La mubarakizzazione dell’Armenia
L’opposizione armena ha avviato una serie di proteste di piazza contro il presidente Sargsyan e il governo in carica. L’onda lunga degli scontri del 2008, il contagio delle rivolte nel mondo arabo
Il partito d’opposizione extraparlamentare Armenian National Congress (ANC) ha annunciato il 28 gennaio scorso l’inizio di “una nuova ondata di proteste al fine di rovesciare il governo illegittimo, incompetente e corrotto”. L’annuncio è stato dato dal coordinatore del partito, Levon Zurabyan, al network Armenialiberty. “L’ANC sostiene la necessità di arrivare ad elezioni anticipate, poiché le autorità – ha continuato Zurabyan – invece di adottare le riforme necessarie, stanno aggravando la situazione socioeconomica del Paese con decisioni altamente impopolari”.
Come l’Egitto di Mubarak?
Durante la manifestazione del 18 febbraio, il leader del partito, Levon Ter-Petrosyan, ha chiesto alle autorità di lavorare per gli interessi della popolazione, senza “nascondersi all’infinito dietro la questione del Karabakh, subordinando ad essa la soluzione dei problemi interni dell’Armenia”. Secondo l’ex presidente Ter-Petrosyan, “la situazione critica in cui versa l’Armenia non è dissimile da quella di Egitto o Tunisia, e il regime armeno non è meno dittatoriale di quello di Mubarak: ciò che è accaduto a quei regimi prima o poi colpirà anche l’Armenia, e la responsabilità ricadrà sul regime cleptocratico di Sargsyan”. Nel suo discorso, Ter-Petrosyan ha poi dichiarato il sostegno dell’ANC alla gente comune, colpita dal caro prezzi e dal provvedimento che vieta il commercio ambulante nella capitale. Tale decisione, adottata agli inizi di gennaio, ha infatti danneggiato sia i venditori ambulanti che i consumatori, costretti a fare acquisti nei grandi supermercati di proprietà dei “businessmen”, dove i prezzi sono più alti. Ciò si è ripercosso sul già ridotto potere di acquisto della popolazione: secondo i dati del Servizio Statistico Nazionale Armeno, pubblicati a gennaio, il costo della vita è infatti aumentato nel corso del 2010 del 5,7% e la maggior parte della popolazione non riceve uno stipendio sufficiente ad assicurare il livello minimo di sussistenza. Sull’onda del malcontento, l’ANC ha organizzato una seconda manifestazione il 1° marzo, in occasione dell’anniversario degli scontri del 2008.
Il primo marzo
Di fronte a migliaia di manifestanti – diecimila secondo le stime della polizia, cinquantamila secondo gli organizzatori – Ter-Petrosyan ha lanciato un ultimatum in tredici punti al presidente Sargsyan. Al fine di evitare “la mubarakizzazione del Paese”, il leader ha sollecitato la scarcerazione dei membri dell’opposizione, la condotta di un’indagine indipendente sui fatti del 2008, un incremento dei salari minimi e delle pensioni e il licenziamento del Primo ministro Tigran Sargsyan e di altri funzionari. Ter-Petrosyan ha dato due settimane di tempo al presidente per accettare “almeno una parte considerevole delle richieste” e avviare un “dialogo concreto” con l’opposizione per indire elezioni anticipate.
Dopo l’“ultimo avvertimento”, il leader ha annunciato che “d’ora in poi i raduni del partito diventeranno una sorta di forum di autogoverno popolare, che avrà piena autorità di prendere ed attuare decisioni”. Il discorso del 1° marzo rappresenta dunque una “piattaforma programmatica, un piano d’azione” – ha spiegato ad Osservatorio un attivista dell’ANC che ha preferito rimanere anonimo – “con cui Ter-Petrosyan vuole organizzare e disciplinare i manifestanti”. Molte delle persone che partecipano ai comizi dell’ANC – ha continuato l’attivista – “sono convinte che i cambiamenti avvengano solo con azioni di forza: Ter-Petrosyan vuole rimuovere questo retaggio sovietico e assicurare finalmente al Paese una transizione regolare, seguendo quelle regole democratiche che Sargsyan non rispetta”.
