La riforma dello stato sociale in Croazia
Un’interessante e attuale rappresentazione dello stato sociale in Croazia. Tra le varie questioni toccate nello sviluppo dell’approfondimento, vi sono: le riforme in corso, le connesse incertezze della popolazione e l’abolizione di alcune leggi di tutela sociale.
Quest’autunno è in corso in Croazia una riforma del sistema della sicurezza sociale molto profonda e allo stesso tempo caratterizzata da parecchi dubbi e controversie.
Durante il periodo governato dall’HDZ, il vecchio sistema socialista jugoslavo della sicurezza sociale aveva subito molti danni, tanto da venire quasi totalmente distrutto. E così il nuovo governo, che schiera nelle sue componenti di maggioranza partiti che nella propria denominazione possiedono la nozione "sociale" (si parla infatti dell’SDP – partito socialdemocratico, e dell’HSLS – Partito social liberale), dopo le elezioni del 3 gennaio ha ereditato una situazione piuttosto sconvolgente.
Nel decennio che ha visto guerra, privatizzazioni selvagge e recessione economica, il numero dei pensionati è più che raddoppiato ed è triplicato il numero dei disoccupati. Anche il sistema dell’assistenza medica è andato in rovina. Basterebbe un esempio: in questi ultimi giorni si discute molto delle 21 morti avvenute in diversi ospedali croati mentre si sottoponevano ad un trattamento di dialisi. A seguito di questo tragico fatto, la ministra della Sanità pubblica si è dimessa, sono state licenziate due direttrici di cliniche universitarie e altre persone sono state sottoposte a indagine. Ma non dobbiamo dimenticare che verso la metà degli anni novanta, soltanto nell’ospedale di Sisak morirono in pochi giorni 44 persone per cause più o meno identiche (e fatta eccezione per il settimanale Feral Tribune, nessuno ne ha mai fatto menzione).
Con un’economia nazionale parzialmente devastata dalla guerra, ma soprattutto per il mancato utilizzo produttivo del capitale ottenuto con il processo di privatizzazione. Senza questi capitali, "trasformati" quasi totalmente in denaro trasferito su conti bancari alle Isole Vergini ed altri istituti bancari esteri, il sistema sociale è diventato insostenibile. Tra i circa 4,3 milioni degli attuali abitanti sono solo 500 mila coloro che lavorano nella catena produttiva. Tutti gli altri lavoratori sono occupati presso le amministrazioni locali e i luoghi di servizio statale, oppure sono studenti, pensionati e disoccupati. Senza investimenti esteri non si vede alcuna possibilità di utilizzo proficuo delle risorse interne, e l’economia nazionale si trova in una situazione di crisi che si sta trasformando in un processo di permanente regressione. Uno dei partiti nella coalizione governativa, l’HNS, durante la campagna elettorale aveva promesso duecentomila posti di lavoro nuovi, ma senza investimenti significativi la promessa è condannata ad essere vanificata. D’altronde, concedere al paese aiuti umanitari non avrebbe alcun senso, principalmente per due motivi. Se si guarda la situazione bosniaca, che peraltro a differenza della Croazia meritava quell’aiuto – considerando le stragi avvenute durante la doppia aggressione subita negli anni ’90 – l’aiuto umanitario ha creato le basi di un sistema di vita assolutamente improduttivo. Dall’altra non si possono pretendere fondi umanitari per un paese, la Croazia, dove si vive relativamente bene. Così resta la via degli investimenti, che però sono mancati. Questo perché investire in Croazia non significa ottenere immediati profitti, a differenza delle aspettative che gli investitori possono realizzare, per esempio, nei paesi asiatici dove è basso il costo della manodopera e quasi nullo il livello di protezione legale dei lavoratori. E’ ovvio che se in Croazia si dovesse verificare un abbassamento del prezzo del lavoro, le opportunità di investimento diverrebbero più appetibili.
Sembra ancora esistere una fonte di speranza per il rinnovamento di questa economia moribonda: le istituzioni mondiali finanziarie guidate dal Fondo Monetario e dalla Banca Mondiale. Ma le condizioni che queste istituzioni impongono non concedono alcuna pietà e seguono solo la dura logica del mercato. E così si spinge per la diminuzione dei costi pubblici, la creazione della stabilità monetaria come precondizione per gli investimenti esteri, l’offerta di garanzie sul piano delle proprietà, l’adattamento del sistema legale alle necessità del mercato internazionale, ecc. In questo contesto non c’è nessun spazio per la sopravvivenza del vecchio sistema sociale, che da un lato è stato devastato e dall’altro è insostenibile senza un’economia nazionale fortissima.
