incontro di tre ore tenutosi a Belgrado, è stato reso noto che i partecipanti all’incontro “hanno constatato che al nord del Kosovo sono necessari più di tutto pace e unità”, che la Kfor e Eulex “devono rimanere neutrali riguardo allo status”, che è stata sottolineata l’importanza dell’appoggio dei cittadini del nord del Kosovo “al loro Stato e l’appoggio della Serbia ai suoi cittadini”.
In questo sterile comunicato, tuttavia, manca la risposta alla domande principale che i rappresentanti serbi del nord del Kosovo avevano in testa quando sono andati ad incontrare il presidente Tadić: i serbi del nord avranno solide garanzie che, nel caso in cui dovessero togliere le barricate, non ci saranno nuove mosse unilaterali da parte di Pristina, simili a quelle del 25 luglio, quando in tarda serata le unità speciali della polizia kosovara ROSU si sono dirette verso ciò che Pristina chiama “frontiera del Kosovo settentrionale e cancelli 1 e 31”, mentre i serbi “punti di passaggio amministrativi verso la Serbia centrale – Jarinje e Brnjak”?
L’accordo misterioso
La shuttle diplomacy durata due settimane, condotta dal negoziatore serbo per il Kosovo Borko Stefanović, tra i serbi del Kosovo del nord e il comandante dimissionario della Kfor Erhard Bühler, per ora è sfociata in un controverso accordo che molti ritengono sia stato raggiunto tra Belgrado e Pristina, e dove la Kfor, piuttosto che soggetto direttamente coinvolto in quanto responsabile della sicurezza, abbia giocato il ruolo di mediatore.
Sull’accordo però vi è molta confusione: oltre alla conferma che Belgrado e Pristina hanno accettato l’accordo, ma non i serbi del nord del Kosovo, e che si tratta di un accordo approvato solo verbalmente, non ci sono informazioni precise sui contenuti dell’accordo stesso.
Sul suo blog l’ex rappresentante dell’Unmik a Kosovska Mitrovica, Gerard Gallucci, ha pubblicato una presunta versione di quest’ultimo molto differente rispetto a quanto è emerso il 3 agosto scorso , quando in un comunicato stampa la Kfor aveva annunciato il raggiungimento di un accordo che prevedeva il controllo dei punti di confine da parte della KFOR stessa almeno sino a metà settembre; l’apertura dei punti di confine al passaggio di persone e camion sino alle 3,5 tonnellate e infine che le barricate costruite dai serbi del nord del Kosovo venissero rimosse. Erano inoltre specificate chiaramente le parti in causa.
Il testo pubblicato da Gallucci invece non chiarisce esattamente chi si sarebbe confrontato per il suo raggiungimento e inoltre riporta 11 punti, molti dei quali sembrano ricalcare le dieci condizioni poste dal governo del Kosovo per raggiungere un accordo.
“Non c’è mai stato alcun accordo scritto. Nessuno a dire il vero ha voglia di mettere il proprio nome e Bühler non ha i poteri per firmare qualcosa di questo tipo. Non è ben dettagliato, forse per fare in modo che le parti possano interpretarlo come vogliono", ha dichiarato Gallucci ad Osservatorio.
Di certo c’è che nonostante nel comunicato del 3 agosto scorso fosse prevista la possibilità di una rapida applicazione di questo accordo, sinora non vi è stata.
L’insoddisfazione dei serbi del nord
Che qualcosa non andasse per il verso giusto era chiaro quando per ore dalla base militare di Leposavić non uscivano i negoziatori serbi, che poco prima avevano preso parte alla riunione con grande ottimismo sul fatto che “a breve sarebbe stato tutto finito e sarebbe seguito l’accordo”. Si è speculato sul fatto che l’accordo si sia bloccato al secondo punto, su due parole che però fanno la differenza: non è prevista la possibilità che prosegua il traffico di camion fino alle 3,5 tonnellate, ma solo il passaggio di aiuti umanitari.
I serbi sono rimasti sulle barricate, insoddisfatti dagli accordi fatti finora, e la situazione si è ulteriormente complicata quando il governo del Kosovo ha pubblicato le dieci condizioni per il raggiungimento dell’accordo, e quando era evidente che “si mercanteggiava” tra Pristina e Belgrado con l’assistenza internazionale.
È iniziata poi una nuova serie di difficili colloqui tra i serbi e la Kfor, con una forte e burrascosa azione politica da parte di Pristina. I funzionari kosovari hanno indicato all’unanimità che “non c’è ritorno alla situazione precedente”, che il “Kosovo non sarà più lo stesso dopo il 25 luglio”, che “con tutti i mezzi difenderanno la loro frontiera al nord”, ed infine che i cittadini del nord “sono tenuti in scacco dai criminali”. I media di Pristina hanno pubblicato storie su gente armata, cecchini al nord, riportando persino nomi e cognomi.
