La post-Jugoslavia di Marko Vidojković
Universi paralleli, in cui si incontrano Jugoslavia e post-Jugoslavia, dove un Tito 2.0 è alla guida di una nuova rivoluzione socialista. Lo scrittore Marko Vidojković racconta il suo ultimo romanzo, in vetta alle classifiche serbe
(Originariamente pubblicata dal quotidiano montenegrino Vijesti , il 3 dicembre 2017)
Lo scrittore Marko Vidojković è noto all’opinione pubblica dei paesi ex-jugoslavi per le sue critiche, acute e taglienti, nei confronti della società, la classe politica e la cultura di oggi. Ha esordito sul finire degli anni Novanta con racconti brevi apparsi su numerose riviste belgradesi, ha dato alle stampe una decina di libri, tra cui il romanzo “Kandže” [Artigli, 2004], diventato un cult della nuova letteratura serba. Accanto all’attività strettamente letteraria, è stato editorialista per diverse testate indipendenti, nonché direttore dell’edizione serba di “Playboy”, ed è tuttora molto attivo come giornalista freelance. Chitarrista appassionato di punk, anticonformista, ribelle, è attivamente impegnato e, come afferma lui stesso, lo sarà sempre, in iniziative civiche e proteste contro il potere autoritario. Abbiamo parlato con Marko del suo ultimo romanzo, in cima alle classifiche dei titoli più venduti in Serbia, ma anche di Jugoslavia, Tito, politica, coraggio, cultura, futuro dei media…
Il suo ultimo libro “E baš vam hvala” [Ma grazie tante] parla dell’inaspettato incontro tra due universi paralleli, uno in cui la Jugoslavia esiste ancora e l’altro costituito dalla nostra realtà post–jugoslava. Come riassumerebbe la trama del libro per chi fosse ancora indeciso se leggerlo o meno?
Questo libro offre ai popoli jugoslavi una delle rare vittorie dopo quasi tre decenni di pesanti sconfitte storiche. È un romanzo partigiano di fantascienza in cui l’onnipotente JNA (Esercito popolare jugoslavo, ndr) trasforma, in modo veloce ed efficace, la nostra precaria quotidianità, segnata dalla transizione, in una nuova rivoluzione socialista. Per chi si ricorda della Jugoslavia, probabilmente sarà interessante leggere cosa le è successo in un universo in cui non è mai avvenuta la sua dissoluzione, e chi non ricorda la Jugoslavia avrà la possibilità di penetrare nel modo di pensare e agire degli autentici comunisti jugoslavi, sia quelli del passato sia questi che abitano la realtà parallela.
Recentemente ha dichiarato, riferendosi all’ex Jugoslavia, che “l’intero paese poggiava su un mito costruito intorno a un uomo”. A ben guardare, la situazione attuale non è molto diversa, almeno per quanto riguarda il Montenegro. In che cosa si differenzia il modo di governare di Tito da quello di Milo Đukanović?
Si differenzia per il fatto che Milo, almeno in teoria, può essere sconfitto alle elezioni democratiche. Si differenzia anche perché Tito non ha mai usato il suo potere per procurare a se stesso e alla sua famiglia una ricchezza materiale, il che non si può dire di Milo, Vučić e altri loro simili oligarchi balcanici. Potrei andare ancora avanti a elencare, ma già questi due esempi evidenziano quanto l’epoca di Tito e quella di Milo siano incomparabili tra loro.
Tito è oggi per molti sinonimo di qualcosa di migliore, più forte, più solido… quasi un’icona. Per quale ragione, secondo lei? Come mai questa rinnovata propensione verso l’esaltazione del culto della personalità?
Molte persone rimpiangono Tito perché tendono a identificare la sua figura con un’epoca in cui hanno vissuto, per l’ultima volta, una vita decente e dignitosa. È molto difficile affrontare il nostro presente degenerato e il recente passato sanguinoso. Alcune persone fuggono negli universi paralleli, metaforicamente parlando, per trovarvi salvezza. Altre, invece, fuggono nel lontano passato, risuscitando Tito, senza rendersi conto che proprio in questo tipo di idolatria risiede la ragione principale per cui il comunismo, ovvero il socialismo jugoslavo non riuscì mai a imboccare una via di sviluppo autonoma, svincolata dal culto del leader.
