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L’Albania si vergogna e condanna il sequestro dell’autobus greco

La scorsa settimana alla periferia di Atene due giovani albanesi hanno sequestrato un autobus con 26 persone a bordo, prendendole tutte in ostaggio. Un atto che i due sequestratori hanno voluto imporre come "eroico", ma che la maggior parte dei loro connazionali ha condannato duramente. Forte il timore di atti di razzismo sugli albanesi che vivono e lavorano in Grecia

24/12/2004, Indrit Maraku -

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"Signor ambasciatore, con dispiacere la informo che i due sospettati sono cittadini albanesi". Sono le parole del capo della polizia di Atene rivolte all’ambasciatore d’Albania in Grecia, Bashkim Zeneli. Sono le parole che hanno accertato la vergogna, le stesse che hanno troncato la speranza di milioni di Albanesi sull’incerta nazionalità dei due sequestratori che il 15 dicembre scorso sequestrarono un pullman nei pressi della capitale ellenica prendendo in ostaggio circa 26 persone. "Volevamo tornare in Albania come eroi", hanno detto successivamente alla resa, ma in Albania nessuno ha accettato che il nome di una intera nazione venisse infangato da due stupidi delinquenti. A fare le spese con l’avventura dei loro connazionali ora sono circa un milione di emigranti albanesi che lavorano in Grecia, con la certezza che "non ce lo perdoneranno".

Vendetta di ostaggi
Gazmir Resuli e Leonard Murataj non sono i primi due albanesi che prendono in ostaggio un pullman in Grecia. Il primo a sperimentare questa strada è stato Flamur Pisli. Il 28 maggio 1999 Pisli prese in ostaggio 8 persone che si trovavano in un autobus di linea nella città di Salonicco. Armato, il giovane originario di Burrel (nord) costrinse l’autista ad entrare in territorio albanese. La mattina del giorno dopo, le forze speciali della polizia albanese l’avrebbero ucciso durante un operazione blitz nei pressi della città di Elbasan (centro), nel corso della quale perse la vita anche uno degli ostaggi greci. Durante quelle ore di angoscia Pisli spiegò per le emittenti elleniche i motivi di quell’atto: chiedeva che un poliziotto greco venisse condannato perché l’aveva picchiato violentemente e gli aveva sottratto i soldi che era riuscito a mettere da parte lavorando per diversi anni in Grecia. In poco tempo il giovane di 25 anni diventò un personaggio fiabesco. Addirittura da convincere un regista greco a girare un film sulla sua storia: "L’ostaggio" veniva proiettato nei cinema greci proprio nel momento in cui Resuli e Murataj, pochi giorni fa, mettevano in atto un simile scenario alla periferia di Atene.

A meno di 5 settimane di distanza, un altro albanese avrebbe seguito l’esempio di Pisli: simili i motivi, stessa la fine. Anche Aleksander Nana prese in ostaggio i passeggeri di un autobus a Salonicco, ma fu ucciso da un poliziotto greco nel momento in cui gli veniva consegnata la somma di denaro che aveva chiesto. Aveva fatto sapere che era stato picchiato e deportato ingiustamente dalla polizia greca, la quale gli aveva strappato tutti i documenti, facendogli perdere così il diritto di ritirare il denaro depositato in una banca della capitale e perciò voleva vendicarsi.

L’atto finale di quel ciclo di ripicche vide come protagonista questa volta un cittadino greco. Il 16 luglio del 1999, Andres Kalyvas, entrò armato in un pullman con emigranti albanesi a bordo prendendo in ostaggio i 38 passeggeri. Dopo lunghe ore di trattative, l’uomo decise di arrendersi portando il pullman nella più vicina stazione di polizia, dove precisò che voleva vendicarsi per tutto ciò che avevano fatto Pisli e Nana.

"Speriamo che non siano albanesi"!
Incollati davanti alla Tv, gli albanesi hanno sperato fino all’ultimo che i due dirottatori di Atene non fossero loro connazionali. Fino a quando i capi della polizia della capitale ellenica hanno chiamato l’ambasciatore d’Albania in Grecia, Bashkim Zeneli: "Con dispiacere la informiamo che i due sospettati sono cittadini albanesi". Mentre la notizia faceva in pochi minuti il giro del mondo, una sensazione di rabbia invadeva gli animi di una intera nazione. "Ci hanno fatto vergognare", era la frase che si sentiva più spesso. Anche i famigliari dei due protagonisti, che hanno avuto un ruolo chiave durante le trattative, chiedono che i loro parenti vengano condannati.

Sui media, invece, la notizia ha trovato ampio spazio. Ma quello che poteva colpire un occhio abituato alla stampa albanese era l’assenza di tutti quegli opinionisti che solitamente fanno a gara per chi scrivere per primo. Pochissimi quelli che hanno parlato dell’ennesimo autogol per l’immagine dell’Albania. La maggioranza si è fermata a sottolineare particolari che non convincevano oppure ha sottolineato come i due non rappresentassero un intero popolo, ma solo ed esclusivamente se stessi.

Ora la paura
Abituati alle ritorsioni che puntualmente fatto da contorno ad ogni screzio tra i due Paesi, gli emigranti albanesi che lavorano in Grecia non nascondono la paura. Mentre varcano la dogana, tornando a casa per le feste di fine anno, si fermano davanti ai microfoni dei giornalisti per esprimere la loro preoccupazione. Agim Beto, un 43enne di Korcia, racconta che ci ha pensato bene prima di partire per via di qualche problema che le autorità greche gli potevano creare per il ritorno: "Ho pensato di annullare il viaggio, ma non potevo restare senza incontrare i miei figli e mia moglie". Mentre un 50enne di Tirana si dice convinto che i greci prima o poi si vendicheranno di quello che hanno fatto ad Atene i suoi connazionali, "ma almeno spero che questo nostro dramma non continui così all’infinito".

Ma timorosi non erano soli gli emigranti. Anche le autorità delle due capitali si sono precipitate a condannare l’accaduto. Pochi minuti dopo la resa di Resuli e Murataj, in una conferenza stampa a mezzanotte passata, il ministro degli Interni greco ha chiesto al suo popolo di astenersi da atti di razzismo: "Questo incidente non deve influenzare negativamente sui comportamenti dei greci verso gli albanesi", ha detto, chiedendo agli emigranti che lavorano e vivono in Grecia di "prendere le distanze da tali elementi criminali".

Da parte sua, Tirana, con una dichiarazione del ministero degli Esteri, ha condannato il sequestro come "un atto di natura criminale, conclusosi per fortuna in modo incruento". La dichiarazione precisa ribadisce che "atti del genere non identificano gli albanesi che lavorano e vivono onestamente in Grecia". Anche il Partito democratico (opposizione) dell’ex presidente Sali Berisha ha chiesto che non ci sia "una responsabilità collettiva". "La responsabilità è individuale e non deve implicare la comunità albanese che si sta sforzando per la sua integrazione nella società greca", ha detto Besnik Mustafaj, segretario agli esteri del Pd.

Gli albanesi ricordano ancora bene le immagini di razzismo esplose lo scorso settembre in Grecia a seguito della vittoria a Tirana della loro nazionale di calcio contro quella greca, che costò la vita ad un giovane emigrante mentre tanti altri vennero maltrattati da folle di tifosi sostenuti a volte anche dalla polizia ellenica.

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