La pittura di Petar Dobrović, uno spettacolo di luci e colori
A Belgrado è in mostra Petar Dobrović, uno dei più grandi pittori serbi e jugoslavi del periodo tra le due guerre, la Galleria che porta il suo nome ha dedicato una mostra dal titolo "Visioni coloristiche", in occasione del 130esimo anniversario della sua nascita. Božidar Stanišić ci racconta Dobrović
Se quest’estate doveste riuscire a ottenere il passaporto Covid e se dovesse venirvi in mente di uscire dall’Italia e intraprendere un viaggio nella regione post-jugoslava, e se durante questo viaggio doveste recarvi a Belgrado, non perdete l’occasione di visitare la mostra “Kolorističke vizije” [Visioni coloristiche] dedicata al pittore Petar Dobrović, inaugurata lo scorso 20 aprile. Una piccola mostra (27 oli su tela e su cartone), un grande piacere: uno spettacolo di colori e luci. La galleria “Petar Dobrović”, che ospita la mostra, si trova in via Kralja Petra 36/IV ed è aperta dalle 11:00 alle 18:00 tutti i giorni, tranne la domenica e il lunedì. Se la situazione relativa al coronavirus dovesse migliorare, nella galleria, recentemente ristrutturata, avrete a disposizione anche una guida esperta.
Vi raccomando di procurarvi il catalogo della mostra (96 pagine) in cui troverete, tra l’altro, un interessante saggio, scritto molto bene, sulla vita e le opere di Petar Dobrović. L’autrice del saggio è Danijela Bajić Obućina, esperta “colpevole” della mostra “Visioni coloristiche” il cui obiettivo, in un certo senso, è quello di “avvicinare Dobrović alle nuove generazioni”. Se non siete “jugo-poliglotti”, ovvero se non parlate né serbo né croato né bosniaco né montenegrino, non preoccupatevi: il catalogo della mostra, intitolato “Le visioni coloristiche di Petar Dobrović”, è stato tradotto in inglese.
La collezione memoriale e la galleria di Petar Dobrović
Una cinquantina di anni fa, la moglie di Petar Dobrović, Olga, e suo figlio, Đorđe, donarono alla città di Belgrado una vasta collezione di dipinti e disegni realizzati dall’artista. Così nacque la Collezione memoriale di Petar Dobrović che oggi contiene 1407 opere, tra cui 360 oli su tela, 14 acquerelli, 19 pastelli, 29 dipinti a tempera e 955 disegni realizzati da Dobrović, nonché 30 opere di altri artisti. Grazie alla dedizione di Olga e al suo impegno per valorizzare la produzione artistica del marito, nella collezione è stata inclusa anche una ricca documentazione su Dobrović, che Olga per anni ha raccolto e analizzato. Nel 1974 il comune di Belgrado, su iniziativa di Olga, decise di fondare la galleria “Petar Dobrović”, che rimase parte integrante del Museo d’Arte contemporanea di Belgrado fino al 2017, quando la gestione della galleria fu affidata alla Casa delle collezioni memoriali.
Una nota importante: se il Covid 19 dovesse nuovamente diventare un ostacolo ai viaggi, nella galleria “Petar Dobrović” verranno organizzate, con cadenza annuale o biennale, mostre (virtuali) focalizzate su alcuni temi ricorrenti nella produzione artistica di Dobrović. Quindi, grazie alla generosità della famiglia di Dobrović, le sue opere resteranno sempre visibili al pubblico.
Dobrović, vita e opere – nei vortici del tempo
Petar Dobrović nacque nel 1890 a Pécs, in Ungheria, da una ricca famiglia di commercianti di origine serba (la famiglia Dobrović è originaria di Daruvar). Figlio primogenito, fu chiamato con il nome del padre. La madre del pittore, Irena Hajgl, di nazionalità tedesca, proveniva dalla città di Siklos, in Ungheria. Dopo aver concluso gli studi liceali nella sua città natale, Petar si trasferì a Budapest dove dal 1909 al 1912 studiò pittura. In quel periodo l’arte ungherese subì una profonda metamorfosi. Dobrović ebbe la fortuna di trovarsi nel “vortice” di un momento storico caratterizzato da tendenze moderniste e correnti d’avanguardia che influenzarono fortemente anche gli ambienti culturali di Budapest che proprio all’inizio del Novecento conobbe il suo periodo d’oro. Petar Dobrović e Vladimir Filakovac furono gli unici studenti della loro generazione ad essere selezionati per partecipare ad una mostra grazie alla quale i loro nomi vennero inclusi in numerosi dizionari dell’arte ungherese. “Fu un pittore sincero e irremovibile nei suoi principi… e fanatico! Con quanta convinzione e slancio prendeva in mano il pennello!”. Con queste parole Filakovac ha ricordato l’amico Petar Dobrović.
L’arte di Dobrović fu influenzata in modo determinante dalle idee del suo professore Károly Ferenczy – un fervente sostenitore della pittura en plein air e oppositore dell’accademismo e dello storicismo – nonché dal suo primo soggiorno a Parigi nel 1912. Fu proprio in quell’occasione che Dobrović si avvicinò all’estetica modernista, in primis quella di Cézanne e dei cubisti, sperimentando tutto il fascino dei veri dibattiti sull’arte. Sempre nel 1912 tenne la sua prima mostra personale a Pécs. Fino alla fine del 1914 ritornò spesso a Parigi dove, come anche durante il suo primo soggiorno nella capitale francese, la sua vera dimora era il Montparnasse, ovvero i locali “La Coupole” e “Café du Dôme”.
