La piccola Cinecittà sull’Adriatico
Dai primi anni ’60, per trent’anni, a Pirano sono stati attivi degli importanti studi cinematografici. Si è chiusa da poco una mostra che li ha ricordati senza trionfalismi, sottolineando l’esperienza cinematografica della cittadina istriana
“Abbiamo avuto la possibilità di collaborazioni internazionali, vantaggi economici, l’occasione di crescere professionalmente – purtroppo, non siamo stati capaci di mettere a frutto questa esperienza”. Questa amara constatazione, scritta in prima persona, accoglie il visitatore all’inizio della mostra “Piran v filmu – Pirano nei film”, che si è chiusa lo scorso 18 gennaio 2015.
“Piran v filmu”, ideata dalla studiosa ed ex ministra slovena della Cultura Majda Širca, ripercorre un’esperienza di successo, come quella degli studi cinematografici aperti a Pirano nei primi anni ’60 del ‘900, che per più di trent’anni hanno ospitato decine e decine di produzioni cinematografiche e televisive, sia dell’ex Jugoslavia che internazionali.
Gli studi vengono aperti negli spazi di una fabbrica di sapone dismessa; i bassi costi del lavoro, la disponibilità di professionalità locali, gli sfondi naturali splendidi, tutto contribuisce a rendere allettante l’offerta per le molte produzioni straniere del tempo. Pirano si trova così, nel secondo dopoguerra, al centro di un’intensa attività cinematografica, vengono ospitati attori e registi spesso di fama internazionale, da Orson Welles a Sam Peckinpah, e vi vengono girati decine di film, di tutti i tipi e di tutti i generi.
Si tratta di film d’autore, come La grande strada azzurra di Gillo Pontecorvo (con Alida Valli e Yves Montand), La ragazza della salina con un giovane Marcello Mastroianni, film di genere come Erik il vichingo con Giuliano Gemma, tantissime produzioni minori tedesche e scandinave, anche televisive, fino a film come New York Press operazione dollari dove un invecchiato Stewart Granger si aggira per i vicoli del centro storico in un’improbabile storia di spionaggio. Negli studi di Pirano vengono girate addirittura alcune scene dei Promessi Sposi di Salvatore Nocita, trasmesso dalla Rai nel 1989 e di Bronte: cronache di un massacro di Florestano Vancini nel 1972.
Naturalmente, non mancano gli stessi autori della ex Jugoslavia, come Karpo Godina (Il paradiso artificiale), e soprattutto František Čap, regista di origine ceca che scelse di girare quasi tutti i suoi film in questa zona (come ad esempio il delizioso La nostra auto del 1962).
Un’attività cinematografica durata anni, che rende Pirano familiare ai produttori e ai registi e che porta con sé il corollario mondano della presenza di divi famosi negli alberghi della vicina Portorose. Nonostante l’argomento però, la mostra non concede molto né al lato frivolo né al revival e il taglio sembra invece essere quello della riflessione sul passato.
Una riflessione ampia, come testimonia la scritta iniziale, su quello che poteva essere e non è stato, quasi a suggerire che a causare il termine dell’esperienza cinematografica di Pirano non siano state solo le mutate circostanze storiche e commerciali del mondo del cinema.
Una riflessione malinconica, sensazione che aleggia su tutte le installazioni della mostra, con le vecchie colonne sonore e le sequenze di film in bianco e nero girate nei vicoli e nelle piazzette di Pirano. Malinconiche e splendide sono le immagini degli studi come si presentano oggi, fotografati da alcuni artisti contemporanei, che riescono a valorizzare proprio il vuoto e l’abbandono degli spazi, proponendolo quasi come un altro possibile set.
Il ricordo, l’abbandono, il passato, un’impostazione lontana del trionfalismo, tutti elementi che, paradossalmente, finiscono proprio per sottolineare e valorizzare l’esperienza cinematografica di Pirano e la lungimiranza dell’idea iniziale, probabilmente più di quanto avrebbe potuto fare un taglio più tradizionale e celebrativo.
Scendendo le scale per uscire dalla mostra, colpisce un cartello scritto in corsivo “Nasvidenje Piran” “Arrivederci Pirano”, che è il titolo di una delle installazioni, ma che posto al termine del percorso espositivo sembra chiudere idealmente la mostra, un addio ad un passato che sembra quasi sfumare in una promessa indefinita di futuro.
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