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La Romania, la piazza e la giustizia

Domenica 5 novembre migliaia di persone sono tornate in piazza in Romania per protestare contro la riforma della giustizia voluta dalla maggioranza di governo

07/11/2017, Mihaela Iordache -

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Tornano le proteste in Romania. Decine di migliaia di persone si sono riversate nelle strade delle principali città della Romania per manifestare contro i disegni di legge che intendono emendare varie leggi vigenti sulla giustizia, modifiche che a detta di chi si oppone indeboliranno gli sforzi compiuti dalle istituzioni sino ad ora contro una corruzione dilagante.

I manifestanti affermano che la maggioranza al potere sta tentando di sottomettere la giustizia alla sfera politica. Interpretata in tal senso anche la recente decisione del Senato di bloccare un disegno di legge che avrebbe impedito a chi ha subito una condanna penale di concorrere per la presidenza del paese. E proprio l’attuale leader del Partito Socialdemocratico, Liviu Dragnea, ha a suo carico condanne penali. Di fatto quest’ultimo sta operando come premier occulto, decidendo e cambiando i ministri a suo piacimento. Non ha potuto occupare direttamente la poltrona di primo ministro proprio per i suoi trascorsi con la giustizia – glielo impedivano le leggi vigenti.

Ma le leggi vigenti possono essere modificate e Dragnea sembra ormai voler mirare alla carica più alta del paese, quella della presidenza.

Chi scende in piazza denuncia una classe politica corrotta. Numerosi sono gli scandali che hanno portato alla luce patrimoni ingenti, accumulati in modo discutibile, proprietà immobiliari milionarie, fondi nascosti nei paradisi fiscali all’estero. E tutto questo contrasta con un paese, la Romania, che è il secondo più povero tra quelli dell’Unione europea.

La piazza

Almeno parte dei cittadini romeni sembra ormai convinta che solo le proteste di piazza possano portare il Partito Social Democratico (PSD) e il suo partner di governo, l’ALDE (Alleanza Liberal Democratica) a fare marcia indietro rispetto alle proprie intenzioni sulla giustizia.

Ziare.com scrive che “35.000 romeni sono scesi in strada per difendere la giustizia dai governanti”. Solo nella capitale Bucarest avrebbero protestato circa 15.000 persone secondo digi24, 20.000 secondo hotnews.ro – testate giornalistiche schierate contro le politiche del governo, guidato dal social-democratico Mihai Tudose.

Altre migliaia di manifestanti sono scesi in piazza a Cluj-Napoca, Brasov, Timisoara, Targu-Mures, Iasi e Sibiu. Ma anche a Roma, Parigi e Berlino vi sono state proteste della diaspora contro il governo romeno.

Sulle proteste a Bucarest, Associated Press sottolinea che la gente scandiva ”La democrazia è sotto assedio” e la Reuters rendeva noto che circa 12.000 persone hanno marciato davanti al Palazzo del Parlamento. AFP ha citato un medico romeno, Oana di 35 anni, che ha dichiarato di non poter più restare passiva “davanti al tentativo di indebolire l’indipendenza della giustizia”.

Alle manifestazioni hanno partecipato anche politici dell’opposizione: tra questi il presidente di “Uniti salviamo la Romania (USR)”, Dan Barna; il primo-vicepresidente del Partito Nazionale Liberale, Raluca Turcan; l’ex premier tecnocrate Dacian Ciolos. Quest’ultimo ha dichiarato ai giornalisti presenti di aver deciso di partecipare perché “si è toccato il limite”, ribadendo che non è importante se lui scenderà o meno nuovamente nell’arena politica ma che in qualche modo tutti i cittadini romeni che sono scesi in piazza, fanno politica interessandosi della Romania. “Non possiamo costruire benessere in Romania se non abbiamo un piedistallo solido di onestà, di onore e questo significa che la giustizia deve fare il suo lavoro”.

Dal canto suo la nota attrice romena Oana Pellea ha scritto sulla sua pagina Facebook: ”Sono stata ancora una volta in strada insieme a 20.000 persone. Ho gridato: ‘Vogliamo Giustizia, Non Corruzione!’ Sono stata faccia a faccia con le mura del governo e del Parlamento, ancora una volta”. Pellea costata poi con amarezza che ”nessuno ci ascolta, nessuno ci prende in considerazione”.

Le repliche governative

In modo molto rilassato Codrin Stefanescu, vicesegretario del PSD, ha affermato al quotidiano Adevarul che il motivo reale per cui 20.000 persone sono scese in strada a Bucarest e nelle grandi città del paese è perché il “sistema ha chiesto loro di farlo e perché sarebbero sotto l’influenza della nuova Securitate [la vecchia Securitate era la polizia politica di Ceaușescu], guidata da Laura Codruta Kovesi [a capo del Dipartimento Anticorruzione]”, cita il giornale Adevarul.

Stefanescu ha poi concluso affermando che il PSD è molto forte in questo momento e che “se chiede di scendere in piazza a quelli che ci amano e che capiscono che devono essere cambiate le leggi della giustizia e desiderano cambiare tutta questa miseria, questi rappresentano il 90% della popolazione”.

Il PSD nel dicembre scorso ha vinto le elezioni con circa il 45% dei voti. Una maggioranza schiacciante mitigata però dalla bassa affluenza alle urne, attorno al 40% degli aventi diritto: un minimo storico per le elezioni democratiche del dopo Rivoluzione. I Socialdemocratici hanno un elettorato stabile tra cui molte persone che vivono nella povertà e dipendono dai sussidi statali.

Ha promesso stipendi e pensioni più alti. Ma intanto quelli che sono aumentati sono stati i prezzi. A ottobre le principali sigle sindacali sono scese in strada e, se servirà, hanno promesso di ritornarvi. Tutto questo mentre il paese ha una crescita economica da record nell’Ue e paragonabile, nel mondo, con quella della Cina: le stime per il 2017 sono del 6,1% del Pil. Ma questo non si riflette nel benessere dei semplici cittadini.

Il noto giornalista Cristian T. Popescu, citato da Digi 24, ha affermato che negli ultimi 27 anni non si era mai visto un partito che andasse contro tutti gli organismi della giustizia, come accade ora con la coalizione PSD-ALDE. Secondo Popescu le proteste sono il risultato dell’assenteismo alle elezioni e “la gente si è decisa a scendere in strada per esprimere una sorta di voto, quello non dato alle politiche, contro una cosa reputata dannosa per il paese”.

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