La musica della Vojvodina
Un’incursione tra i ritmi folk e rock della regione della Vojvodina, tra le più multiculturali d’Europa
Si potrebbe partire da Novi Sad, città sulle rive del Danubio, quasi trecentomila abitanti. E’ il capoluogo della Vojvodina, provincia autonoma della Repubblica di Serbia. Qui il cosmopolitismo tipico dei Balcani assume il suo significato più profondo e frutto di una storia parzialmente diversa da altre aree dell’ex Jugoslavia, dove è stata scardinata completamente l’antropologia autoctona.
L’ultimo censimento parla di 1.320.000 serbi, 290mila ungheresi, 57mila slovacchi, 57mila croati, 32mila rumeni, 30mila rom, 16mila ucraini; cui si aggiungono famiglie tedesche, montenegrine e macedoni. Perché proprio la Vojvodina? Lo dice qualunque cartina geografica: a sud c’è la Serbia, a est la Romania, a nord l’Ungheria, a ovest la Bosnia e la Croazia. Anche la storia aiuta a comprendere l’eterogeneità di questa zona dei Balcani, passata nei vari periodi, dal dominio turco, a quello ungherese, all’Impero austroungarico fino al collasso degli Asburgo nel 1918. Poi entra a far parte del Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni, e diverrà Jugoslavia nel 1929. Poi la Seconda guerra mondiale, l’occupazione da parte delle forze dell’Asse, è la più recente storia della Jugoslavia socialista di Tito. Oggi la Vojvodina è ancora un mix di comunità che trova conferma nelle tante e diverse musiche che la rappresentano.
Tre grandi famiglie musicali
L’analisi del substrato etnomusicologico della Vojvodina mostra la presenza di tre grandi famiglie musicali. La prima concerne la comunità serba, integrata da famiglie montenegrine. C’è un cantato particolare, realizzato a più voci, che prende il nome di "Na bas"; parte il cantante solista, poi affiancato da una seconda voce; più raramente possono essercene tre o quattro. Si trova anche in Croazia, Bosnia e Serbia occidentale; e in Vojvodina lo utilizzano anche slovacchi, romeni, e rom. Secondo Nice Fracile, del dipartimento di musicologia ed etnomusicologia dell’Accademia di Novi Sad è il risultato di molte influenze, "dalla cultura bizantina, a quella austroungarica". All’interno di questo macrocosmo musicale confluisce anche la tradizione montenegrina legata soprattutto ai canti epici, e alla celebrazione di eroi e antichi condottieri. In questo caso ci si affida alla gusla, strumento popolare caratterizzato da una sola corda, percossa da un apposito archetto; è il risultato di un lungo cammino evolutivo iniziato con la lira bizantina. Altrettanto utilizzata la gaida, cornamusa tipica delle regioni balcaniche, realizzata con pelle di capra e suonata con un insufflatore; se ne fa grande uso durante le feste popolari, ma anche nel corso delle celebrazioni di matrimoni e anniversari.
La seconda famiglia è assimilabile alla folta comunità ungherese e slovacca. In questo ambito la proposta artistica giunge da un insieme di cantanti supportati dal suono di uno zither e di un kocsogduda. Lo zither è un cordofono, imparentato con il salterio e il cimbalon. In Italia è noto col nome di "cetra da tavolo". Arriva dall’Austria e dalla Germania, dove anche figure come Johann Strauss l’hanno valorizzato nelle proprie composizioni. Il kocsogduda è invece uno strumento percussivo, realizzato con uno stantuffo che scivola all’interno di un vaso ricoperto di pelli, producendo un suono stridente. E’ associabile alle friction drum impiegate un po’ in tutte le parti del mondo. Il linguaggio musicale di questa realtà della Vojvodina parafrasa le danze verbunkos, tipicamente ungheresi, ed erroneamente attribuite alla cultura rom; forse per via dell’esperienza di Janos Bihari, straordinario compositore di verbunkos di origine romanì. Uno degli studi più interessanti sull’argomento è affrontato da Jonathan Bellmann che nel 1993 ha pubblicato The Style Hongrois in the Music of Western Europe. Nel testo, le danze verbunkos vengono associate a uno stile musicale ben preciso, l’hongrois, primo fenomeno mainstream della cultura musicale popolare magiara. E’ uno stile che proprio in Vojvodina mostra esplicitamente la lontananza filetica dagli altri contesti musicali figli della cultura serba o rumena.
