La perestrojka e i raggi cosmici
La guerra fredda, il crollo dell’Unione sovietica e la ricerca scientifica nell’Armenia indipendente. Un’intervista a Ashot Chilingarian, direttore dell’Istituto di fisica di Yerevan
Ashot Chilingarian è dal 2008 il direttore dell’Istituto di fisica di Yerevan, Armenia. Dal 1993 era già a capo del Dipartimento sullo studio dei raggi cosmici, particelle energetiche provenienti dallo spazio esterno, alle quali è esposta la Terra e qualunque altro corpo celeste. L’Istituto di Yerevan, fondato nel 1942, era sede in periodo sovietico di uno degli acceleratori di particelle più grandi al mondo ed ha creato due stazioni di studio di raggi cosmici – ancora funzionanti – sul monte Aragats. L’intera vita del professor Chilingarian è stata dedicata alla ricerca scientifica ed ha attraversato le radicali trasformazioni avvenute con il crollo dell’Unione sovietica. In quest’intervista gli anni durante la perestrojka, il passato ed il futuro della ricerca scientifica in Armenia, le coraggiose ricerche sul monte Aragats.
Lei lavora come scienziato fin dal 1971. Una carriera dunque di quasi quarant’anni durante la quale il contesto politico e sociale attorno a lei è profondamente mutato. L’Unione sovietica non esiste più, l’Armenia è uno stato indipendente, la guerra in Nagorno Karabakh … Come hanno influenzato la sua attività scientifica tutti questi cambiamenti?
Una carriera scientifica degna di questo nome non dipende in modo troppo univoco dalla situazione politica. Certo, cambiamenti drastici nella nostra attività vi sono stati, in particolare nell’accesso alle informazioni scientifiche. Negli anni ’70 mi recavo spesso nella biblioteca Lenin di Mosca per consultare le pubblicazioni scientifiche che arrivavano dall’estero in un’unica copia. Ora non mi devo nemmeno girare verso lo scaffale dietro la mia scrivania, trovo tutto sullo schermo del mio computer. La scambio di informazioni scientifiche, i contatti con i colleghi all’estero, le procedure di revisione scientifica, tutto questo ha permesso di partecipare al progresso scientifico non dovendo investire, per riuscirci, fondi troppo ingenti.
I grandi progetti dipendono invece spesso dalla situazione politica. Ciononostante non posso affermare che i finanziamenti illimitati di cui godevamo nel periodo sovietico fossero garanzia di un alto livello di ricerca scientifica. La gestione della ricerca non era delle migliori e spesso si sono avviati progetti mastodontici mai condotti a termine. Comunque la cosa più importante portata dal cambiamento è stata per me la possibilità di attivare collaborazioni internazionali.
Non è inoltre da sottovalutare la possibilità di pubblicare saggi ed articoli su riviste scientifiche in Europa e negli Stati Uniti e di ricevere commenti sui propri contributi o commentare quelli di altri. Tutto questo permette di essere aggiornati su quanto accade nel campo della ricerca, capire come presentare al meglio i risultati delle proprie analisi e infine comprendere al meglio i metodi e gli obiettivi della ricerca scientifica globale.
L’Istituto di fisica di Yerevan, che lei dirige, è stato fondato nel 1942. Quali le attività principali dell’istituto in passato? Quali quelle attuali?
In particolare ci si occupava di questioni legate alla fisica delle particelle. Questa branca della fisica ha avviato ricerche nel campo dei raggi cosmici prima che venissero inventati i primi acceleratori di particelle (di cui uno dei più grossi al mondo era installato proprio a Yerevan, ndr). L’obiettivo principale di queste ricerche era esplorare la struttura della materia, investigare le interazioni tra le radiazioni crepuscolari e la materia, costruire rilevatori di particelle. Vi erano certamente anche aspetti militari in tutto questo: in particolare in merito alla moltiplicazione dei neutroni.
