L’Azerbaijan secondo Aliyev
L’Azerbaijan è per sei mesi alla presidenza del Consiglio d’Europa, l’organizzazione che guida la difesa dei diritti umani nel continente. La lista dei prigionieri politici del governo di Baku, però, continua ad allungarsi
Il presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev ha dato prova di grande sicurezza di sé durante il discorso tenuto lo scorso 24 giugno di fronte ai circa 300 membri dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (APCE), di cui l’Azerbaijan è attualmente presidente.
Si è mostrato molto determinato nel ribattere ad ogni critica mossa nei confronti del tetro record del suo paese in termini di diritti umani ed ha affermato che l’Azerbaijan è una giovane democrazia che ha intrapreso un cammino che “condurrà ad un mondo migliore in cui tutti prospereranno in pace e dignità”.
Mentre Aliyev era impegnato a dribblare le domande dell’assemblea, un gruppo di attivisti presenti all’incontro si è alzato dai propri posti: sulle loro magliette campeggiavano i volti di alcuni dei prigionieri politici tutt’ora rinchiusi nelle carceri azere con accuse pretestuose. “In Azerbaijan tutte le libertà sono garantite”, ha proseguito il presidente azero senza batter ciglio.
Il genere di libertà che Aliyev apprezza
Nel momento stesso in cui Aliyev rassicurava i delegati dell’APCE sul percorso di modernizzazione del paese, nella capitale Baku un tribunale rinviava per l’ennesima volta un’udienza, quella relativa al caso di otto giovani uomini condannati lo scorso 6 maggio a pene carcerarie tra i 6 e gli 8 anni per il caso NIDA.
Vicenda simile è accaduta il 10 giugno, quando la corte d’appello dell’Azerbaijan ha rinviato gli interrogatori di Tofig Yagublu, vicesegretario del partito d’opposizione Musavat, Ilgar Mammadov, capo del movimento Alternativa Repubblicana e Yadigar Sadigov, consigliere del segretario di Musavat. L’Unione europea considera ufficialmente queste tre persone prigionieri politici, con Yagublu e Mammadov incarcerati in relazione a proteste nella cittadina di Ismayilli, mentre su Sadigov pende l’accusa di aggressione.
È probabilmente proprio a causa di questa sua profonda convinzione circa l’inesistenza di prigionieri politici in Azerbaijan che lo scorso 28 maggio, festa nazionale dell’indipendenza e tradizionalmente giorno in cui vengono emessi decreti di grazia, il presidente Aliyev ha preferito lasciare i tre uomini in carcere.
Pressioni e repressioni
Numerosi prigionieri politici azeri hanno ricevuto pressioni per firmare confessioni dei propri crimini. Tra questi, anche gli 8 giovani del caso NIDA: da uno di essi è giunta una confessione, in cui viene rigettata l’appartenenza al movimento e compare un appello, rivolto alle organizzazioni internazionali, affinché non venga più considerato un prigioniero politico.
Un altro attivista che sta fronteggiando queste pressioni è Elsever Murselli, 18 anni, condannato in aprile a cinque anni di prigione per possesso di droga. In una sua dichiarazione rivolta a diverse personalità e organizzazioni – tra cui il direttore del quotidiano Azadliq, il partito Fronte Popolare Azero, NIDA e il Consiglio per la Stampa – Murselli parla di una “tardiva comprensione della bontà delle politiche di Aliyev a causa dell’ingenuità tipica della propria giovane età”. Murselli accetta così i propri errori, chiede perdono allo stesso presidente ed esprime sostegno alle politiche presidenziali.
Da un lato quindi continuano gli arresti, le intimidazioni e le pressioni nei confronti di difensori dei diritti umani, giornalisti e attivisti, dall’altro proseguono all’estero le rassicurazioni del governo azero circa l’esemplarità del paese in materia di diritti e libertà d’espressione. Evidentemente qualcuno sta mentendo e, per i funzionari a Baku, a farlo sarebbero proprio quei traditori che remano contro il luminoso futuro del proprio paese.
