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L’Armenia di Sargsyan

Gli armeni si preparano ad eleggere il presidente che guiderà il paese nei prossimi 5 anni. Il candidato favorito è quello attuale, Serzh Sargsyan. Il bilancio del suo mandato, tuttavia, presenta notevoli ombre, mentre continua l’esodo dei giovani armeni spinti all’estero dalla crisi economica

15/02/2013, Marilisa Lorusso -

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Il 18 febbraio si tengono le elezioni presidenziali in Armenia. Con questa data si apre un anno di rinnovi presidenziali che riguarda tutte e tre le repubbliche del Caucaso meridionale. In autunno, infatti, si terranno le presidenziali anche in Georgia e in Azerbaijan.

L’accidente e l’insieme

La campagna elettorale armena è stata scossa da un deprecabile e incomprensibile attentato alla vita di uno dei candidati, Paruyr Hayrikyan. La costituzione armena prevede la possibilità di posticipare le elezioni in caso un candidato non sia in condizione di proseguire la campagna elettorale, ma Hayrikyan si è rimesso in fretta dall’intervento subito dopo l’attentato, e la data delle elezioni è stata confermata. Rimane da chiarire la matrice dell’incidente e se quest’ultimo avrà un peso sulle preferenze di voto.

Al di là del sinistro episodio, che non fa esordire bene “l’anno dei presidenti”, la campagna elettorale armena ha ben rispecchiato il quinquennio presidenziale che si va a concludere: grigia in superficie, ma cosa c’è sotto?

Guardando alla situazione interna armena, il repertorio pare quello classico del paese post-sovietico la cui transizione è ormai una condizione permanente, che pare a tratti più involversi che evolversi. Il quinquennio 2008-2013 è stato politicamente caratterizzato da continuità. Va compreso se però questa continuità corrisponda ad una stabilità del sistema, o se sia piuttosto il prodotto di un insieme di fattori, anche di matrice extra politica.

Il ristagno

Alcuni indicatori possono aiutare a fornire il quadro del quinquennio appena trascorso. Delimitando il campo di indagine ai settori economico, sociale, demografico, e del livello di legalità, l’insieme che emerge è quello di un paese la cui legittimità non dà segni di consolidamento.

Dopo il primo colpo ricevuto dall’esordio della crisi finanziaria del 2008, l’inizio di mandato di Sargsyan era stato caratterizzato da un parziale miglioramento. Gli investimenti dello Stato a sostegno dell’economia e dell’industria edilizia erano ripresi. Ben presto, però, è intervenuta una contrazione della liquidità, dovuta a una progressiva ma costante riduzione delle rimesse degli emigrati. L’Armenia ha infatti una numerosissima diaspora sia storica che di nuova generazione, che contribuisce in modo sostanzioso al budget nazionale.

Il fatto che l’esodo non si sia interrotto nemmeno quando la crisi ha travolto i paesi riceventi è fonte di preoccupazione, al punto che le autorità sono accusate di occultare i veri dati sull’emigrazione.

Questo è uno dei fattori che pone più in dubbio la questione della legittimità dello Stato: la scelta continua dei cittadini di abbandonarlo, non per fattori di natura identitaria, quanto per la percezione dell’assoluta assenza di un domani. Secondo l’organizzazione non governativa Fund for Peace , su 177 paesi l’Armenia si colloca al 103esimo posto per livello di povertà e declino, e nel quinquennio 2007-2012 ha peggiorato la propria posizione in questa particolare classifica.

Nell’ottobre 2011 il governo Sargsyan ha cercato di dare un nuovo impulso all’economia attraverso la realizzazione di un Accordo di Libero Scambio con la Russia, che ha anche concesso di mantenere bassi i prezzi del gas importato. Ma già le voci si rincorrono sul fatto che una volta venuto meno il fattore politico, cioè evitare che si sollevi il malcontento nei confronti delle autorità alla vigilia delle elezioni, i prezzi subiranno un rialzo .