Tito 2.0 del suo romanzo è una versione “aggiornata“ del personaggio storico e il suo compito è di incoraggiare i cittadini, con la sua riapparizione, a lottare per se stessi. Ritiene che la società odierna abbia bisogno di un tale leader?
Là dove c’è un leader non c’è democrazia. Un leader non è altro che un comandante: si aspetta il suo ordine, si obbedisce alla sua parola, si smette di usare il proprio intelletto. Il bisogno di leader è una caratteristica della società primitiva, ma se ci guardiamo intorno, ci rendiamo conto che oggigiorno l’idea di essere guidati da un leader è comunemente accettata in tutto il mondo. Tito 2.0 arriva dall’universo jugoslavo a quello nostro per preparare la popolazione locale a deglutire più facilmente “la pillola” rivoluzionaria che i comunisti jugoslavi cercheranno di spingerle con forza in bocca.
Cosa ne pensa di un’eventuale riunificazione dei paesi dell’ex Jugoslavia? È un’idea che ogni tanto viene tirata fuori, e non solo nel contesto di un lega regionale di calcio…
Non penso che si debbano toccare ferite ancora aperte, e innanzitutto non penso che la Jugoslavia debba essere ricomposta dalla stessa banda che la distrusse. Ci manca solo che gli ex komunjare [spregiativo di comunista, ndr], che così entusiasticamente indossarono uniformi nazionaliste, ora ricomincino a travestirsi da jugoslavi, nel tentativo di accattivarsi la simpatia di una popolazione sfinita.
Non dobbiamo rimpiangere la Jugoslavia, bensì essere dispiaciuti del fatto che non abbia resistito alle sfide della storia. Quel paese era ipocrita e misero, altrimenti non sarebbe stato possibile distruggerlo in quel modo. Penso che solo quando non ci sarà più nessuno che si ricordi della Jugoslavia le nuove, giovani generazioni potranno pensare a un’eventuale riunificazione dei popoli jugoslavi, legati da un passato comune, da una stessa mentalità e lingua.
Per quanto riguarda il calcio, non mi interessa alcuna lega regionale, perché ormai tutte le gare sportive sono truccate, i tifosi pagati e i dirigenti dei club corrotti. In questo momento, la creazione di una lega regionale di calcio non farebbe altro che scatenare ulteriore odio. Come abbiamo potuto vedere dall’esempio della cosiddetta lega adriatica di pallacanestro, una riunificazione degli jugoslavi, anche solo nel basket, risulta divertente solo per un periodo di tempo limitato, facendo emergere quanto i paesi della regione siano ancora distanti tra loro, per quanto interconnessi possano essere i popoli che li abitano.
Durante la presentazione del suo ultimo libro, tenutasi recentemente a Podgorica, ha detto che il coraggio non deve essere identificato con l’esercizio della libertà di opinione, ovvero con la libera manifestazione del pensiero. Oggi invece è considerato un atto di coraggio distaccarsi dalla massa e far sentire la propria voce, esprimere un’opinione che non sia prefabbricata…
Ma questo non è coraggio, è la cosa più normale del mondo. Denunciare ciò che non funziona, soprattutto quando molte cose non funzionano… In un’epoca di vigliaccheria e ottusità dilaganti, persino le cose così normali sembrano eroiche. Il fatto di essere circondati da una folla di vigliacchi non fa di noi degli eroi.
Quali sono le difficoltà con cui è costretto a confrontarsi per via delle sue posizioni critiche e controcorrente?
Il persistente boicottaggio della mia attività letteraria da parte di tutte le istituzioni pubbliche e dei media mainstream, compreso un sistematico ostruzionismo nei confronti dei miei tentativi di ottenere risorse che mi aiuterebbero a condurre un vita decente. Il mio ultimo romanzo è in cima alle classifiche dei titoli più venduti nelle librerie serbe, eppure sono riuscito a fare solo una presentazione in Serbia, a Šabac, che è una città guidata dall’opposizione. Nella maggior parte dei casi le presentazioni dei libri vengono finanziate da gruppi locali, o persino da singoli membri dei partiti al governo, e dal momento che i mass media, i centri culturali e le biblioteche serbe continuano a ignorarmi, spingendomi in tal modo ai margini della vita sociale, e che i prezzi dei libri sono molto bassi, è illusorio sperare di poter vivere di sola scrittura, a prescindere dal numero di copie vendute.
