L’Albania nella storia di Venezia
L’Albania ha avuto un ruolo di primo piano nella storia della Serenissima. Basti sapere che la Scuola degli albanesi fu la prima scuola di "foresti" aperta a Venezia, nel lontano 1448. Di queste relazioni ci parla Lucia Nadin
Scanderbeg in parata sul Canal Grande, la città di Scutari in un dipinto a Palazzo ducale… Quando si pensa alla Repubblica di Venezia e ai suoi territori d’oltremare, si fa solitamente riferimento alle coste dell’Istria e della Dalmazia, eppure, l’Albania ha avuto un ruolo di primo piano nella storia di Venezia, al punto da aver lasciato delle tracce nei luoghi più emblematici della città. Ne abbiamo parlato con la professoressa Lucia Nadin, specialista delle relazioni veneto-albanesi. Quest’intervista è stata pubblicata nella prima guida degli Stati scomparsi (Extinguished Countries) , dedicata alla Repubblica di Venezia e disponibile nelle librerie dal 9 marzo.
L’Albania ha avuto un ruolo importante nella storia della Serenissima, in particolare durante il XV secolo. Di che tipo di relazione si tratta?
È una relazione di primissimo piano. Non soltanto perché lo scalo di Durazzo, punto di arrivo della Via Egnatia, era una tappa fondamentale per tutte le navi, ma anche perché da qui arrivavano delle merci di cui Venezia aveva gran bisogno: granaglie, sale, legname e bitume per l’arsenale. Nel nord dell’Albania, poi, la nobiltà e il clero cattolico di Scutari sono stati a lungo tempo un interlocutore stabile della Serenissima: si tratta di una vera e propria roccaforte di fedeltà veneziana. Butrinto, infine, è un punto strategico e di passaggio per Corfù, che resterà in mani veneziane fino alla fine, fino al 1797.
Una testimonianza evidente di questa relazione speciale è la Scuola degli albanesi, tuttora visibile a Venezia.
Sì, la Scuola degli albanesi è la prima scuola di “foresti” aperta a Venezia. Siamo nel 1448, quindi prima dell’apertura della Scuola Dalmata (1451) e prima anche della Scuola dei Greci, per cui si deve aspettare la fine del Quattrocento. L’autorizzazione all’apertura di una scuola non è un fatto da poco, significa l’esistenza di un legame di fedeltà e di sicurezza forte. È il risultato di secoli di interessi commerciali in cui il centro-nord dell’Albania è fondamentale all’economia e alla diplomazia veneziana. La scuola si trova tra il campo Santo Stefano e il Campo San Maurizio e sulla sua facciata c’è un bassorilievo del Cinquecento che racconta l’assedio di Scutari, un altro momento forte della storia della Serenissima.
Nel XV secolo, Venezia si confronta in effetti con l’ascesa dell’Impero ottomano e Scutari subisce diversi assedi prima di essere ceduta agli Ottomani nel 1479. Come sono vissute quelle vicende a Venezia?
Basta andare a Palazzo ducale, nella Sala del Maggior Consiglio. Sotto l’ovale del Trionfo di Venezia, c’è un dipinto del Veronese che racconta la difesa di Scutari del 1474, con Antonio Loredan che guida l’assalto alle truppe ottomane, capeggiate dal sultano Maometto II in persona. Venezia partecipa dunque alla difesa della città e enfatizza il mito di quella battaglia che diventa una vera e propria epopea popolare. In seguito alla cessione della città agli Ottomani, la Serenissima perde praticamente tutta l’Albania (Durazzo sarà ceduta pochi anni più tardi, nel 1501, e nel secondo Cinquecento Venezia perderà anche Dulcigno e Antivari, oggi in Montenegro. Le rimarrà solo Butrinto). A Venezia e nei territori della Repubblica, si rifugia allora gran parte di quella nobiltà e di quel clero colto che prima viveva nel nord dell’Albania.
Il Quattrocento è poi il secolo di Scanderbeg (1405–1468), l’eroe albanese per eccellenza. Qual è il suo rapporto con Venezia?
Non è un rapporto pacifico. Scanderbeg rappresentava il tentativo di creazione di uno stato unitario albanese in un territorio in cui la Serenissima aveva degli interessi e controllava delle città. Venezia fu quindi in un certo senso costretta ad allearsi con quello che ad Occidente veniva presentato come «il difensore della cristianità» in chiave anti-ottomana. È una vicenda politica ambivalente: Scanderbeg diventerà sì un patrizio veneto, ma senza quell’entusiasmo che Venezia vorrà poi raccontare.
Qual è il punto di vista della storiografia albanese sul rapporto tra Scanderbeg e Venezia?
La storiografia albanese sottolinea le criticità, fa notare che nei primi tempi Venezia si oppone all’ascesa di Scanderbeg e sostiene persino una guerra contro di lui nei pressi di Scutari. Ci sarebbe poi stata la volontà di Venezia di eliminarlo, anche di avvelenarlo, per arrivare solo più tardi all’alleanza tanto celebrata dalla Serenissima. È una storia – diciamo – meno edulcorata rispetto a quella che si racconterà a Venezia.
La figura di Scanderbeg rimane dunque viva a Venezia dopo la fine del XV secolo e la perdita delle città albanesi?
Eccome. Nel corso di tutto il Seicento, dal 1606 al 1718, sul Bucintoro – ovvero sulla galea di stato dei dogi di Venezia, usata per le celebrazioni ufficiali – c’è una statua di Scanderbeg. Questo perché ad inizio Seicento, la Serenissima attraversa una fase di rottura con il Papato romano, sia per la vicenda di Paolo Sarpi, sia perché la Chiesa cerca di trascinare Venezia nell’ennesima crociata e quest’ultima tergiversa. La statua di Scanderbeg è allora una manovra diplomatica e serve a ricordare il tempo in cui Venezia ha difeso l’Adriatico dai turchi assieme all’eroe albanese. Ma è, come dicevo, una visione selettiva della storia, in cui Scanderbeg è un co-difensore e Venezia è in primo piano. Ad ogni modo, la figura di Scanderbeg è ben nota alla società veneziana dell’epoca: è menzionato da Goldoni ed è anche musicato da Vivaldi.
Abbiamo parlato delle tracce della relazione veneto-albanese a Venezia. In Albania, invece, cos’è rimasto del periodo veneziano?
Purtroppo, poco e niente. A Scutari si intravede la coda di un leone alato, a Durazzo sono rimasti il castello e la torre, a Butrinto una rocca, ma è tutto: qualche rovina qua e là. Questo non soltanto perché l’80% di ciò che c’era (in particolare delle chiese cattoliche) è andato perduto nei secoli sotto l’Impero ottomano, ma anche perché quel poco che era rimasto è stato distrutto nel Novecento sotto il regime di Enver Hoxa e oggi effettivamente c’è il vuoto. Sono spariti anche i pozzi veneziani che erano ancora visibili nel primo Novecento. Ma ciò non toglie che si tratta di una storia – quella dell’Albania pre-ottomana – di primissimo piano, come dimostrano gli statuti di Scutari del XIV secolo, che parlano di una società florida, colta e in contatto con le principali potenze dell’epoca.
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