Durante la Grande guerra, la pittura di Dobrović subì l’influenza dei grandi maestri: Tiziano, El Greco, Mantegna. Verso la fine della guerra Dobrović venne mobilitato, partecipando alla rivolta del 6° reggimento di fanteria scoppiata nel 1918 a Pécs. Fu arrestato, ma nel “vortice del momento”, cioè nel caos generale scatenato dalla rivoluzione di Béla Kun, riuscì a scappare trovando rifugio a Novi Sad. Fu lì che, ospite della famiglia Hadži, conobbe Olga, sua futura moglie, che all’epoca era ancora una bambina.
Nel 1919 Dobrović tornò nuovamente a Parigi, dove partecipò, insieme ad un gruppo di artisti jugoslavi, ad una mostra organizzata al Petit Palais. Poi si recò a Zagabria dove tenne la sua prima mostra personale nel Regno dei serbi, croati e sloveni. L’anno 1920 lo trascorse tra Belgrado e Dubrovnik. Nel 1921 si recò a Firenze, poi sull’isola di Lesina (Hvar) dove trascorreva le sue giornate in compagnia dell’amico Miloš Crnjanski e del poeta Sibe Miličić. Poi…
La Storia e il “commediante Caso”, come lo chiamava Crnjanski, resero Dobrović protagonista dei turbolenti avvenimenti accaduti nella regione di Baranja nell’agosto del 1921. Dobrović prese una decisione apparentemente inaspettata, diventando presidente della neoproclamata Repubblica serbo-ungherese di Baranja-Baja i cui vertici chiedevano che quella regione venisse annessa al Regno dei serbi, croati e sloveni. Mentre Dobrović era a Belgrado, partecipando ai negoziati, l’effimera repubblica scomparve sette giorni dopo la nascita. Il pittore-presidente fu condannato a morte in contumacia, trovandosi così costretto a rimanere nella capitale del Regno. La condanna a morte inflitta a Dobrović non fu mai annullata da nessun governo ungherese del periodo tra le due guerre mondiali.
Dopo essersi tirato fuori dai “vortici dei momenti” della Storia in Movimento, Dobrović decise di abbandonare definitivamente la politica e di dedicarsi prima di tutto alla pittura, ma anche all’attività pedagogica come insegnante presso l’Istituto d’Arte di Belgrado, partecipando inoltre a eventi e dibattiti culturali, nonché alla fondazione di numerose riviste, e socializzando con artisti e intellettuali di sinistra (Krleža scrisse alcuni splendidi saggi su Dobrović). La moglie Olga e il figlio Đorđe gli rimasero sempre accanto. Scriveva testi di critica d’arte in tedesco per il quotidiano Pariser Deutche Zeitung. Intraprese numerosi viaggi in Europa (Francia, Paesi Bassi,…), soggiornando spesso nel sud, soprattutto nel villaggio di Mlini, nei pressi di Dubrovnik, dove rinacque come pittore.
Imperituro ammiratore del sole, Dobrović morì nel 1942, nel grigiore della Serbia occupata. Continuò a dipingere anche “nel vortice” di quel momento storico, firmando i suoi quadri solo in cirillico in segno di protesta contro l’occupazione nazifascista.
La maturità artistica di Dobrović – Visioni coloristiche
La scelta delle opere esposte alla mostra “Visioni coloristiche” ci offre l’immagine di un artista che aveva trovato una propria gamma di colori nel paesaggio mediterraneo. Ovunque si recasse (Firenze, Fruška gora, Paesi Bassi, Francia, …), Dobrović dipingeva rimanendo fedele alla poetica del suo espressionismo luminoso. In quegli anni raggiunse la sua piena maturità artistica, focalizzandosi completamente sulla luce e sui colori.
Dopo una mostra tenuta al locale “L’Escalier“ a Parigi nel giungo 1927 e dopo un viaggio a Cagnes-sur-Mer insieme al pittore Milan Konjović dove, come sottolinea l’autrice del catalogo, sperimentò una svolta coloristica, Dobrović divenne un tutt’uno con il paesaggio di Dubrovnik. Se Dobrović rinacque, come pittore, sotto il cielo del sud della Francia, i suoi “primi passi” li mosse sotto il cielo dell’Adriatico.
Sembra che proprio nel villaggio di Mlini, nei pressi di Dubrovnik, Dobrović avesse trovato un ambiente in grado di placare la sua irrequietezza creativa, sperimentando la vera gioia della creazione artistica. Aveva allestito il suo studio all’interno di un vecchio multino, facendo però della natura il suo vero atelier, dipingendo all’aria aperta, in un’atmosfera dominata da un’intensa luce e dai colori mediterranei. Così nei dipinti di Dobrović una luce che non può essere colta all’interno di uno studio, bensì solo all’aperto, si intreccia con i colori vivaci passati attraverso il filtro dell’intuizione e dell’intelletto dell’artista, un filtro usato, come sosteneva lo stesso Dobrović, per concretizzare “le leggi mistiche della natura“.
Post scriptum
Concludo questo articolo commemorativo con la solita “lamentela“, ovviamente antipatriottica: se ad uno dei sostenitori dell’eurocentrismo dovesse venire in mente di organizzare una mostra – non importa dove (scelga pure tra Parigi, Monaco di Baviera, Vienna, Amsterdam, Belgrado, Zagabria, …) – dedicata alla pittura del XX secolo nelle “periferie del Vecchio continente“, molti scoprirebbero quanta qualità artistica “nascondono“ le gallerie polacche, ceche, romene, ungheresi, slovacche, nonché quelle della regione post jugoslava. Se l’intelletto di Newton venne risvegliato da una mela cadutagli in testa, per risvegliare “l’intelletto“ degli eurocentristi (e di eurocentristi ce ne sono anche nelle periferie!), basterebbe un’anguria?
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