Sul monte Aragats avevamo installato inoltre uno dei pochi laboratori mondiali per la ricerca sui raggi cosmici, avevamo molte strumentazioni e il nostro primo direttore, il fisico Artem Alikhanyan, era rinomato a livello mondiale, aveva buone connessioni con i fisici migliori al mondo e ottime entrature di alto livello a Mosca.
Attualmente invece vi è un dibattito in atto sul ruolo del nostro istituto. Il primo ministro armeno ha creato recentemente una commissione di esperti per valutare la competitività della ricerca scientifica che si svolge nell’istituto. I membri della commissione lo scorso giugno hanno incontrato tutto lo staff direttivo, hanno visitato la struttura, hanno incontrato molti funzionari armeni e scienziati dell’istituto. Le conclusioni sono state che l’Istituto di Yerevan offre una base unica per l’ulteriore sviluppo della scienza e delle tecnologie ad alto contenuto scientifico in Armenia e che è auspicabile venga trasformato nel Laboratorio Nazionale dell’Armenia.
La commissione si è inoltre detta favorevole alla continuazione della ricerca sui raggi cosmici sul monte Aragats e al lavoro all’estero di gruppi di ricerca dell’istituto sulla struttura del nucleone. Ciononostante alcuni esperimenti sulla fisica delle alte energie e di fisica nucleare sono stati definiti non competitivi a livello internazionale. Affinché lo divengano la commissione ha raccomandato di creare nuove strutture (un ciclotrone per protoni e ioni pesanti) che possono essere utilizzate sia per la ricerca in fisica nucleare che per la scienza applicata, in particolare in campo medico. E questa è la vera sfida non solo per l’Istituto ma per tutta l’Armenia, perché questo progetto implicherebbe finanziamenti e capacità di gestione, entrambi fattori molto scarsi nell’attuale Armenia.
L’Unione sovietica aveva una grande tradizione in campo scientifico. E la guerra fredda si è giocata anche e soprattutto in questo specifico campo. Gli scienziati hanno ricoperto ruoli molto elevati nella gerarchia sociale sovietica. E ora?
In tutti gli anni dell’Armenia indipendente la scienza e l’educazione sono state marginalizzate a causa della scarsità di fondi e delle scarse capacità di gestione. Lo scienziato, con un prestigio molto alto nell’Armenia sovietica, si è presto trasformato in un mendicante, che continuamente chiede soldi al governo. Anche per questo gli studenti non aspirano a una carriera in ambito scientifico. Andare all’estero, lavorare in collaborazioni internazionali, partecipare a conferenze sono gli stimoli principali che gli studenti cercano.
Come è sopravvissuta la comunità scientifica armena – se si può usare questa definizione – agli enormi cambiamenti arrivati in Unione sovietica e in Europa con la perestrojka?
La comunità scientifica armena è molto dispersa. Gli scienziati che riescono ad ottenere borse internazionali per le loro ricerche, da sommare ai fondi governativi, prendono parte al progresso scientifico internazionale: hanno buoni equipaggiamenti, buone connessioni all’estero, uffici decenti, studenti e buone prospettive per il futuro. Sfortunatamente questi ricercatori di successo sono in pochi. Gli altri stanno in attesa di fondi governativi, ma resta da vedere se riusciranno – anche nel caso li ottenessero – a continuare le loro ricerche colmando il vuoto creato da anni sprecati.
Quali i suoi personali ricordi di quegli anni?