Cosa pensa della cultura odierna? Quanto sono diverse le abitudini culturali dei giovani di oggi da quelle delle generazioni più vecchie?
Le vecchie generazioni sono più colte perché sono cresciute in una società in cui si sapeva che cos’è l’arte, il mainstream, l’avanguardia, l’alternativa… I giovani di oggi di solito sanno soltanto chi è il ragazzo che gioca ai videogiochi al posto loro e poi pubblica i filmati su YouTube, o chi è la ragazza che viene pagata per reclamizzare prodotti cosmetici e di abbigliamento mentre finge di girare un vlog. I giovani, almeno in Serbia, sono abbandonati a se stessi, e non sempre per colpa dei loro genitori sfiniti. L’istruzione pubblica è al collasso, ed è il principale meccanismo sociale per far crescere sane le nuove generazioni. Gli insegnanti e i professori universitari, nella stragrande maggioranza, sono apatici, di vedute anacronistiche e inclini alla corruzione, e solo pochi si sforzano di insegnare ai ragazzi anche qualcosa sulla vita. E in quale misura ci riescono lo dimostra il fatto che oggi più della metà dei ragazzi usciti dalle medie vuole iscriversi a una scuola superiore medico-tecnica, per poter emigrare al più presto, con quel diplomino, nell’Europa nord-occidentale.
Pensa che l’unica salvezza della società odierna risieda nella fantascienza, nella fuga in un universo parallelo dove ogni problema viene risolto da “unità speciali”? Può la nostra società creare queste unità da sola?
Non le unità speciali come quelle del mio libro, tra i cui compiti principali rientra quello di uccidere. La nostra società non deve creare unità speciali composte da comunisti spietati, né aspettarsi che vengano da altrove, perché i portali verso universi paralleli esistono solo nei libri e nelle serie tv. Deve fare qualcosa di molto più facile, qualcosa che la Serbia aveva conquistato, lottando, ormai un secolo fa. I nostri paesi devono tornare a essere moderne democrazie imperniate sui valori civici, in cui vige il massimo rispetto dei diritti umani. Questi ideali sono molto più vecchi dell’Unione europea, sono le fondamenta della civiltà moderna. Purtroppo, sono pessimista al riguardo, e in che misura lo dimostra anche il mio ultimo libro, la cui idea principale è che l’unica via d’uscita veloce dai nostri problemi accumulati sta nella fantascienza.
Da diversi anni lavora anche come giornalista, attualmente è autore e conduttore della trasmissione “Dobar, loš, zao” [Il buono, il brutto e il cattivo] in onda su Tv Šabac. Come vede il futuro dei media?
Internet è l’unico media libero al mondo. Se i media convenzionali, che hanno redazioni e budget predefiniti, vogliono sopravvivere in un altro modo e non solo grazie alle inserzioni ricevute dalla mafia statale come premio in cambio della loro obbedienza, devono fare i conti con il fatto che al giorno d’oggi, grazie al live streaming, chiunque abbia un cellulare può trasformarsi in reporter in diretta. Le fake news hanno le gambe corte, perché qualsiasi spin mediatico può essere smascherato sui social network nell’arco di quindici minuti. Quindi, i media devono capire in che tempi viviamo e adattarvisi, altrimenti continueranno a fungere da bacheca di annunci al servizio degli oligarchi, precipitando verso la propria rovina definitiva.
Come sono legati giornalismo, letteratura e arte? Lei pratica tutti e tre i mestieri…
Sono legati per forza. Mi piacerebbe di più se potessi dedicarmi esclusivamente alla letteratura e alla musica, quindi all’arte. Ma siccome quella è una strada sicura versa una rovina materiale, ho fatto un piccolo compromesso volgendomi al giornalismo, in modo da poter sopravvivere in questo mondo crudele. Un artista deve spaziare su più campi, fare più lavori contemporaneamente, per poter sopravvivere, al contempo cercando di non mettere a repentaglio la qualità della sua produzione artistica.
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