La Jat, il meglio e il peggio dell’aviazione jugoslava
Era moderna, era glamour. Ma la JAT, ex compagnia di bandiera jugoslava, non è più quella di una volta. A partire dalle sue vicende uno spaccato sul trasporto aereo nei Balcani occidentali, dove le distanze tra paese e paese non si misurano in chilometri ma in ore di viaggio e numero di scali
(Pubblicato originariamente sul portale Bturn.com il 31 luglio 2012, selezionato da Le Courrier des Balkans e OBC)
Durante i suoi anni d’oro la JAT – Aviolinee jugoslave – aveva una reputazione di eccellenza e di glamour. La sua flotta di fiammanti Boeing 737s – i primi modelli venduti in Europa e i più venduti nella storia dell’aviazione civile – trasportava 5 milioni di passeggeri all’anno in tutti e 5 i continenti. Le sue hostess vincevano sfilate di moda a Parigi per l’eleganza delle divise e i suoi pasti a bordo erano considerati migliori di quelli delle altre compagnie tant’è che l’azienda avviò attività di catering, per esempio per l’Air France, nel 1967.
Anche prima dell’epoca d’oro del trasporto civile aereo jugoslavo la regione aveva del resto fama di eccellenza in tema d’aviazione. Il piccolo aeroporto di Pančevo, poco fuori Belgrado, inaugurò il primo volo in notturna nella storia mondiale dell’aviazione civile, nel 1923. Il volo era diretto verso Bucarest e venne lanciato perché si era convinti che l’unico modo per battere la concorrenza dell’Orient Express fosse quello di viaggiare di notte.
Circa vent’anni dopo la dissoluzione della Jugoslavia la JAT, ora compagnia di bandiera della Serbia, fa volare circa un quinto dei passeggeri del passato. Anche se detiene tutt’oggi statistiche relative alla sicurezza tra le migliori al mondo, la sua flotta di 737s, in passato suo orgoglio, invecchia rapidamente. Un recente cliente JAT, inglese, si è sentito in dovere di annotare on-line che “la cabina puzzava fortemente di fumo” ed ha sottolineato come quello della JAT era il primo aereo visto nel quale i posacenere erano ancora incorporati nel bracciolo del sedile. In effetti, qualche anno fa, su youtube, venne postato un video nel quale un comandante JAT fumava nella cabina di pilotaggio mentre pilotava un Boeing 727 (che trasporta tra i 149 e i 189 passeggeri) nella sua discesa verso l’aeroporto Nikola Tesla di Belgrado.
Se gli standard di sicurezza ed il prestigio della JAT hanno sofferto nell’ultimo periodo, così è accaduto anche alla qualità della sua dirigenza: nell’ultimo decennio la JAT ha cambiato sei amministratori delegati, tutti di nomina politica e spesso del tutto digiuni del settore dell’aviotrasporto. Uno era un avvocato, un altro un addetto al trasporto bagagli e un altro ancora lavoratore presso il negozio Centrotekstil a Mosca. Quest’ultimo, in veste di amministratore delegato della JAT, è famoso per aver dichiarato una volta ai media: “Non volo mai con la JAT, così lascio libero un posto per potenziali passeggeri”.
Un altro amministratore delegato decise che il miglior modo per aumentare gli affari era quello di aprire la vendita dei biglietti anche agli uffici postali. Più recentemente invece un amministratore delegato è arrivato allo scontro con gli addetti del catering che sono scesi in sciopero: per tre mesi durante i voli della JAT si poteva avere solo dell’acqua. E infine vi è stato l’amministratore delegato nominato da Milošević, ucciso una notte mentre portava a spasso il cane.
Forse però il simbolo più inequivocabile del declino della qualità del trasporto aereo nell’intera regione è proprio quello di non riuscire mai a trovare un aereo per spostarsi. Nonostante quest’estate segni la riapertura dei voli tra la costa della Croazia e la Serbia, dopo una sospensione durata 21 anni seguita alla guerra, non vi sono ad esempio ancora voli tra Zagabria e Belgrado, le capitali dei rispettivi paesi.
La cosa più assurda è che ciò che è impossibile oggi era routine alcuni decenni fa, non solo durante il periodo jugoslavo, ma anche durante il Regno dei serbi, croati e sloveni. Aeroput, precursore della JAT, iniziò a volare tra Zagabria e Belgrado nel 1928. Al giorno d’oggi un viaggio aereo tra le due capitali richiede uno stop in una città più lontana della destinazione scelta. In una mia recente ricerca per un volo da Zagabria a Belgrado ho scoperto che avrei dovuto fermarmi all’Aeroporto Atatürk, a Istanbul, prima di arrivare in Serbia, viaggiando per più di otto ore. Un po’ troppo considerando che la distanza da percorrere tra le due città è di 365 chilometri. Ed il prezzo per questo itinerario inusuale? Circa 400 euro. Non proprio a buon prezzo dato che quest’inverno ho volato da Budapest a San Francisco per circa 100 euro in più.
Provare a volare tra Tirana, Albania, e Belgrado è altrettanto difficoltoso. Anche se entrambi i paesi si trovano nella stessa area geografica, “arrivarci”, come si scriverebbe nella Lonely Planet, è oscenamente difficile. A meno che non si voglia fare una tappa nell’Unione europea, il viaggio è probabile implichi più di un mezzo di trasporto ed una circumnavigazione per evitare i controlli di passaporto ai confini contesi tra Serbia e Kosovo, e molte, ma molte ore di tempo prezioso.
Un viaggio per ardimentosi che potrebbe essere facilmente compiuto con un volo diretto, come avveniva ad esempio fino al 1946.
Se si prova a girare la regione in aereo diventa immediatamente chiaro come le vere distanze tra le nazioni sono meglio misurabili in termini di tempi di percorrenza, soldi e fatica che non in chilometri o miglia. I gradi di riconciliazione sono evidenti nel numero di scali necessari a raggiungere la propria destinazione finale. E la cosa più problematica è che la mancanza di un trasporto decente può scoraggiare i viaggi intraregionali e i contatti tra gente di paesi diversi.
E questo spiega perché quando Ulrich Schulte, segretario generale dell’Associazione della compagnie aeree europee, ha dichiarato ad un quotidiano sloveno agli inizi di quest’anno che nella regione occorrerebbe creare un’unica compagnia “ex-Ju” pena il rischio che il trasporto aereo civile collassi definitivamente si è scatenato il dibattito. Gli jugonostalgici e quelli vogliosi di vedere segnali di cooperazione nella regione sono andati in estasi. Altri sono stati rapidissimi a impallinare l’idea. Come ha scritto un commentatore su un blog dedicato all’aviazione in ex Jugoslavia: “La mia domanda al signor Schulte sarebbe la seguente: se hai un sacco di merda e lo metti a fianco di un altro sacco di merda, non è ancora una gran pila di merda?”.
Atri dimostrano un approccio critico più costruttivo. In molti si sono chiesti come i vari paesi coinvolti riuscirebbero a decidere dove porre la base della compagnia, data la storia regionale di dispute territoriali.
Nonostante il cinismo, l’idea di una compagnia regionale per riunire lo spazio ex jugoslavo, almeno quello aereo, mantiene un certo fascino mentre molte compagnie di bandiera continuano a subire pesanti perdite, scioperi e rischi di bancarotta. Di certo la JAT, come molte altre compagnie di bandiera in tutto il mondo, anche a causa della crisi mondiale, non è più quella di una volta.
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