I rumeni si fanno portavoce del terzo grande gruppo musicale della regione autonoma serba. Provengono da una lunga storia di "nomadismo", iniziata secoli prima nel Banato o in Transilvania. Ci sono due tipici rimandi musicali, rappresentati da danze storiche. La prima si chiama ardeleana e corrisponde a balli di coppia simili all’invartita e alle forgatos ungheresi (altre danze di coppia). Si esegue in due quarti, e in base al tipo di ritmo si distinguono: polca e tarina (ritmo regolare), dedo e manantel (ritmo veloce), per picior (ritmo sincopato) e sorocul (ritmo asimmetrico). L’altra danza è effettuata in circolo e prende il nome di hora. Gli studi di Fracile (e di Bartok) portano a identificare in questo contesto musicale anche i cosiddetti "ritmi asimmetrici", che giustificano la completa distanza "lessicale" dagli altri generi presenti in Vojvodina (ne abbiamo parlato anche per il Kosovo). Bartok per primo riferì dei "ritmi bulgari" trascrivendo le partiture di Dobri Hristov e Vasil Stoin. Ma l’intervento del folclorista rumeno Constantin Brailoiu ridimensiona il parere del celebre compositore, dimostrando che il fenomeno non è ascrivibile solo all’universo bulgaro, ma a gran parte dei Balcani e dell’Anatolia. Si parla dunque di ritmi come il 7/8 la cui asimmetria risulta dalla "cadenza" 3 + 2 + 2. Difficile riconoscere la vera origine di questi ritmi che se da una parte rimandano esplicitamente al paradigma musicale ottomano, dall’altra, come rivendica Wouter Swets, etnomusicologo tedesco, fondatore nel 1969 del gruppo Calgija, potrebbero essersi formati proprio nel cuore dei Balcani. Fracile riferisce dei ritmi asimmetrici già affrontati in Grecia nel quarto secolo a.C. E altri raffronti possono essere individuati nello studio delle trascrizioni di Daniel Speer (musicista del seicento) e in uno storico brano, "The Gypsies Metamorphosed", caratterizzato dal tipico ritmo aksak in 9/8 (2 + 2 + 2 + 3).
Il ruolo dell’etnia rom nella fusione d’intenti di questi tre generi musicali della Voivodina è tutt’altro che trascurabile. Jim Samson, professore emerito dell’University of London, parla di «transculturalismo rom», affermando che non è corretto riferirsi a generi nettamente diversi, ma a una "fluidificazione" di realtà pentagrammate, con molti spunti originali, ma altrettanti figli di affascinanti mix musicali. Un esempio d’ibridismo si trova nella danza della pioggia osservata dai rom in Vojvodina che evidentemente prende spunti da molti altri contesti sociali. Benché in passato ci fosse grande divergenza di stili anche fra rom e romeni. Con i primi identificati nel lavoro espresso da "bande" accompagnate da fisarmoniche e cimbalom, e i secondi appannaggio delle "fanfare", con l’ausilio di orchestre di ottoni. "Si tratta spesso di canzoni e melodie che sono state tramandate nei secoli per via orale e che oggi divengono parte integrante di due o più culture", precisa Fracile. La risposta al fermento rom è evidente negli ultimi decenni, con vere e proprie transizioni da un genere all’altro, quasi senza accorgersene. Così si spiega il motivo per cui non è raro incontrare musiche in grado di sposare egualmente la filosofia ungherese, perfettamente calibrata dall’uso spregiudicato del violino, e quella serba, espressa da ensemble di ottoni. E la nascita di nuove canzoni che risentono tanto della cultura rumena e valacchiana, quanto di quella figlia dell’influsso belgradese.
Il rock
Nella regione non si respira solo aria tradizionale, ma esistono anche numerose realtà musicali tipicamente giovanili che molto spesso parafrasano contesti pentagrammati occidentali. Ecco le band più interessanti:
Oruzjem Protivu Otmicara: band in grado di miscelare con grande facilità pop, punk, e rock ‘n’ roll. Si formano a Zrenjanin, centro di settantamila anime (la terza città della Vojvodina) nella parte orientale della regione serba, grazie all’incontro fra due teenager, il bassista Nikola Pavković e il batterista Vladimir Jovanović. E’ il 1992. Il gruppo debutta nel 1995 con il disco omonimo, che desta subito interesse di pubblico e critica. Musicisti diversi si alternano nel tempo nella band, mentre vengono dati alle stampe BarbieCue (1997), Komadić Koji Nedostaje (1998) e Znas Ko Te Pozdravio (2007). L’ultimo lavoro ufficiale è del 2014, il singolo "Panika" è un grande pezzo pop, perfettamente interpretato dall’affascinante cantante, Jovana Oljaca, membro degli Oruzjem Protivu Otmicara dal 2010. Una canzone
Pekinska Patka: Storica band di Novi Sad, protagonista del punk rock dell’ex Jugoslavia. Si forma dall’incontro fra Sreten Kovačević (chitarra elettrica) e Aleksandar Kravić (voce), già abituati a coverizzare brani di Deep Purple e The Clash. Debuttano nel 1980 con il disco Plitka Poezija, considerato ancora oggi il primo disco punk della storia serba. La loro carriera, come gran parte di quella dei gruppi punk, si esaurisce nel giro di pochi mesi. Nel 1981 esce, infatti, Strah Od Monotonije e con esso si chiude l’avventura del gruppo. Si ritrovano, con una formazione completamente rimaneggiata, nel 2008, in occasione dell’Exit Festival di Novi Sad, nel quale affiancano i Sex Pistols e i Ministry, industrial metal band di Chicago. Una canzone
Zbogom Brus Li: influenzati da Ramones, Misfits e Toy Dolls, gli Zbogom Brus Li vedono la luce a Novi Sad nel 1992. Si sciolgono nel 2000, ritornano in pista nel 2005. Sono i portavoce di un genere unico, il "tamburaski punk". Si riferisce a un mix fra musica popolare e tradizionale della Vojvodina, con l’attitudine punk rock di stampo anglo statunitense. Facile, per esempio, assimilarli ai primi Pogues di Shane McGowan, benché la parte di prim’attore spetti alla tamburitza e non al banjo o al bouzouki irlandese. Il loro d’esordio, Penk Punk Pink Pank Ponk, è del 1995; l’ultimo disco, Ukleti Salas, del 2008. Nel 2012 è uscito il live Noc Zivih Hitova. Una canzone
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