Pertanto il governo sociale è costretto a seguire una politica di contrazione dei diritti sociali ereditati dal vecchio regime socialista. I diritti sul lavoro avevano subito una restrizione già nei primi anni del governo HDZ: era stata approvata una nuova legge sul lavoro, formalmente quasi identica alla legge tedesca, ma con alcune innovazioni rispetto al modello della Germania federale. Il risultato di tali innovazioni ha sostanzialmente emarginato i lavoratori rispetto al piano decisionale e gestionale dei contratti di lavoro. In ogni caso, il posto di lavoro è oggi diventato assolutamente incerto, con poche eccezioni nell’ambito della giustizia, del mondo universitario, e dei dipendenti del settore amministrativo statale. E’ ovviamente illegale, e talvolta anche punito, l’uso di manodopera non ufficiale (il cosiddetto "lavoro nero", rappresentato da dipendenti non assicurati né registrati presso le autorità statali e il fondo pensionistico) che purtroppo non rappresenta un fenomeno raro. La disoccupazione massiccia favorisce questa prassi, perché molti cittadini non hanno alcuna possibilità di scegliere – e pretendere – le condizioni di lavoro che spettano loro di diritto.
Sul piano del mondo del lavoro, il governo sta già ipotizzando una nuova iniziativa: la liberalizzazione dell’impiego di manodopera straniera. Perché in Croazia, nonostante l’alto numero di disoccupati, manca una determinata categoria di manodopera. Innanzitutto operai non qualificati (per il settore dell’edilizia) ma anche alcune categorie di operai specializzati, come i metalmeccanici del settore navale. Quello navale è infatti uno dei rari settori dell’industria croata che possiede una prospettiva reale di sviluppo, o almeno di rinnovamento, ma dove si registra una fluttuazione enorme di lavoratori attratti dagli stipendi più alti offerti loro in Occidente, in primo luogo in Italia. Lo stesso fenomeno sta sviluppandosi anche nel settore turistico, i cui operatori conoscono bene le lingue straniere e danno maggiori disponibilità di "adattamento" dei colleghi italiani. Perciò, l’intenzione è quella di rendere possibile un ingresso facilitato a operai specializzati dell’Ucraina (provenienti dai cantieri navali nel Mar Nero) e della Serbia (con manodopera qualificata delle industrie metalmeccaniche devastate dai bombardamenti NATO, di Kragujevac e di industrie simili). Questa iniziativa porterebbe chiaramente ad una diminuzione del prezzo del lavoro qualificato e – come alcuni sperano – potrebbe aprire la strada agli investimenti esteri. Ad oggi questa discussione non è ancora argomento di dibattito pubblico, ma se ne possono già comprendere le connotazioni politiche.
Rispetto ad altre "ristrutturazioni" in corso, la diminuzione del personale statale è iniziata soltanto dopo la svolta dal 3 gennaio 2000. Si tratta della razionalizzazione delle forze di polizia e delle forze armate, che nel periodo precedente erano state sovradimensionate. Questa decisione, finora realizzata solo simbolicamente, ha prodotto un certo malcontento in parte politicamente strumentalizzato. In realtà questa contrazione dei posti di lavoro pubblici non ha diminuito in senso assoluto il numero dei lavoratori, nonostante le richieste del Fondo Monetario Internazionale, e nemmeno il numero dei disoccupati che dal 3 gennaio è salito del 30%.
Un profondo cambiamento è in atto anche sul piano della protezione sociale di alcune categorie. Alcune leggi di tutela sociale sono già state abolite, come la diminuzione dei diritti delle donne in maternità (diminuzione dell’aiuto sociale ai neonati e del periodo di maternità retribuito per le madri), mentre altre riforme sono in fase di dibattito parlamentare. Alcuni diritti sociali dei veterani e degli invalidi di quella che viene ancora definita "Guerra patriottica" sono stati ridimensionati, anche se la pensione di queste categorie è rimasta in media tre volte superiore ad una normale pensione di anzianità.
