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La nuova vita del Vecchio ponte

Diciotto anni fa, la mattina del 9 novembre 1993, le forze dell’esercito croato HVO distruggevano il Ponte di Mostar. Oggi la mezza luna di pietra è risorta, ma in una città diversa. Le molte vite del Vecchio ponte nel ricordo del nostro corrispondente

09/11/2011, Dario Terzić - Mostar

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Dicono che i ponti uniscono le persone, le sponde. E noi vogliamo crederci. Spesso i ponti non sono che strade di collegamento, stazioni di passaggio. E sulla romantica e umanitaria dimensione dei ponti sono state scritte  poesie, storie, sono stati girati film. Il ponte sul fiume Kwai, il Golden Gate, il Ponte di Avignone, il Ponte di Brooklin, sono tutti ponti con una loro storia.

Il Vecchio ponte di Mostar ha tante storie. Per il semplice fatto che lo Stari most ha più vite.

Si sapeva già molto di questo ponte ancor prima della guerra in Bosnia Erzegovina. Venivano turisti da tutto il mondo per ammirarne la bellezza. D’estate, quando il livello del fiume Neretva è più basso, la mezza luna di pietra, come lo chiamano alcuni, “sale” fino quasi a 30 metri. Un ponte così grande e con un solo arco. Per questo la gente si meravigliava e lo ammirava.

Il Vecchio ponte eterno

La morte del Ponte vecchio nel 1993 è un avvenimento di cui hanno scritto molto i media internazionali. In piena guerra, a Mostar, durante i più pesanti scontri fra l’Armija BiH e l’HVO croato, il 9 novembre la mezza luna di pietra è crollata nella Neretva sotto i terribili colpi dell’artiglieria croata.

Per mesi hanno cercato di distruggerlo. Già durante il primo scontro, quello del 1992, quando l’Armija BiH e l’HVO erano alleati nella lotta contro i serbi di Mostar (i quali, a dire il vero, erano aiutati dall’ex esercito jugoslavo) in città erano stati minati quasi tutti i grandi ponti: Lučki, Carinski, Titov. Le mine erano state posizionate anche sul Ponte vecchio, ma gli ingegneri dell’Armija erano riusciti a toglierle. Così che solo lo Stari most era riuscito a sopravvivere alla prima guerra di Mostar.

Il Ponte era forte ed aveva resistito a tutte le sciagure, fino a quel fatale 9.11.1993. Noi di Mostar lo avevamo sempre considerato eterno, indistruttibile. E come non farlo? Mentre guardavamo attorno a noi come tutto fosse effimero, solo lui rimaneva sempre uguale. Stava lì dal 1566. Non è forse un’eternità?

Il Ponte è quella cosa attorno alla quale è sorta e si è sviluppata la città: generazioni di mostarini sono cresciute insieme al Ponte; ammiravano quel miracolo dell’architettura, i sogni che Neimar Hajrudin era riuscito a trasformare in realtà. I mostarini adoravano la loro città, e per loro le due cose sacre sono sempre state la Neretva e il Ponte che vi passa sopra.

Ma i tempi cambiano. Nel 1992 inizia la vera guerra di Mostar. I musulmani (oggi bosgnacchi) insieme ai croati sconfiggeranno militarmente i serbi che da aprile fino a giugno di quell’anno erano riusciti a tenere la sponda est della Neretva. I serbi lasciano la città e, contemporaneamente, a Mostar arrivano i musulmani scacciati dall’Erzegovina orientale (Gacko, Nevesinje…).

Già allora accade il primo grande cambiamento nella composizione della popolazione di Mostar. Il più drastico accadrà dopo il 9 maggio, cioè dopo l’inizio degli scontri fra croati e musulmani. Decine di migliaia di musulmani di Mostar lasceranno per sempre la loro città per trasferirsi nei Paesi scandinavi, in America, in Canada, in Australia. Nei loro appartamenti, nella parte della città che era sotto il controllo dell’HVO (Mostar ovest), entreranno i profughi croati della Bosnia centrale (Kakanj, Vitez), e di Konjic. Contemporaneamente, i musulmani di Stolac e i musulmani di Mostar che non sono riusciti ad andarsene via si troveranno (non per propria volontà) nella parte est della Neretva, quella sotto il controllo dell’Armija BiH.