Lista aperta
Nel frattempo, la lista di coloro che finiscono in cella non accenna a diminuire. Tra chi è stato condannato di recente spicca Annar Mammadli, capo del Centro studi sulla democrazia e monitoraggio delle elezioni, ente che si pone a tutela di elezioni che siano libere, trasparenti e imparziali.
Mammadli è stato arrestato nel dicembre 2013 – proprio a seguito della diffusione da parte della propria organizzazione di un report elettorale critico nei confronti del governo – con un cocktail di capi d’accusa che vanno dall’evasione fiscale alla manipolazione volontaria dei dati elettorali.
Il report redatto dal Centro di Mammadli conclude affermando che le elezioni presidenziali dell’ottobre 2013 non sono state “né libere né democratiche”. Secondo quanto affermano le autorità azere però sembrerebbe sia stato Mammadli stesso ad intrufolarsi in ogni singolo seggio del paese per alterare i risultati elettorali. Questo almeno emerge dalla sentenza di condanna a cinque anni e mezzo inflittagli il 26 maggio scorso. Insieme a lui sono stati condannati anche il direttore esecutivo del Centro, Bashir Suleymanli (tre anni e mezzo), ed Elnur Mammadli, direttore dell’organizzazione partner Volontari per la Cooperazione Internazionale (due anni con sospensione della pena).
La lista non si ferma qui. Matanat Azizova, direttrice del “Centro di crisi a favore delle donne”, è finita dritta nella lista dei sospettati del caso Mirkadirov, reporter azero corrispondente per il giornale locale Ayna/Zerkalo ad Ankara, estradato dalla Turchia senza alcun preavviso (pur avendo documenti perfettamente in regola) e immediatamente arrestato al suo arrivo in Azerbaijan con l’accusa di tradimento. Convocata il 2 maggio per un’audizione durata ben 8 ore, la Azizova ha deciso in seguito di abbandonare il paese, temendo per la propria incolumità. Al marito e al figlio è stato successivamente impedito di raggiungerla all’estero.
Secondo la testimonianza della madre della Azizova, Mirvari Gahramanli, anch’essa voce critica nei confronti del governo e direttrice del “Comitato per la protezione dei diritti dei lavoratori del settore petrolifero”, la famiglia della Azizova è tenuta in ostaggio nel paese nonostante marito e figlio siano completamente estranei al processo.
Leyla Yunus è stata invece arrestata il 29 aprile mentre, insieme al marito, stava cercando di lasciare il paese. La Yunus è stata informata del divieto di lasciare il paese – giustificata con la sua inclusione nella lista dei testimoni nel processo Mirkadinov – soltanto in aeroporto, dove è stata trattenuta per diverse ore e dove le è stato confiscato il passaporto.
A giudizio di Mubariz Gurbanli, figura di spicco del partito di governo Nuovo Azerbaijan, l’arresto di Mirkadinov è stato dettato da “evidenti e riconosciute motivazioni”. Gurbanli ha commentato anche i recenti scandali della Azizova e della Yunus, affermando che le due erano semplicemente state chiamate a testimoniare e che la mistificazione dei loro casi in scandali giudiziari ha soltanto “danneggiato il sereno evolversi del processo”.
Le brevi dichiarazioni dei funzionari del governo sulle attività di “repressione” si sono dimostrate in linea con la sicurezza espressa da Aliyev alla APCE. Una di queste è giunta recentemente da Ali Huseynli, presidente della Commissione parlamentare per le politiche legali e l’apparato statale, commentando il turno di presidenza azero del Consiglio d’Europa: ”L’Europa dovrebbe essere fiera del fatto che l’Azerbaijan, il cui presidente è Ilham Aliyev, guiderà il Consiglio per il prossimi 6 mesi!”.
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