Una forbice che non giova a nessuno

Per le strade della capitale Yerevan stupisce l’apparente benessere, soprattutto in centro. Le boutique di grandi marche non mancano, bar e club nel giro di un decennio sono proliferati. La sensazione è che il problema, più che l’assenza di ricchezza, sia la sua concentrazione. Negli ultimi quindici anni sembra infatti essersi creata nel paese una cupola economico-politica, fenomeno che da un lato delegittima agli occhi dell’opinione pubblica le istituzioni dello Stato, che appaiono come mezzi pubblici piegati a esigenze di privati, mentre dall’altro arresta sul nascere le iniziative private, di potenziali imprenditori, che temono i potentati.

L’opinione pubblica armena appare tuttavia poco propensa a scendere in piazza per motivi politici: prevale un certo scetticismo sull’efficacia di qualsiasi strumento a disposizione dell’elettorato per creare un’alternativa. Il disagio sociale verso questa situazione esplode però verso la “casta” quando gli abusi si fanno particolarmente odiosi. Uno dei vari episodi che regolarmente coinvolgono gli oligarchi e la loro – spesso brutale – sicurezza privata, ha infatti causato recentemente una mobilitazione popolare: a giugno Vahe Avetyan, medico militare, è stato ucciso a botte in un ristorante di Yerevan dalle guardie del corpo di un parlamentare del partito di maggioranza, Ruben Hayrapetyan .

L’impunità che pare circondare la classe dirigente, tuttavia, non giova nemmeno a coloro che ne godono. Le lotte intestine sono infatti particolarmente violente, e il livello di frazionamento dell’élite di governo aumenta. E’ un fenomeno destabilizzante, resosi manifesto recentemente in almeno due frangenti: le difficili negoziazioni per la nomina dei candidati presidenziali, che hanno visto defilarsi, dopo protratte trattative, Gagik Tsarukyan , e la nomina del governo dopo le parlamentari. Nonostante la netta maggioranza ottenuta dal Partito Repubblicano, infatti, Sargsyan non è stato in grado di formare il nuovo governo per più di un mese.

Un quadro poco rassicurante, in cui Sargsyan pare essere più un costante mediatore che un capo di Stato dotato della legittima autorevolezza e indipendenza. Più in generale, il quadro istituzionale appare poco solido, perennemente ipotecato da interessi privatistici.

Il male nero: l’illegalità e la corruzione

Potentati economici, assenza di alternanza politica, una società civile nella quale prevale una certa disillusione: è il quadro perfetto perché un fenomeno come la corruzione dilaghi. Non ci sono infatti istituzioni essenziali alla sopravvivenza dell’Armenia che ne siano esenti, come dimostrano gli scandali che coinvolgono le forze dell’ordine e di sicurezza. Un paese costantemente minacciato dalle quotidiane violazioni del cessate il fuoco in Nagorno Karabakh ha visto nell’ultimo anno rimuovere il capo della polizia della capitale, il Commissario militare e figure vicine al Capo di Stato Maggiore , con le conseguenti illazioni a carico di quest’ultimo e della sua presunta immunità ma non estraneità ai fatti.

Secondo Transparency International , su 176 stati l’Armenia è 105esimo, oltre “quota cento”, nel gruppo cioè dei più corrotti. Il valore numerico relativo al paese nel 2012, su una scala da uno a cento, in cui 100 è il minimo di corruzione e 0 il massimo, è 34.

Un sondaggio della stessa organizzazione riguardante il periodo 2007-2010 rivelava che il 50% della popolazione avvertiva un aumento della corruzione, e secondo gli intervistati le istituzioni più colpite in assoluto da questo fenomeno erano gli istituti di istruzione, la polizia, le corti e a seguire a brevissima distanza la classe politica e la pubblica amministrazione. Solo il 27% degli intervistati riteneva che il governo stesse agendo effettivamente per sradicare questo male.

Un quadro poco edificante che dovrebbe preoccupare e mobilitare tutti, perché i governi non si delegittimano solo attraverso le piazze, ma anche quando lentamente muoiono il consenso e un progetto condiviso sul futuro. Serzh Sargsyan, durante il suo primo mandato, non sembra essere stato un presidente in grado di riscattare l’immagine della classe politica agli occhi dell’opinione pubblica.

(http://marilisalorusso.blogspot.com/ – il blog di Marilisa Lorusso dedicato al Caucaso del sud)

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