Dalla Kfor sono giunte dichiarazioni simili su “strutture criminogene” nel nord del Kosovo.
“Questa è un’azione mediatica che va avanti da dodici anni, con cui, e non è la prima volta, si giustificano le azioni violente di Pristina per poter prendere il nord, e noi questo gioco lo abbiamo da tempo capito, ma purtroppo non lo ha fatto l’Europa occidentale, perché permane l’immagine negativa sui serbi risalente ai tempi di Milošević” riferisce ad Osservatorio Nada Smikić giornalista del giornale locale Jedinstvo. La giornalista aggiunge inoltre che questa volta da Pristina è partita “una tremenda macchina di propaganda effettuata dai media per attaccare il nord, insieme con determinate cancellerie internazionali".
Dall’altra parte, i serbi sulle barricate hanno atteso pazientemente due giorni interi che i loro rappresentanti si facessero vivi.
“Abbiamo tolto le castagne dal fuoco”, ha dichiarato Stefanović per il quotidiano serbo Press. “Le riunioni sono durate alcune ore. Ho dovuto consultarmi ininterrottamente con i vertici dello Stato e con i rappresentanti della comunità internazionale. È stato il periodo più pesante della mia vita e uno dei compiti di maggiore responsabilità, ma è importante che siamo riusciti a salvaguardare la pace al nord del Kosovo”, ha aggiunto Stefanović.
Il rappresentante serbo ha riconosciuto che questo accordo per molti aspetti è sfavorevole per i serbi del Kosovo e non rappresenta il ritorno alla situazione antecedente al 25 luglio, come chiedevano i serbi all’inizio, ma è stato “impedito lo scorrimento di sangue”, perché non ci saranno attacchi delle unità ROSU al nord del Kosovo e non ci sarà la chiusura ermetica delle frontiere con la Serbia. Inoltre ha confermato che non ci saranno simboli kosovari, dogane, e che il passaggio dei camion proseguirà, ma limitato ai mezzi non superiori alle 3,5 tonnellate.
I cittadini sono preoccupati e diffidenti per il cambio di situazione, ma sono calmi e consapevoli che ogni decisione che non provenga dalla Belgrado ufficiale potrebbe essere fatale per la loro sopravvivenza. Anche se dopo la pubblicazione delle notizie sul raggiungimento dell’accordo, venerdì sera, è stata annunciata una seduta urgente dell’assemblea dei comuni del nord del Kosovo, durante la quale i deputati avrebbero dovuto dichiararsi a favore o contro l’accordo, la seduta però è stata rinviata di quattro giorni.
Le consultazioni tra i serbi del nord
Nel frattempo i negoziatori serbi si sono incontrati ripetutamente con i serbi del nord del Kosovo e hanno cercato di convincerli di aver fatto tutto il possibile in questo momento, pregandoli di ignorare “le acclamazioni vittoriose” provenienti da Pristina, con le quali il premier ha detto che l’accordo, dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, rappresenta “l’evento più importante nella storia del Kosovo”, perché il Kosovo finalmente ha stabilito la sua piena sovranità.
Le consultazioni dei serbi si sono tenute perlopiù a porte chiuse e su di esse ci sono state varie opinioni.
“Forse avremmo dovuto credere a questo accordo. Ma parecchie volte siamo stati fregati, portati alla situazione di credere, perché siamo ingenui”, afferma Nadica Spasojević, assessora a Zvečan, che ha partecipato ad alcune riunioni.
“Come interpretare, d’altra parte, il fatto che abbiamo lasciato entrare le unità speciali di Pristina per 40 km nel nostro territorio, se non come ingenuità nel credere che non ci sarebbero state azioni unilaterali da parte di Pristina durante i dialoghi di Bruxelles?”, ripete l’assessora, la quale aggiunge che gli assessori serbi sono uniti, nonostante i differenti punti di vista. “Perché non sappiamo dove andare. Questa è la fine. Adesso difendiamo la nostra soglia di casa. Sappiamo bene che se non lo facciamo noi non lo farà nemmeno Belgrado. Questa unità si trasferisce sulle barricate. Siamo tutti lì. Anche i nostri figli non si sono spostati per la prima volta in dodici anni. Difendiamo numerosi il nostro territorio, e Belgrado è la nostra capitale”, sottolinea l’assessora di Zvečan.
La decisione finale sull’eliminazione delle barricate dovrebbe arrivare martedì, ma sembra che si sia già deciso di ascoltare Belgrado.
“Andate in vacanza. Così torneremo tutti più rilassati e potremo proseguire”, ha suggerito Robert Cooper, mediatore dell’Unione europea nei negoziati tra Pristina e Belgrado.
In Kosovo non c’è rilassamento e al nord agosto sembra tutto tranne la stagione delle vacanze.
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