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La libertà di espressione: il ruolo cruciale della Corte europea di Strasburgo

A Strasburgo, il 24 marzo scorso, giudici, giornalisti, avvocati e attivisti si sono confrontati sulle sfide per la tutela del diritto alla libera espressione in Europa

19/04/2017, Sofia Verza -

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La libera espressione e la libertà dei media in Europa sono tematiche di cui si occupa una società civile variegata. La cosiddetta media freedom community si compone di personalità, figure ed associazioni che approcciano l’Articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – che garantisce appunto il diritto alla libera espressione – con metodi e da punti di vista diversi.

Per promuovere il dialogo tra la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) e questa fetta di società civile attiva, il 24 marzo scorso si è tenuta a Strasburgo una conferenza organizzata dalla cooperativa europea ECPMF (European Centre for Press and Media Freedom), di cui è membro fondatore anche OBC Transeuropa.

Il dialogo, che ha analizzato l’evoluzione della giurisprudenza della Corte EDU e le pratiche della società civile in tema di Articolo 10, si è articolato in tre momenti, a ciascuno dei quali ha contribuito un testimone (giornalista), un avvocato, un giudice della Corte e un esperto- accademico, attivista o rappresentante delle associazioni europee che si occupano di libera espressione.

Diffamazione, tutela della privacy e trattamento dei dati personali

Si è parlato inizialmente di quelli che sono definiti gli “ambiti classici” di studio del diritto alla libertà di espressione, ovvero la diffamazione, la tutela della privacy e il trattamento dei dati personali, con particolare attenzione all’impatto della trasformazione in digitale delle comunicazioni.

Il giudice della Corte di Strasburgo Robert Spano ha spiegato che “sempre più, l’Articolo 8 – che garantisce il diritto al rispetto della vita privata e familiare – assurge ad un diritto che dev’essere bilanciato equamente con la libera espressione”. Come nel caso delle leggi sulla diffamazione infatti, sempre più spesso anche le leggi a tutela della privacy vengono abusate per evitare la diffusione di informazioni scomode, che sarebbe però nell’interesse pubblico conoscere. I temi del bilanciamento tra diritti ed interessi giuridici, di una valutazione proporzionale da parte dei giudici nell’applicazione della regola piuttosto che dell’eccezione, il margine di discrezionalità lasciato agli stati in alcuni casi, sono concetti – hanno sottolineato i relatori – in continua evoluzione.

Barbara Trionfi, direttrice dell’International Press Institute (IPI), ha esposto i risultati di un recente studio dell’associazione circa la criminalizzazione della diffamazione, tuttora reato penale in molte legislazioni dei paesi OSCE. Galina Arapova, direttrice del Mass Media Defence Center e avvocata per i diritti umani in Russia, ha sottolineato l’importanza del concetto di “interesse pubblico” della notizia. La giornalista olandese Sanne Terlingen ha infine raccontato la sua esperienza come vittima di intimidazioni legali ed extralegali e perpetrate dai protagonisti delle sue inchieste in Ghana, Eritrea e Gibuti. Terlingen ha affermato di non essere convinta dell’utilità di un incremento degli strumenti legali per far sì che i singoli stati tutelino meglio i diritti umani, tra cui il diritto ad una libera espressione, sottolineando piuttosto l’importanza di lavorare a un cambiamento culturale che coinvolga anche i giornalisti stessi: “Dobbiamo essere i primi a rinnovare la relazione di fiducia con il pubblico, dandogli validi argomenti per mobilitarsi al nostro fianco nella difesa dell’informazione libera”.

