La memoria di Belgrado
Incontro a Belgrado con Natasa Kandic, direttrice della Fondazione per il Diritto Umanitario. Il lavoro sulla memoria delle guerre recenti e il sostegno alle vittime nei tribunali. Il caso del processo agli Scorpioni
Di cosa si occupa la Fondazione per il Diritto Umanitario?
All’inizio la nostra missione era raccogliere dati e informazioni, indagare sui crimini di guerra e sulle violazioni dei diritti umani in Serbia e in Kosovo intervistando vittime e testimoni. Dopo la fine delle guerre l’organizzazione si è trasformata e ora si occupa anche di tortura e abusi da parte della polizia, continuando allo stesso tempo a lavorare sulle violazioni dei diritti umani del passato. Inoltre rappresentiamo e sosteniamo le vittime in tutti i processi per crimini di guerra in Serbia. Oggi il nostro obiettivo principale è tuttavia quello di creare una base di dati sulle guerre recenti, un aspetto che riteniamo fondamentale per la creazione di una memoria storica collettiva.
Quando avete intrapreso questo lavoro?
Io ho cominciato nel 1991. Insieme ad un gruppo di amici di Belgrado abbiamo pubblicato un libro, "Il nodo del Kosovo", con il quale condannavamo con molta fermezza la propaganda ufficiale che etichettava l’intero popolo albanese come terrorista. In seguito, quando fu chiaro che in Serbia si preparava un piano per il riordino del territorio dell’ex Jugoslavia, attraverso la formazione di nuovi territori etnicamente omogenei, molti miei amici hanno deciso di lasciare il paese. Io decisi di restare per registrare, documentare, impedire che si ripetesse quanto era accaduto dopo la seconda guerra mondiale. Ho cominciato a raccogliere documentazione mettendo a punto negli anni un nostro metodo di ricerca sul come raccogliere i dati, come condurre le interviste, e tutto questo ci ha portato oggi ad avere una base di dati che credo sarà uno strumento importante contro il revisionismo, la negazione e la relativizzazione dei crimini di guerra.
Perchè il paragone con la seconda guerra mondiale? Quali sono stati i limiti della politica della memoria nella Jugoslavia di Tito?
Durante il periodo comunista, ai tempi di Tito, si è deciso di non affrontare pubblicamente tutta una serie di questioni della seconda guerra mondiale che sono rimaste una sorta di segreto di Stato. Fino ai giorni nostri la questione della sofferenza di un grande numero di persone è rimasta coperta dal mistero. Ancora oggi alcune famiglie non sanno dove si trovano le tombe dei loro parenti. La lotta tra comunisti e cetnici ad esempio era un tema proibito, di cui nessuno osava parlare, e credo che queste rimozioni siano state fra le cause dei conflitti che sono iniziati nel 1991.
Un fatto che non viene considerato a sufficienza è che nel tempo si sono creati degli stereotipi, che sono cresciuti fino ad avere un’enorme forza, e che sono stati utilizzati per portare la gente allo scontro. Nel 1991 ad esempio i serbi parlavano di come avevano dovuto abbandonare la Croazia descrivendo eventi della seconda guerra mondiale. Ricordo un colloquio che avevo avuto parlando con i profughi della Croazia proprio nel 1991, in un campo. Ho chiesto ad un vecchio di spiegarmi perché aveva dovuto lasciare il suo paese, Glina. Lui mi ha descritto dettagliatamente un avvenimento, l’uccisione di circa trecento persone in una chiesa, un fatto che non mi era noto nel contesto della guerra del 1991. Quando gli ho chiesto: "Ma quando è successo il fatto di cui sta parlando?", mi ha detto che era accaduto nel 1941. Questo mi ha convinta dell’efficacia di quella propaganda che ha preparato i serbi al conflitto, e di quanto il fatto che dopo la seconda guerra mondiale nessuno parlasse liberamente di ciò che era successo sia stato fra le cause di quella forte rinascita del nazionalismo a cui abbiamo assistito nel 1991.
Qual è la memoria ufficiale sulle guerre degli anni ’90 in Serbia oggi?
L’interpretazione ufficiale di quegli eventi è che nel territorio dell’ex Jugoslavia c’è stata una guerra civile tra serbi, bosniaci e croati, e che in questa guerra civile tutte le diverse parti in conflitto hanno commesso dei crimini. Riguardo al Kosovo, secondo la versione ufficiale la polizia e l’esercito serbi hanno prima agito secondo le leggi anti-terrorismo, contro il terrorismo albanese, e poi, in seguito ai bombardamenti, sono entrati in guerra contro gli Stati dell’Alleanza Atlantica.
