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L’altra Russia: il rifiuto della guerra

Mentre il regime del presidente russo Putin aggredisce l’Ucraina c’è chi in Russia prova ad alzare a fatica la voce del dissenso e del rifiuto della guerra

25/02/2022, Martina Napolitano -

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In un discorso alla nazione trasmesso alle sei del mattino (ora di Mosca), il 24 febbraio Vladimir Putin ha annunciato l’avvio di un’“operazione militare” in Ucraina volta a “proteggere” gli abitanti delle repubbliche separatiste del Donbass da quello che il presidente russo ha definito senza mezzi termini “genocidio” in corso da otto anni da parte del “regime di Kiev”, un’operazione che punterà con ciò alla “smilitarizzazione e denazificazione dell’Ucraina”.

Putin non poteva essere più chiaro nelle intenzioni e in linea con la retorica espressa nei giorni scorsi: il discorso in particolare di lunedì sera — una sorta di lezione di storia indirizzata non tanto ai suoi cittadini quanto al resto del mondo — aveva già presentato una serie di argomentazioni al limite del surreale che non possono che stupire per la prodezza con cui sono state affastellate e intrecciate.

È infatti proprio la storia il terreno su cui da anni si basa la retorica dell’élite governativa russa, che intesse narrazioni nazionali di partecipazione attiva alla scrittura della Storia al fine di raggiungere più agilmente le pance di un certo elettorato. Si tratta di una narrazione che fa propria la vetusta e sempre comoda suddivisione del mondo tra noi e loro, tra amici e nemici, tra Oriente e Occidente e che purtroppo incontra dall’altra parte non di rado un proprio specchio.

L’utilizzo di questa narrazione storica tutta russa si è traslato dal piano interno a quello internazionale — cosa che era già in realtà in parte avvenuta, ad esempio nel corso della Conferenza di Monaco del 2007 — e negli anni ha fatto anche proprio un vocabolario, pronto a essere sfoderato a ogni occorrenza. È così che i termini “fascismo” o “nazismo” — una volta snaturati, spogliati e risemantizzati — sono divenuti comodi termini-ombrello da utilizzare in particolare riferendosi alla vicina Kiev, come ha denunciato lo scrittore russo Lev Rubinštejn dalla sua pagina Facebook.

Sono infatti stati moltissimi gli intellettuali, i giornalisti e le persone comuni che in Russia, allo scoppio degli attacchi in Ucraina (o dell’“operazione militare”, come il Cremlino si ostina a definire quanto sta accadendo), hanno alzato apertamente voci di protesta: chi sui social, chi tramite lettere aperte, petizioni e video di appello , chi tramite graffiti sulle vie del centro, chi scendendo in piazza e sfidando le autorità con picchetti individuali e azioni collettive . Sono stati oltre 1700 gli arresti in tutta la Russia nella giornata del 24 febbraio, in 53 città diverse; quasi un migliaio di fermi si è registrato nella sola Mosca. Il famoso rapper Oxxxymiron ha cancellato i suoi prossimi sei concerti a Pietroburgo e Mosca, spiegando la motivazione in un video: “Non posso intrattenervi [con la mia musica] mentre missili russi cadono sull’Ucraina, mentre la gente di Kiev è costretta a nascondersi negli scantinati e nelle metropolitane, mentre la gente muore”. Ivan Urgant, invece, noto in Italia per lo show di capodanno “Ciao 2020”, è invece stato “punito” per un post su Instagram in cui, all’interno di un quadrato nero, ha scritto “Paura e dolore. NO ALLA GUERRA”: il suo consueto show serale è stato cancellato all’ultimo e sostituito da un concerto di Vjačeslav Butusov, nel 2019 insignito dal presidente Putin del titolo di “artista emerito della Federazione russa”.

Nel frattempo, le autorità russe hanno anche richiamato i giornalisti, invitandoli a utilizzare soltanto le fonti governative nel trattare l’argomento, mentre l’assessorato alla cultura della città di Mosca ha inoltrato ai teatri la richiesta agli attori e registi di astenersi dal commentare quanto sta avvenendo: qualsiasi commento negativo equivarrà a un atto di “tradimento della Patria”. La direttrice del teatro Mejerchol’d Elena Koval’skaja si è licenziata in segno di protesta contro l’aggressione ai danni dell’Ucraina.

L’agenzia di stampa governativa RIA Novosti la mattina del 24 febbraio, a poche ore dall’inizio dell’“operazione militare”, dedicava alcuni articoli al “regime di dittatura ” ucraino (così veniva descritto l’annuncio dello stato di emergenza da parte del presidente Zelensky), dichiarava che “l’Occidente rigetta l’Ucraina ” e che “l’Europa ha riconosciuto che senza il gas russo per lei è la fine”. Il silenzio omertoso decretato dai media governativi e rotto soltanto dalle voci delle testate indipendenti (per lo più, com’è noto, ormai “agenti stranieri ”) rispecchia la stessa pratica destinata agli eventi scomodi agli occhi dell’élite governativa russa, in primo luogo le proteste, il più delle volte completamente sottaciute dai canali televisivi e dagli organi della stampa più legati a e controllati dal Cremlino.

Il silenzio questa volta è però ancora più pesante, disturbato com’è dall’eco delle deflagrazioni e dei colpi di mortaio che stanno cadendo sull’Ucraina. Sull’Europa. Su “tutto il mondo democratico”, come lo ha chiamato il presidente Zelensky.

 

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