L’Albania delle minoranze
Quali sono le minoranze etniche in Albania e dove sono dislocate? Dhimiter Doka, docente e coautore nel 2005 di un Atlante sulle minoranze in Albania, risponde a queste domande. Le sue ricerche però lo hanno reso vittima di attacchi pubblici e gli sono costati il temporaneo allontanamento dall’Università di Tirana. Nostra intervista
Dhimiter Doka, uno studioso di demografia presso la facoltà di Storia e Geografia all’Università di Tirana. Negli ultimi anni si è impegnato in vari studi riguardo le minoranze etniche in Albania, nell’ambito di vari progetti finanziati dal servizio tedesco per lo scambio accademico (DAAD).
Nel 2005 ha fatto scalpore la pubblicazione dell’Atlante demografico dell’Albania di cui è coautore. Nell’atlante Doka e i suoi colleghi erano giunti alla conclusione che nel Paese balcanico attualmente circa il 2,3% della popolazione è costituita da minoranze etniche, che unite alle minoranze etno-culturali portano a circa il 10% la popolazione non albanese in Albania. Tali conclusioni gli hanno valso un lungo processo di linciaggio pubblico, da parte dei media e delle istituzioni, anche perché ufficialmente le minoranze nel Paese delle aquile costituiscono complessivamente meno del 2% della popolazione.
A distanza di circa 5 anni, il dibattito della struttura etnica dell’Albania ritorna d’attualità in vista del prossimo censimento della popolazione che il governo Berisha effettuerà nei prossimi mesi. Sono numerosi i rappresentanti della società civile che si oppongono a tale censimento da posizioni nazionaliste, ritenendolo finanziato e sostenuto dai vicini dell’Albania, in particolar modo dalla Grecia.
Quali sono le minoranze etniche in Albania?
Di solito abbiamo considerato come minoranze etniche quelle che vivono nei territori confinanti con le nazioni di appartenenza. Di conseguenza tali minoranze si trovano nelle zone di confine con i paesi vicini, i greci al sud, i macedoni nella zona del sud-est nel villaggio di Liqenas, i serbo-montenegrini nel villaggio di Vraka al nord del Paese. I principi che sono stati applicati durante il comunismo sono stati: l’esistenza di una nazione appartenente e la continuità territoriale con la nazione appartenente. Non abbiamo mai preso in considerazione invece quelli che si erano trasferiti altrove. I censimenti venivano effettuati in maniera regolare, ma venivano effettuati secondo determinati criteri voluti dallo Stato.
Però oggi in Albania esistono altre minoranze che non si trovano necessariamente nelle vicinanze dei confini. I bosniaci di Shijak, i serbi di Fier, i valacchi che si trovano sparsi in tutto il territorio…
Dell’esistenza dei serbi di Fier ne sono venuto a conoscenza solo di recente. Non sapevo neanch’io che ci fossero. Anche dei bosniaci, che sono diverse comunità, a Shijak e a Fier, si è incominciato a parlare ufficialmente dopo gli anni ’90.
Eppure la popolazione locale li conosceva. Come mai non venivano presi in considerazione?
Non era nell’interesse di quel regime enfatizzare la diversità dei cittadini albanesi. I censimenti spesso venivano effettuati con la modalità delle proiezioni, studiando il carattere demografico delle minoranze e prevedendo approssimativamente il loro andamento nel corso del tempo, senza uno studio dettagliato con l’interesse di analizzarle come fine a se stesso.
Qual è la situazione delle minoranze nell’atlante su cui ha lavorato insieme ad altri studiosi di Tirana?
Anche noi abbiamo proiettato il ritmo statistico e in più abbiamo raccolto dati sul terreno, nelle aree dove queste minoranze tradizionalmente vivono. E la situazione non è cambiata di molto rispetto a 20 anni fa, a causa delle migrazioni verso l’estero che hanno moderato la crescita numerica. Ai tempi del regime vi era una tendenza a non far oltrepassare il 2%. Ma oggi vengono considerati tra le minoranze anche i valacchi e i rom, che sono considerate minoranze etno-culturali. I valacchi sono la parte rimanente di una popolazione nomade, romanizzata, che per secoli si sono occupati principalmente di pastorizia, poi in seguito si sono trasferiti in pianura e hanno iniziato a occuparsi di commercio. Durante la nascita del nazionalismo albanese hanno assunto un ruolo cruciale, integrandosi quindi nell’albanesità. Sono numerosi i valacchi infatti che noi consideriamo padri della nazione albanese. Di conseguenza, essendo molto ben integrati, anche la loro identità è molto flessibile e sempre più albanese. Ormai sono in pochi che parlano ancora la lingua. Un’altra minoranza che ha perso la propria lingua sono gli egiziani che, secondo alcuni studiosi, sono dei rom che prima di arrivare in Europa hanno soggiornato a lungo nell’Africa settentrionale, prendendo anche le caratteristiche fisiche delle popolazioni locali, per cui noi oggi li conosciamo come egiziani.
Dopo la pubblicazione dell’atlante delle minoranze, lei è stato vittima di attacchi pubblici. Cos’è avvenuto?
Sì, sono stati pubblicati circa 40 articoli contro di me sulla stampa albanese. Sono stato licenziato dalla mia cattedra all’Università di Tirana. Sono stato definito come “anti-albanese, intento a distruggere la nazione, intento a far aumentare la percentuale delle minoranze, a fare dell’Albania un Paese multietnico, come vogliono i nemici dell’Albania”. Ho ricevuto minacce e ricatti di tutti i tipi. D’altra parte è stato interessante, perché neanche le minoranze erano soddisfatte di questo atlante. I greci in particolar modo ritenevano di essere più numerosi.