Le riforme più profonde e più dolorose riguardano il sistema dell’assistenza sanitaria. Ad eccezione dei minori fino a 14 anni di età, ben pochi servizi sono rimasti gratuiti. La partecipazione alle spese mediche, che non è calcolata in base alla condizione sociale del cittadino ma al tipo di assistenza medica utilizzata, varia tra il 15 e l’80% del costo del servizio. L’assistenza dentistica è stata praticamente abolita. Ogni assicurato è chiamato a partecipare ai diversi sistemi (privati o semiprivati) di assicurazione medica e sociali integrativa, per cui solo chi paga di più si può aspettare di ottenere un’assistenza migliore (senza entrare poi nel merito della corruzione in uso nei presidi ospedalieri, storia ben diversa e molto più triste).
In contemporanea, procede anche la riforma del sistema pensionistico. Con la riforma da poco votata in Parlamento, una parte della percentuale che lo Stato detraeva sul lordo dello stipendio per versarlo nel fondo statale pensionistico (19,5%) potrà ora essere "gestita" diversamente. Infatti, dall’inizio del 2002 ai lavoratori con meno di quarant’anni di età verrà detratta una percentuale minore (14,5% – detto primo livello di partecipazione) per il fondo statale, mentre il restante 5% (detto secondo livello di partecipazione) verrà gestito da compagnie di assicurazione private. Mentre per lavoratori con più di cinquant’anni di età rimarrà in vigore il precedente sistema, per la fascia di età tra i 40 e i 50 anni viene data la possibilità di decidere (entro fine giugno 2002) se rientrare nella riforma o meno. Al "terzo livello" di cui si parla nella legge, viene ripreso il concetto della partecipazione volontaria – addizionale e quindi totalmente a carico del lavoratore – che rispecchia il concetto che chi pagherà di più prenderà di più. Questo nuovo sistema assicurativo viene realizzato tramite compagnie locali, ma soprattutto austriache e tedesche. La compagnia più presente sul mercato delle assicurazioni pensionistiche è l’austriaca Allianz (che alla fine di ottobre è diventata – assieme all’ italiana Unicredito – proprietaria di maggioranza del più grande istituto bancario croato, la Zagrebacka Banka), accanto alla Grawe e alla Raiffeisen.
A proposito delle riforme sociali in atto, le attività sindacali sono bloccate su due fronti. Da un lato vi è il gruppo sindacale raggruppato soprattutto nell’HUS (Unione sindacale croata) vicinissima all’HDZ e al "Blocco croato". Essi protestano formalmente – anche se appellandosi ad argomenti più che ragionevoli – contro le restrizioni di questi diritti sociali, ma la loro retorica risulta fortemente contaminata da strumentalizzazioni politiche. Infatti, non avevano mai protestato ai tempi in cui l’HDZ distruggeva l’economia nazionale e aboliva alcuni diritti lavorativi e sociali fondamentali. Dall’altro lato si ha la federazione più influente e massiccia, l’SSSH (Associazione dei sindacati indipendenti della Croazia) troppo vicina all’SDP e in un certo qual senso limitata dal fatto di essere politicamente "vicina" al governo attuale. Questi ultimi protestano, è innegabile, ma chiedendosi anche a chi servono le proteste e quale via debbano seguire per convincere il governo ad adottare una politica di reale protezione dei diritti in oggetto. Il presidente dell’SSSH – Davor Juric – ha dichiarato da tempo e più volte che il patto sociale tra sindacato e governo deve essere ripensato. Ma finora tutto è rimasto sul piano dello scambio verbale, senza produrre conseguenze concrete o azioni che riescano almeno a denunciare efficacemente gli imprenditori che violano gli accordi esistenti o le leggi in vigore.
Si apre infine la questione cruciale: in quale misura la riforma sociale aprirebbe la strada per un rinnovamento economico del paese? E’ evidente che il sistema sociale ereditato – un tempo efficiente – è definitivamente condannato a morte. In Croazia si lavorerà di più e probabilmente si potrà guadagnare meno, si pagherà di più per la sanità e forse la qualità delle cure peggiorerà rispetto ai livelli odierni. Ma molte cose dipenderanno senz’altro dalla situazione economica: una rinascita dell’economia non rappresenta certo la garanzia per eccellenza, ma è una precondizione sicuramente necessaria per la ricostruzione dello stato sociale (sempre che lo stato sociale possa sopravvivere persino nei paesi occidentali usati a modello).
Vedi anche:
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