Nel 1993 sono stato nominato a capo della Divisione di ricerca sui raggi cosmici dell’Istituto di Yerevan e quella è stata una vera e propria sfida. Non vi era alcun finanziamento, il nostro salario mensile ammontava a 5 dollari, nessuna elettricità, niente riscaldamento, niente benzina. Era difficile sopravvivere in città, immaginate cosa significasse far andare avanti stazioni di alta quota di rilevazione di raggi cosmici. Una vera pazzia. Adesso, guardando indietro a quegli anni, sono sorpreso dei rischi che prendemmo sul monte Aragats. Vi sono stati mesi invernali molto difficili, con tagli all’elettricità, ma non abbiamo mai chiuso le nostre stazioni di rilevamento. Inoltre abbiamo creato nuove infrastrutture scientifiche, portando la Divisione di ricerca sui raggi cosmici a livello mondiale in campi quali gli studi sulla meteorologia spaziale e il fenomeno delle tempeste spaziali. Ci siamo temprati ed ora, ogni anno, ampliamo le attività di ricerca del nostro centro. Quest’anno abbiamo aggiunto attività di misurazione del campo geomagnetico, il prossimo anno pianifichiamo di iniziare a radio-monitorare il sole … riassumendo: siamo sopravvissuti e siamo diventati forti.
Quali le relazioni tra ricerca scientifica e formazione in Armenia?
Nel periodo sovietico le università erano dedicate all’insegnamento, mentre la ricerca era concentrata in istituti come quello di Yerevan. Naturalmente alcuni studenti si recavano negli istituti per le loro tesi di laurea e molti scienziati degli istituti insegnavano all’università. Io stesso lo ho fatto per trent’anni, ma le due istituzioni erano sotto ombrelli differenti.
Ora serve invece creare un legame forte tra ricerca ed insegnamento. Gli studenti che arrivano al nostro istituto sono ogni anno meno preparati dal punto di vista scientifico. Non vengono adeguatamente formati nelle scuole e all’università. Se vogliamo avere una prossima generazione di ricercatori dobbiamo creare dei centri di educazione in luoghi come l’Istituto di Yerevan dove vi sono ancora competenze approfondite nella scienza moderna.
Da tre anni nella Divisione sui raggi cosmici esiste un centro di studi sullo spazio. I miei studenti dell’università vengono all’istituto non soltanto per seguire lezioni sui raggi cosmici o sull’astrofisica, ma anche per lavorare nei laboratori di fisica sperimentale, elettronica e analisi dei dati che noi abbiamo creato per scopi prettamente formativi. Questo permette di selezionare alcuni studenti che si rivelano interessati alla fisica sperimentale e che possono lavorare con equipaggiamenti moderni.
La diaspora armena ha giocato un ruolo chiave per l’Armenia indipendente. E’ così anche per l’Istituto che dirige?
A partire dal 2000 le comunità armene residenti in California, Massachusetts e Michigan hanno creato delle associazioni amiche della nostra Divisione di ricerca sui raggi cosmici, CRD, a sostegno della ricerca in Armenia e dei nostri scienziati. Queste iniziative erano coordinate da Anahid Yeremian, fisico dello SLAC National Accelerator Laboratory, gestito dalla Stanford University. I fondi raccolti sono stati trasferiti a progetti speciali della Fondazione nazionale della scienza e delle alte tecnologie presieduta da Harut Karapetyan. Nei primi anni con questi fondi sono stati sostenuti i nostri ricercatori, i nostri studenti ed è stato comperato equipaggiamento per le stazioni di rilevamento in alta quota. Successivamente queste spese sono state coperte direttamente da fondi di ricerca dell’Istituto di Yerevan e quindi i finanziamenti della diaspora sono stati utilizzati in particolare per l’ammodernamento delle infrastrutture e degli edifici dei centri di rilevamento in alta quota.
Come giudica il livello della ricerca scientifica in Armenia?
Ancora alto, ma in rapida caduta.
Quale la sua principale paura per il futuro, e quale la sua principale speranza?
Il livello della formazione è in rapido deperimento ed ho paura che non avremo il numero minimo di studenti necessario per continuare i nostri progetti.
Le nostre speranze vanno agli studenti che attualmente lavorano al CRD e che sono veramente devoti alla fisica. Un’altra speranza viene dal fatto che il governo sembra finalmente riconoscere che, se si dimenticano di nuovo della ricerca scientifica, in pochi anni si rischia di perdere tutte le competenze accumulate sino ad ora.
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