Giornalismo investigativo, accesso alle informazioni pubbliche e whistleblowers

Muovendosi verso temi ancora poco codificati nelle regolamentazioni e nelle giurisprudenze europee, la seconda parte dell’incontro ECPMF si è focalizzata su giornalismo investigativo, accesso alle informazioni pubbliche e sulla protezione delle fonti e dei cosiddetti whistleblowers. Lawrence Early, avvocato per la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha spiegato l’evoluzione della giurisprudenza EDU nel senso di riconoscere, come appendice al diritto alla libera espressione, il diritto a ricevere le informazioni. Helen Darbishire, direttrice di Access Info Europe, è intervenuta soffermandosi soprattutto sul ruolo delle autorità nazionali nell’attuazione degli standard internazionali sul diritto all’accesso alle informazioni pubbliche. In particolare, ha sottolineato la Darbshire, “è necessario che il giudiziario dei singoli paesi sia più consapevole della giurisprudenza e degli standard europei”. Se è vero che molti paesi stanno configurando un sistema di regolamentazioni a riguardo, la trasparenza delle informazioni pubbliche, in pratica, è lontana dall’essere realtà.

In seguito, Dirk Voorhoof- professore e membro dell’Executive Board di ECPMF-, ha tracciato un quadro delle sentenze della Corte di Strasburgo rilevanti sui temi del diritto all’accesso alle informazioni pubbliche e della protezione delle fonti e dei whistleblowers. Tra le altre, sono state citate le sentenze Hungarian Civil Liberties Union v. Hungary (2009) e Youth Initiative for Human Rights v. Serbia (2013). E’ poi intervenuto Antoine Deltour, da poco condannato in Lussemburgo per il caso LuxLeaks. Deltour è stato condannato per la divulgazione di documenti confidenziali sugli accordi tra alcune multinazionali e il fisco in Lussemburgo.

Giornalisti e media nelle manifestazioni di protesta

Il dialogo si è infine concentrato sul ruolo dei media e dei giornalisti durante  manifestazioni di protesta. Al centro dell’analisi troviamo il concetto di “giornalismo responsabile” – un’espressione non scevra di criticità come hanno sottolineato vari interventi tra panelist e nel pubblico – e sulla possibilità o meno di attuare una distinzione tra giornalisti “professionisti” e non. Questa riflessione è doverosa, in particolare, nell’odierna società dell’informazione, dove il ruolo dei blogger e del giornalismo partecipativo è sempre più rilevante.

La discussione si è aperta con l’intervento del fotogiornalista Markus Pentikäinen, condannato in Finlandia per non essersi allontanato, in seguito ad un ordine della polizia, da una manifestazione che stava seguendo come fotografo. Il suo caso, Pentikäinen v. Finland, è un precedente importante e molto controverso per la Corte di Strasburgo, che non ha riconosciuto una violazione del diritto alla libera espressione da parte delle autorità finlandesi.

In seguito alla sua testimonianza è intervenuto, tra gli altri, Daniel Simons, avvocato della Open Society Justice Initiative, che ha sottolineato il fondamentale ruolo di “cani da guardia della democrazia” dei giornalisti, in particolare in occasione di manifestazioni pubbliche. Così tracciando un collegamento tra l’Articolo 11 CEDU, che garantisce la libertà di riunione e di associazione, e l’Articolo 10: il primo potrebbe essere letto alla luce del secondo.

Intervenendo dal pubblico Mogens Blicher Bjerregård, presidente della European Federation of Journalists, ha inoltre ricordato quanto sia importante discutere del ruolo di chi fa informazione nell’interesse del pubblico, senza però cadere nella trappola di dare definizioni troppo rigide ed esclusive di “giornalista”, perché occorre garantire in primo luogo la tutela della funzione democratica di questa figura professionale.  

I partecipanti all’incontro ECPMF hanno ricordato l’importanza di regolari incontri come quello del 24 marzo, sul ruolo della Corte di Strasburgo nell’evoluzione delle politiche e degli approcci nazionali in tema di libertà di espressione in Europa. In particolare, si tratta di un dialogo fondamentale in un momento critico per il riconoscimento del valore della giurisprudenza EDU da parte dei cittadini europei e per l’autopercezione che la Corte ha del proprio ruolo.

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