L’Armenia dopo la firma
Le reazioni in Armenia alla firma degli accordi con la Turchia. La battaglia politica, il dibattito pubblico, la forza della posizione di Sargsyan. Parla una sopravvissuta del genocidio del 1915
Dopo mesi di trattative segrete, il 10 ottobre scorso è giunto infine l’annuncio che i due storici protocolli volti a stabilire e poi normalizzare le relazioni tra Armenia e Turchia sono stati firmati. Se ratificati dai parlamenti di Ankara e Yerevan, il confine tra i due Paesi – chiuso dalla Turchia nel 1993 a sostegno dell’Azerbaijan in guerra con l’Armenia per il Nagorno Karabakh – potrebbe essere riaperto nel giro di due mesi.
Come previsto, nonostante i potenziali benefici in termini di sviluppo economico e stabilità per una regione travagliata, i nazionalisti e altre forze politiche (inclusa la Diaspora) in Armenia, Azerbaijan e Turchia sono in rivolta.
Tuttavia in Armenia, nonostante il timore di proteste massicce, in particolare tenuto conto di quelle che avevano seguito le controverse elezioni presidenziali dell’anno scorso, fino ad ora si sono registrate reazioni modeste da quando, in agosto, i protocolli sono stati resi pubblici.
Il principale partito nazionalista, la Federazione Rivoluzionaria Armena – Dashnaktsutyun (ARF-D) ha addirittura revocato lo sciopero di 24 ore indetto davanti ai due principali edifici governativi nella centralissima piazza della Repubblica a Yerevan. La decisione dell’ARF-D è stata presa il giorno prima dello storico accordo, dopo che era riuscita a radunare solo 10.000 persone, o poco più, su di un tema ritenuto centrale non solo per l’identità etnica locale ma anche per l’ideologia del partito.
Una seconda manifestazione tenutasi venerdì, in diretta risposta alla partita di calcio tra Armenia e Turchia del mercoledì precedente, è risultata ancor meno riuscita. I principali esponenti del partito continuano ad affermare che l’opposizione ai protocolli crescerà con un effetto a valanga, ma solo 1.500 persone circa hanno partecipato alla protesta, nonostante questa fosse stata organizzata su una delle strade più trafficate del centro della capitale.
Parlando con Osservatorio Balcani e Caucaso e il Wall Street Journal un’ora prima della manifestazione, il ministro degli Esteri armeno Eduard Nalbandyan era apparso calmo e fiducioso, nonostante le richieste di dimissioni a lui indirizzate da un partito che fino a poco tempo prima faceva parte della coalizione di governo, e che ne era uscito proprio sulla questione della normalizzazione delle relazioni con la Turchia.
Secondo il primo presidente dell’Armenia, Levon Ter-Petrosyan, l’ARF-D non può essere preso seriamente almeno fino a quando non deciderà di concentrarsi sull’obiettivo della rimozione dal potere del presidente in carica, Serzh Sargsyan. Armen Rustamyan, leader dell’ARF-D, ha dichiarato di non avere ancora questo obiettivo: "Noi facciamo una domanda esplicita, che non è ancora una richiesta di dimissioni ma che potrebbe logicamente diventarlo", ha infatti sostenuto nel corso della manifestazione di venerdì. La stessa linea è mantenuta da Giro Manoyan, capo dell’ufficio Hay Tahd (Causa Armena) del partito, un organo che ritiene che il riconoscimento come genocidio del massacro del 1915 di quasi un milione e mezzo di armeni nell’Impero Ottomano non sia negoziabile.
Gli ultimi sopravvissuti di quella tragedia sarebbero d’accordo con questa posizione. Parlando nel suo appartamento di Yerevan, la 99enne Yelena Abrahamyan, per esempio, si dice fermamente contraria all’apertura del confine fino a quando la Turchia non presenterà le proprie scuse. Non sembra nemmeno disposta a lasciarsi influenzare dalle rassicurazioni del governo, secondo cui l’istituzione di una commissione storica, come parte del processo di normalizzazione, non potrà portare ad una negazione di quello che molti storici e Paesi considerano come il primo genocidio del Ventesimo secolo. Anche diversi attivisti e nazionalisti in Armenia e all’interno della Diaspora si oppongono al riconoscimento del confine esistente. Al contrario, ritengono che la Turchia dovrebbe fare concessioni territoriali all’Armenia, nonostante sempre più turchi e kurdi abitino la zona.
E’ molto difficile in questo momento valutare con precisione l’opinione della maggioranza degli armeni sulla questione. Molti ritengono che quanti si oppongono esplicitamente ai protocolli potrebbero trovarsi di fronte ad una strada tutta in salita. Questo è particolarmente vero per il Congresso Nazionale Armeno (ANC) di Ter-Petrosyan, fuori dal Parlamento, che potrebbe essere considerato incoerente se provasse a sfruttare in modo troppo evidente la firma dei protocolli per arrivare ad un cambio di governo. Tuttavia, la settimana scorsa, l’ANC ha in qualche modo radicalizzato la propria posizione dichiarando che condannava la firma dei protocolli come "immorale e inammissibile". Ciò nonostante, né l’ARF-D né l’ANC sembrano voler collaborare per evitare che i protocolli vengano ratificati. Entrambi infatti si scontrano con un serio dilemma.