La parte est, o Rive gauche di Mostar, come la chiamavano alcuni, era la zona dimenticata di una Mostar sofferente da oltre un anno. Si è vissuto senza cibo, senza elettricità e acqua, sotto continue e intensive piogge di granate.

Le granate portavano odio, e quell’odio era come se crescesse di giorno in giorno. Durante il mese di maggio del 1993 ero ancora sulla sponda destra (croata), e non potevo credere a quanto odio vi si fosse accumulato. In città erano sempre più le persone che non conoscevano Mostar. Niente li legava, né a quella città né a quel Vecchio ponte. Per loro era una semplice costruzione di pietra, anzi nemmeno semplice perché era la “loro”, turca, qualcosa che bisognava distruggere.

La seconda guerra di Mostar è stata particolarmente intensa. La parte bosgnacca (musulmana) era senza armi mentre all’HVO arrivavano i rifornimenti dalla Croazia. Mostar est veniva bombardata giorno e notte.

Tra i bersagli c’era anche il Ponte vecchio. Arrivavano granate dai vari punti occupati dall’HVO sulle colline di Mostar.

La città è stata bombardata dalla collina Hum (dal punto in cui oggi svetta una croce alta 33 metri) e per colpire il Ponte veniva usato un punto chiamato Stotina [centinaio].

La morte dello Stari most

I colpi più forti contro il ponte iniziano l’8 novembre. Di giorno non era possibile avvicinarsi al Ponte. Va detto che il Ponte era per i pedoni. Non era facile attraversarlo, anzi per alcuni era un’arte. Si scivola, si inciampa, si cade. Gradini particolari che impediscono il passaggio delle automobili. Più tardi i rappresentanti dell’HVO diranno di aver colpito il ponte per impedire il transito di armi e munizioni. Una missione impossibile…

Ero sul Ponte con un collega di Radio Mostar, proprio quell’8 novembre. Abbiamo cercato di fotografare il cratere che si era creato a causa dei colpi delle granate. Temevamo la pioggia e la possibilità che quella “Grande ferita“ diventasse fatale, che il Ponte durante la notte potesse crollare.

Hanno continuato con i bombardamenti anche la mattina del 9 novembre. Verso le 10 circa, un collega ansimando è entrato in redazione dicendo: “Non c’è più il Ponte, da torre a torre. L’hanno buttato giù”.

Corro subito verso il Ponte. Arrivo in meno di cinque minuti. Non posso crederci. Centinaia di volte abbiamo usato il detto “è crollato tutto il mio il mondo”. In quel momento pensi che tutta la tua città, la tua infanzia, il tuo passato siano crollati.

E qui inizia il grande silenzio, anche se dalla parte ovest della città si odono spari (i festeggiamenti per la distruzione del Ponte).

Noi che allora eravamo nella parte est di Mostar ricorderemo la notte del 9 novembre 1993 come la notte più dolorosa, la più difficile. La notte degli orrori. Regna un grande silenzio [in italiano nell’originale, ndt]. Solo di tanto in tanto si avverte un grave gemito.

Non ho mai vissuto una cosa del genere e spero di non viverla mai più. La gente passava incredula, guardava nel vuoto e continuava a ripetere: “Non c’è più il Ponte, non c’è più Mostar”.

Tutti erano convinti che questa fosse la fine di tutto… La fine di una città.

Dopo la guerra inizia la ricostruzione del Ponte. In molti erano interessati al progetto, ma alla fine la costruzione del ponte è stata affidata ai turchi. Ben inteso, si tratta di un prestito, non di una donazione.

Il Ponte passa di nuovo sopra il fiume. Il Nuovo-vecchio. È fatto di una pietra del tutto nuova. Quella originale estratta dal fiume non era sufficiente per portare a termine una buona ricostruzione.

I media internazionali hanno provato a creare una storia su come il nuovo Stari most unirà Mostar. Comunque, sia la riva sinistra che quella destra del Ponte si trovano nella cosiddetta parte est (bosgnacca) della città. Nella parte ovest crescono nuove generazioni che non hanno mai visto il Ponte. I turisti continuano ad arrivare da tutto il mondo per ammirarlo.

Tutto è uguale. O forse, è solo un’apparenza…

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