La polifonia dell’Ensemble Mze Shina
Nessuno di loro ha origini georgiane, eppure si occupano da più di vent’anni di musica polifonica georgiana. Il nostro critico musicale ci presenta il secondo album degli Ensemble Mze Shina
La polifonia della Georgia rappresenta un genere unico al mondo; riferibile non solo ai centri che fanno capo a Tbilisi, ma anche a molti altri paesi del Caucaso e dei Balcani. È figlia di musiche che affondano le loro radici ai primi uomini che abitarono le terre che circondano il Mar Nero; l’Unesco ha peraltro scelto di preservarla come patrimonio dell’umanità, parafrasando quel che accade con altri generi più blasonati, come il blues, il tango e il bluegrass. Ecco perché si continuano a produrre dischi incentrati su queste musiche.
Oggi, in particolare, rendiamo omaggio al secondo disco dell’Ensemble Mze Shina , gruppo costituito da quattro elementi: Denise e Craig Schaffer, Nicolas Leguet e Ronan Mancec. Come si evince dai nomi, non sono musicisti di origine georgiana; eppure si occupano di canto polifonico georgiano da più di vent’anni: come interpreti, compositori, e soprattutto come studiosi e amanti di questa realtà pentagrammata.
La loro storia inizia in Francia, a Rennes, dove si incontrano per la prima volta; due sono francesi, uno è peruviano e uno è californiano. C’è subito sintonia, dettata dalla passione comune per una terra che osservano da lontano, ma sentono viva nel loro sangue. Come esprimono durante le performance dal vivo, qui un assaggio .
Questo loro secondo album è un tributo a Polikarpe Khobulava, leggendaria figura musicale della Mingrelia, un’area della Georgia abitata da un gruppo etnico indigeno, che risente delle secolari relazioni culturali e sociali evidenziate dalla vicina Abkhazia e dalla regione montuosa della Svanezia. Khobulava (scomparso nel 2015 all’età di 90 anni) ha dedicato tutta la sua vita alla diffusione della musica georgiana e ha contribuito in modo determinante all’arricchimento del canzoniere folk di questo paese caucasico.
Il disco è proposto all’interno di una rappresentazione teatrale incentrata sull’esecuzione di brani polifonici, già presentata in vari paesi europei. Ma ci sono differenze rispetto alla polifonia tradizionale. Di solito i cori georgiani sono caratterizzati dalla partecipazione di molte persone; difficilmente contano appena quattro elementi. In questo caso, invece, l’Ensemble Mze Shina supera i paradigmi della tradizione, impiegando le voci in modo differente, sperimentando.
“Shen khar Venakhi” è un pezzo religioso, affrontato anche da molti altri gruppi corali della Georgia. La sua bellezza sta nella capacità di suscitare emozione, ma anche raccoglimento, proprio come accade quando si propongono inni sacri. “Tsimindao Hmerto” è altrettanto coinvolgente, ma incute più soggezione, spingendo l’acceleratore su un incedere cupo e profondo.
Complessivamente sono ventiquattro i brani, perfettamente riassunti dall’affascinante copertina, che ritrae i musicisti alle prese con una sorta di rito di iniziazione; mentre in quella precedente era esplicito il rimando ai colori e ai profumi della Georgia, con la raffigurazione di tipiche case in legno, ai piedi di ripidi e selvaggi pendii.
L’album non contiene solo cori a cappella, ma anche timidi accompagnamenti effettuati da strumenti tradizionali come il il chongur e il panduri. Appartengono entrambi alla famiglia dei liuti e si suonano in Georgia da secoli. Il primo, in particolare, risale al dodicesimo secolo e rimanda al culto dei sufi, i mistici turchi da sempre debitori del respiro musicale georgiano.
Il disco si intitola Odoia ed è stato distribuito dall’etichetta Buda Musique che si occupa da venti anni di world music, e presenta in archivio più di 400 dischi.
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