La questione della minoranza greca è tra l’altro la più delicata in Albania…
Sì, c’è da premettere che in Albania se dici minoranza etnica, pensi subito ai greci. E da qui parte l’enorme banalizzazione del problema. I greci da parte loro rispondono con lo stesso estremismo, creando sempre una situazione conflittuale. Sono due tipi di nazionalismo che in qualche modo si alimentano l’un l’altro in maniera del tutto improduttiva per entrambi.
Di recente in Albania sono stati creati diversi gruppi attivi nello spazio mediatico del Paese che si oppongono al prossimo censimento in cui gli albanesi dovranno dichiarare anche la nazionalità e la religione. Cosa ne pensa di questo fenomeno?
Penso che stiano confondendo vari concetti. L’etnia, la nazionalità e la cittadinanza. L’etnia è quella che non può cambiare, la nazionalità è qualcosa di culturale e la cittadinanza ha a che fare con il legame del cittadino con il territorio dello stato in cui vive, o nel quale esercita i propri doveri civili, e gode dei propri diritti. La religione invece è qualcosa di personale, e nel caso dell’Albania sono dell’idea che la maggior parte della popolazione rimanga tuttora atea oppure abbia un approccio piuttosto pagano, superstizioso con la spiritualità e il religioso. Quello che si teme, da parte di chi si sta attivando contro il censimento, è infatti la manipolazione in maniera fittizia di questi dati, facendo ad esempio riferimento al fatto che al sud del Paese molti albanesi sono tentati di ottenere la cittadinanza greca per usufruire di vari vantaggi economici e amministrativi nello stato ellenico. Ma molta di questa gente ora vive effettivamente in Grecia, quindi bisogna chiedersi quanta incidenza avrà un’eventuale manipolazione. Ovviamente su questo c’è da aggiungere il punto di vista di alcuni nazionalisti greci che vedono il sud dell’Albania in termini ottocenteschi. Ma anche qui bisogna sottolineare che sono una minoranza, e si tratta di estremisti. Da quanto ho notato osservando il terreno, nelle zone limitrofe con la Grecia, vi è una tolleranza reciproca e un’ottima convivenza tra greci e albanesi, sono tutti bilingui e molto depoliticizzati. Quindi questo fa pensare che i problemi siano politici, creati dall’alto, ma che comunque possono poi sfociare in agitazioni e persino incidenti tra la popolazione. È da notare che tali fatti si verificano in particolar modo in prossimità delle elezioni, amministrative o politiche che siano.
Perché tanta chiusura tra gli albanesi, in vista del censimento?
Innanzitutto penso sia un fatto di inerzia del regime comunista. Continuiamo a vederci compatti, e la diversità sembra qualcosa di iconoclastico, di antinazionale. Poi ci sono i fantasmi geopolitici, la Grecia e il suo nazionalismo innanzitutto.
Che tipo di ruolo giocano i media in questa inerzia?
I media sono molto influenzati da questa mentalità. Anche quando cercano di essere imparziali. Nei talk show, ad esempio, si vede spesso che invitano due greci a dibattere con gli albanesi. I greci vengono sempre denigrati, smascherati, e finisce sempre che gli albanesi sono dalla parte del giusto. Questo non vuol dire che i media non sappiano essere professionali. Da tempo sono convinto del fatto che abbiamo degli ottimi giornalisti, ma i nostri giornalisti si esprimono diversamente quando li incontri in un caffè, mentre diventano quasi altre persone quando lavorano, dovendosi conformare ai dettami dei proprietari dei media, che a loro volta si orientano in base a determinati interessi e legami con i politici.
Perché viene utilizzato tanto l’alibi dell’Epiro del Nord, in quanto progetto politico dei nazionalisti greci che vogliono impossessarsi dell’Albania meridionale?
Si tratta di miopia nel XXI secolo. Innanzitutto tale progetto risulta sostenuto solo da una minoranza di estremisti in Grecia. Quindi non è un progetto politico come sembra si creda in Albania. Poi nel XXI secolo, il controllo di una determinata regione non si fa più con annessioni, guerre e a colpi di fucile, bensì con l’influenza e il controllo economico. I greci sono il secondo partner commerciale dell’Albania e sono onnipresenti al sud e ovunque nel territorio albanese, e anche a livello finanziario con numerose banche.
Dopo l’indipendenza del Kosovo sono emersi diversi gruppi nazionalisti in Albania. Pensa che si stia assistendo a un forte aumento del nazionalismo?
A mio avviso si tratta di un fenomeno passeggero. Il nazionalismo diventerà molto più moderato anche in Kosovo, dato che non se ne avrà più bisogno, e poi perché la gente dovrà fare i conti con problemi politici ed economici in maniera pragmatica. Nel corso degli anni ’90 temevo che l’Albania potesse cadere in una sorta di escalation nazionalistica, con conseguenze difficilmente prevedibili, data la situazione nel resto dei Balcani, e in Kosovo in particolar modo. Ma questo non è avvenuto e non penso che ora ci sia motivo di preoccupazione. In questo senso penso che l’indipendenza del Kosovo porterà più stabilità nei Balcani.
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