Muro contro muro
In attesa del prossimo raduno dell’ANC, previsto il 17 marzo, si è acceso il dibattito tra esponenti del governo e dell’opposizione. Il 2 marzo, il portavoce del partito Repubblicano, Eduard Sharmazanov, ha dichiarato ad Armenialiberty che “il presidente non scenderà a patti con l’ANC per le elezioni anticipate, né farà alcuna concessione tra quelle richieste dall’opposizione: Ter-Petrosyan sa perfettamente che imporre ultimatum non ha nulla a che fare col dialogo”. Pronta la replica di Zurabyan: “Anche Mubarak aveva inizialmente reagito in modo provocatorio, respingendo gli ultimatum, ma alla fine è caduto. Credo dunque – ha proseguito il coordinatore dell’ANC – che il processo politico che sta iniziando in Armenia avrà presto delle conseguenze”.
Il contagio delle rivolte nel mondo arabo
L’opposizione extraparlamentare dell’ANC è stata “chiaramente sostenuta dall’ondata rivoluzionaria del mondo arabo”, ha commentato dopo la manifestazione del 1° marzo il giornalista Emil Danielyan di Radio Free Europe/Radio Liberty (RFE/RL): “La maggiore partecipazione a questi raduni indica un sentimento analogo fra i cittadini armeni, scontenti del proprio governo”. Gli eventi del Nord Africa, in effetti, preoccupano le autorità armene: il 31 gennaio – come riferito dall’agenzia di stampa PanArmenian – Sharmazanov ha definito l’Armenia “immune dalle dimostrazioni di massa antigovernative che hanno sconvolto gli Stati arabi: non ci sono le condizioni-base per simili rivolte sociali nel Paese, perché il governo realizza le riforme necessarie al popolo”. Più cauto però il primo ministro che, durante il discorso di apertura del “Forum Economico Internazionale Bridge” il 26 febbraio scorso a Tsaghkadzor, località sciistica armena, ha riconosciuto “la sfida lanciata ai governi dalla società civile”: come dimostrato dai processi rivoluzionari in Nord Africa, “la società è più critica nei confronti delle istituzioni ed esige risposte immediate a problemi contingenti”.
L’analisi
In uno studio pubblicato il 2 marzo su RFE/RL, gli analisti Liz Fuller e Richard Giragosian ritengono che, nonostante la congiuntura internazionale, l’ANC non sia riuscito ad avviare una protesta di massa: “Dopo due anni di continue previsioni sull’imminente caduta del governo, molti analisti concordano nel ritenere Ter-Petrosyan una forza ormai esaurita”. A minacciare maggiormente il presidente Sargsyan sarebbero invece le lotte interne alla coalizione di governo, in vista delle elezioni parlamentari del maggio 2012 e delle presidenziali del febbraio 2013. Al fine di garantirsi l’appoggio di entrambi gli alleati – “Armenia Prospera” (BHK) e “Orinats Yerkir” – il partito Repubblicano (HHK) ha proposto un memorandum per sostenere la ricandidatura di Sargsyan nel 2013. Il documento è stato firmato da tutti e tre i partiti il 17 febbraio, nonostante al congresso del proprio partito, il 12 febbraio, il leader del BHK Gagik Tsarukyan (vicino all’ex presidente Kocharyan) si fosse rifiutato di accettare la ricandidatura del presidente repubblicano. Nel loro report, gli analisti Fuller e Giragosian hanno spiegato che “la mossa di Tsarukyan va interpretata come una concessione strategica, in attesa di abbandonare la coalizione per lasciare spazio al ritorno di Kocharyan”. La firma dell’accordo non cancella dunque la competizione tra i due partiti al potere, ma “conferma la rivalità storica tra Sargsyan e Kocharyan”.
Di fronte alla pressione politica degli avversari, e allo scontento popolare per la situazione economica, spetta dunque al presidente “adottare le riforme necessarie a soddisfare la crescente domanda di cambiamento”, cercando di allontanare così il rischio di “mubarakizzazione” preconizzato da Ter-Petrosyan.
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