Quali sono i limiti di questa versione?
Secondo le vittime, pensiamo ad esempio alle vittime di Srebrenica o di altri crimini di massa, questi eventi vanno qualificati come genocidio, e si sono verificati perché la Serbia ha non solo fornito sostegno logistico, ma anche partecipato attivamente al compimento di questi delitti. Il nostro obiettivo, come organizzazione per i diritti umani, è mostrare pubblicamente quello che è successo durante la guerra, ciò di cui si è sempre taciuto, su cui non c’è nessuna posizione ufficiale, e chiarire quello che è avvenuto realmente, chiedendo una condanna formale di quei fatti.
Durante il periodo jugoslavo sono stati edificati centinaia di monumenti per ricordare la vittoria contro il fascismo. Servono monumenti per ricordare le guerre degli anni ’90?
A livello locale per la gente è molto importante che sia eretta una lapide là dove le persone hanno sofferto, che il luogo dove sono state uccise delle persone diventi un luogo di raccoglimento e commemorazione. Credo che le lapidi commemorative possano svolgere un ruolo importante anche sotto il profilo dell’assunzione di responsabilità. Quando ad esempio qui in Serbia le autorità saranno pronte ad erigere una lapide a Batajnica, dove sono sepolti i civili albanesi uccisi, quando riconosceranno con una lapide quella fossa comune, quello sarà un segno profondo di cambiamento, di un potere che riconosce l’importanza di accettare la responsabilità per i crimini del passato, e sarà un segno che le autorità non permetteranno che il passato si ripeta.
I Tribunali costituiti per giudicare i crimini di guerra avranno un ruolo nel favorire la creazione di una memoria collettiva sulle guerre recenti?
Il Tribunale dell’Aja sarà certamente parte della formazione di una memoria collettiva, che diventi un’arma importante contro tutti i tentativi di revisionismo, negazione o manipolazione dei crimini di guerra. L’eredità di questa Corte starà anche nel riconoscimento dell’importanza di ristabilire la verità attraverso i documenti.
Come valuta il risultato del processo recentemente tenutosi a Belgrado contro il gruppo dei cosiddetti "Scorpioni"?
Quando il primo giugno del 2005 rendemmo pubblica la videocassetta sugli omicidi dei musulmani da parte degli Scorpioni, la società serba fu sconvolta da quello che vide per la prima volta: i volti delle vittime, omicidi spietati e brutali, condannati a morte cui era negato anche solo bere un po’ d’acqua. Questo metodo funzionò, infranse quel silenzio su Srebrenica che durava da anni, quell’interpretazione ufficiale secondo cui solo alcune centinaia di persone erano state uccise illegalmente, mentre tutte le altre erano morte in battaglia. La società serba in un certo senso fu trasformata, avvenne qualcosa di significativo.
Mi aspettavo che il processo agli Scorpioni avrebbe dato una nuova ragione per arrivare all’accettazione, diciamo, di questo passato. La Corte però è arrivata a sentenze che hanno lasciato nuovamente sconcertata la società serba: uno degli Scorpioni è stato rimesso in libertà, un altro condannato a soli cinque anni, solo due sono stati condannati alla massima pena… E così questo processo, che era cominciato con una grande speranza, cioè che la verità giudiziaria sarebbe stata un’autentica verità, che avrebbe spiegato davvero cosa sono gli Scorpioni, che hanno agito come istituzioni criminali di Milošević, che sono stati mandati a partecipare al genocidio di Srebrenica, si è concluso senza che nulla di questo si verificasse. Loro sono stati condannati per un omicidio, ma il processo non ha neppure chiarito da dove venissero le vittime, così che la conclusione è stata una specie di elemosina, e una grande mancanza di rispetto verso le vittime.
Quella sentenza nega il collegamento funzionale degli Scorpioni con Belgrado, andando nella stessa direzione della decisione della Corte Internazionale di Giustizia nel caso Bosnia Erzegovina contro Serbia per genocidio. Sarà questa la memoria ufficiale su quella guerra?
Sì, in questo momento la verità ufficiale ha mistificato quello che è avvenuto veramente in Bosnia. La verità ufficiale è scritta nella sentenza della Corte Internazionale di Giustizia e del Tribunale di Belgrado per i crimini di guerra, che ha descritto gli Scorpioni come un’unità para-militare, che in Bosnia non agiva per conto delle istituzioni serbe. Anzi, gli Scorpioni sono serviti al Tribunale Internazionale come prova per arrivare alla conclusione che lo Stato serbo non ha partecipato al genocidio.
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