"Coloro che tradizionalmente hanno avuto una posizione favorevole al governo, ma sono noti per le proprie posizioni nazionaliste, si trovano in una situazione difficile", scrive al riguardo il quotidiano Hraparak. "Se loro l’ARF-D accogliessero con favore la normalizzazione delle relazioni con la Turchia, significherebbe il tradimento delle loro istanze secolari. Se rifiutassero, significherebbe tradire Serzh Sargsyan. Non meno difficile è la posizione di quelli che hanno sempre fatto opposizione, ma al tempo stesso hanno sempre parlato di democrazia e sviluppo, buone relazioni e apertura dei confini con i vicini … Da qualsiasi parte la si guardi, il vincitore in questa situazione è Serzh Sargsyan."
Un altro quotidiano dell’opposizione, più moderato, spiega la situazione in modo ancor più esplicito, collegandola in particolare a quella che sembra essere la speranza dell’opposizione extra parlamentare: sfruttare i timori dell’opinione pubblica rispetto ad un possibile processo parallelo volto a risolvere il conflitto del Nagorno Karabakh. Nalbandyan, però, è fermo nel sostenere che i protocolli turco-armeni e l’accordo di pace con l’Azerbaijan rimangono due processi distinti. La comunità internazionale, tuttavia, spera certamente che la normalizzazione delle relazioni con Ankara possa per lo meno aiutare la soluzione di un conflitto congelato dal momento del cessate il fuoco, nel 1994. Ironicamente, nonostante le affermazioni dell’opposizione, il sentimento anti turco – a causa dei protocolli – sembra invece in crescita nell’Azerbaijan.
"Prima Serzh Sargsyan stava con il partito della guerra, mentre Levon Ter-Petrosyan con quello della pace", ha commentato in un editoriale Aravot, sottolineando come il conflitto sia usato spesso per scopi politici interni indipendentemente dalla situazione. "Ora sembrano essersi scambiati i ruoli. In realtà il vero sostenitore della pace è colui che prenderà in considerazione l’opinione della gente del Karabakh, e il più grande pacifista quello che sottrarrà il tema del Karabakh dall’agenda dello scontro politico in Armenia. Ci sono così tante cose negative che possono essere dette sulle autorità, che non c’è bisogno di inventarsi il tradimento del Karabakh da parte di Serzh Sargsyan."
Accuse di questo tipo, inoltre, finiscono solo con il confondere la gente. Un tassista, interpellato da Osservatorio, ha dichiarato ad esempio di essere favorevole all’apertura del confine con la Turchia. Poi si è fermato, prima di riprendere: "Dicono però che il governo abbia intenzione di ignorare il genocidio e firmare un accordo di pace con l’Azerbaijan. Non so più a chi credere. Alla fine è tutta politica e nessuno mi lascerà decidere nulla." In un modo che fa crescere ancora di più la confusione, un vecchio attivista del movimento giovanile Hima!, di Ter-Petrosyan, sta utilizzando Facebook per aizzare la gente contro gli accordi. Allo stesso tempo, tuttavia, ha rifiutato un’intervista con la BBC dichiarando di essere in realtà a favore dei protocolli.
Per il momento, con una società divisa e in parte disorientata, né l’opposizione extra-parlamentare di Ter-Petrosyan né l’ARF-D sembrano abbastanza forti per evitare che i protocolli armeno-turchi siano ratificati dall’Assemblea Nazionale Armena. Al contrario, tutti gli occhi sono puntati sulla Turchia, che dovrebbe presentare i protocolli al Parlamento nella giornata di oggi. In Armenia invece i protocolli dovranno prima essere inviati alla Corte Costituzionale, poi all’Ufficio di presidenza e solamente dopo all’Assemblea Nazionale. Una fonte diplomatica, che ha preferito restare anonima, ha dichiarato ad Osservatorio che una rapida ratifica da parte del Parlamento turco teoricamente porterebbe al verificarsi della stessa cosa in Armenia.
Mentre la tanto celebrata diplomazia calcistica continua a svolgere la propria parte sul terreno della politica anche altri, come l’uomo d’affari britannico-armeno Charles Masraff, rimangono speranzosi. Sebbene lo avesse programmato otto mesi fa e senza avere la minima idea che esistessero i protocolli, il matrimonio di suo figlio (etnicamente armeno) con la fidanzata turca è avvenuto per coincidenza lo stesso giorno che in Svizzera sono stati firmati gli accordi. La scorsa settimana, di ritorno dal matrimonio in Turchia, Masraff ha dato un party speciale nel suo locale a Yerevan, esattamente due giorni dopo la partita di calcio tra Armenia e Turchia, per celebrare entrambi gli eventi e inaugurare ciò che molti sperano essere un nuovo capitolo nelle relazioni tra i due Paesi. Solo il tempo chiarirà se questo ottimismo è giustificato.
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